Il tramonto del Dalai Lama

di Gianni Cadoppi, collaboratore Dipartimento Esteri PCI

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Il Dalai Lama con il nazista Heinrich Harrer suo maestro in gioventù

Per secoli, la cultura occidentale ha guardato con disprezzo al buddismo tibetano, considerato sinonimo di dispotismo orientale, a causa della centralità da esso conferita ad un sedicente Dio-­Re, sul quale si esercita il disprezzo di autori tra loro pur così diversi come Rousseau, Herder, Hegel. Tra Otto e Novecento, i lama vengono considerati «un’incarnazione di tutti i vizi e di tutte le corruzioni, non già dei lama defunti». Quando poi la Gran Bretagna si accinge alla conquista, cerca di giustificarla in nome della necessità di portare la civiltà in «quest’ultima roccaforte dell’oscurantismo», a «questo piccolo popolo miserabile» (Domenico Losurdo 2003).

Snobbato accuratamente dai governanti francesi, mentre Papa Francesco si è rifiutato di invitarlo ad Assisi, il Dalai Lama ormai non è più di moda. Pesa in particolare il mancato invito ad Assisi per l’iniziativa ‘Sete di Pace’ promossa dalla Comunità di Sant’Egidio che vede la partecipazione di oltre 400 leader religiosi di ogni fede. Il pio monaco calzato Gucci invece preferirebbe dialogare con l’ISIS da quanto si apprende dalla stampa e magari scomunicare, nella sua infinita bontà, qualche altra setta buddista. A Hollywood impazza la mania per santoni, sciamani, guaritori, astrologi, esperti di kabbalah, fluidi mistici che ripuliscono persino le scorie radioattive e quant’altro per cui l’attaccamento di Richard Gere per l’anziano monaco sembra ormai decisamente demodè.

Gode però ancora delle simpatie della “Sinistra Imperiale”, infatti Martin Schulz, presidente del Parlamento Europeo, lo ha ricevuto. Schultz è anche noto per aver fatto visita ai nazisti di Piazza Maidan e di avere visto solo bandiere europeiste senza vedere le svastiche. Occorre ricordare che in Europa tra i maggiori sostenitori della secessione tibetana troviamo i verdi tedeschi ed alta è stata la partecipazione alla causa tibetana dei circoli “alternativi” della Germania, magari neoconvertiti al buddismo. Un ex segretario del Dalai Lama è diventato assistente della parlamentare verde Petra Kelly e poi della Heinrich Boell Foundation dei Grune ed è allo stesso tempo corrispondente speciale di Radio Free Asia finanziata dalla CIA.

Bisogna risalire alle origini dell’amore di questa sinistra per il Tibet che già troviamo nel movimento hippie e in generale nella controcultura americana. La sinologa Elisabeth Martens rileva che i curatori dell’immagine del Dalai Lama si impegnarono per il ritorno alle origini del Buddismo, ripulendolo da ogni aspetto esoterico e “filosofizzandolo”. Il Buddismo non è più una religione (chi fugge dal cristianesimo da sinistra non può ricadere in un’altra religione), ma una filosofia. Questo permette agli intellettuali post-sessantottini di non credere più scioccamente in Dio, ma di aderire ad un nuovo “ateismo che abbraccia l’assoluto” con il vantaggio che la nuova versione dalaista, non chiede alcun impegno particolare. Non si deve nemmeno andare a messa alla domenica, per dire.

Slavoj Zizek scriveva in occasione delle manifestazioni di solidarietà con i tagliagole lamaisti nel 2008: “Una delle principali ragioni del perché tanti occidentali prendono parte alle proteste contro la Cina è ideologica: il buddismo tibetano, abilmente divulgato dal Dalai Lama è uno dei punti di riferimento ineludibili per questa spiritualità edonista New Age che è diventata tanto popolare negli ultimi tempi. Il Tibet si è convertito in una entità mitica nella quale proiettiamo i nostri sogni. Quando la gente lamenta la perdita di un autentico stile di vita tibetano non è perché è preoccupata dalla situazione reale dei tibetani: quello che chiedono è che i tibetani siano autenticamente spirituali al nostro posto affinché noi possiamo continuare a seguire la nostra follia consumistica. Il filosofo Gilles Deleuze scriveva: «Se siete imprigionati nel sogno dell’altro, siete spacciati». Coloro che manifestano contro la Cina dovrebbero capire che imprigionano i tibetani nel loro proprio sogno, che è soltanto uno tra tanti”. I tibetani, in altre parole, devo essere spirituali e magari anche poveri al posto nostro dato che abbiamo i corpi devastati dalle lasagne e dal colesterolo.

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Il Dalai Lama con il nazista cileno Miguel Serrano

La guerra di secessione degli schiavisti tibetani. La liberazione dei servi dai (G)ulag.

Ho sempre odiato la schiavitù. Abraham Lincoln

La nostra bella patria sarà grande quando sarà sanata dalla nera scrofolosa genia dei gesuiti e dei gesuitanti (…) Io mi figuravo con ragione essere giunto il tempo di dare il crollo alla baracca pontificia ed acquistare all’Italia l’illustre sua capitale… Tutto prometteva infine la caduta del prete, nemico del genere umano. Giuseppe Garibaldi

Libertà e Papa stanno in contraddizione. Giuseppe Mazzini

Nel 2012 un investigative reporter della Sueddeutsche Zeitung rivelò che il Dalai Lama e i suoi fratelli erano in contatto con la CIA già dal 1951. Nel 1998 poi l’amministrazione del Dalai Lama ammise il passaggio di circa 1,7 milioni di dollari all’anno dalla CIA all’amministrazione stessa consentendo l’addestramento di un gruppo di miliziani tibetani in Colorado con tanto di benedizione del futuro leader mondiale della “non violenza”[1]. Quando l’agente della CIA John Kenneth Knaus nel 1995 chiese a Tenzin Gyatso (l’attuale Dalai Lama) la sua opinione sull’aiuto USA all’insurrezione egli rispose che nonostante l’effetto positivo sul morale, “migliaia di vite furono perse nella resistenza” e che “il governo USA si è interessato agli affari interni del Tibet non per aiutarlo, ma per usarlo tatticamente come arma contro la Cina”.

Nel 1959 una Guerra di Secessione, analoga a quella americana, è stata messa in atto dai proprietari di schiavi tibetani contro i comunisti cinesi continuatori dell’opera di Lincoln per la liberazione della schiavitù. O perché no anche dell’azione di Garibaldi e di Mazzini contro lo Stato Pontificio. Se si vuole, la liberazione del Tibet fu l’equivalente nella storia italiana della Breccia di Porta Pia. con il ridimensionamento delle pretese del potere temporale del Papa-Re, o anche della Repubblica Romana. Non abbiamo messo le citazioni di Garibaldi, Mazzini e Lincoln per un ritorno ad un improbabile anticlericalismo risorgimentale. Oggi al religione può essere persino un stimolo alla lotta per l’egualianza e per la liberazione nazionale essendo legata alla stessa identità nazionale dei popoli. Abbiamo voluto invece sottolineare che i cinesi nel loro Risorgimento,  dopo il secolo dell’umiliazione, fecero ciò che in altri paesi è largamente condiviso dalla nazione (liberazione dalla schiavitù, eliminazione del potere temporale ecc.).

Effettivamente la serie di mediocri film sul Tibet prodotti dopo il 1990 assomigliano a una sorta di Via col vento tibetana. Come il filmone americano umanizzava gli schiavisti del sud i vari film tipo Sette anni in Tibet esaltano gli schiavisti tibetani. D’altra parte cosa hanno in comune tra loro i manifestanti occidentali per il “Tibet libero” che non sanno trovare il Tibet sulla carta geografica?[2]. In comune hanno l’assimilazione acritica della cultura di massa, quella di Hollywood per intenderci, che ha combinato un miracolo molto americano: la spiritualità è diventata consumismo “culturale” il che è al massimo spiritoso più che spiritualista (in effetti su youtube gira un filmato sul Tibet in cui due comici fanno molto spirito sulle condizioni “paradisiache” del Tibet al tempo del Dalai Lama).

I comunisti, nel 1956, applicarono la riforma agraria nei territori tibetani della provincia di Sichuan, che è al di fuori della attuale Regione Autonoma del Tibet. Tra il 50 e il 70% della produzione servile era dovuto ai padroni che in aggiunta costringevano i servi al lavoro forzato chiamato “ulag”, da cui vennero liberati dai comunisti. Fu allora che i latifondisti e proprietari di servi si ribellarono e la ribellione si estese all’attuale Regione Autonoma. La cosa singolare è che i difensori di sinistra della schiavitù lamaista poi se la prendono contro la presunta schiavitù dei lavoratori cinesi.

Il Tibet, non essendo mai  entrato nella sfera coloniale occidentale, è rimasto una regione misteriosa su cui si è sbizzarrita la fantasia occidentale. Donald S. Lopez jr spiega molto bene come si è arrivati a trasformare il Tibet in un must della cultura di massa. Si parte dal Shangri-la, termine che di per se non ha alcun significato, introdotto da James Hilton nel romanzo Orizzonte perduto da cui Frank Capra trarrà un film.  La trama racconta non a caso la fuga dalla Cina, a metà anni trenta, dilaniata da crescenti disordini e dalla guerra civile. I protagonisti dei  cittadini occidentali vengono misteriosamente dirottati su una zona sperduta delle montagne dell’Himalaya. Vengono portati da un misterioso personaggio in una vallata isolata dal mondo nella quale sorge Shangri-La, un’oasi di pace dove vive un’antichissima città di saggi, raccolti da ogni parte del mondo fondata da un missionario belga e capeggiata da un Grande Lama per preservare i migliori risultati dell’umanità dai continui conflitti del mondo esterno. Qui troviamo già la trama del misticismo controculturale: fuga dalla realtà conflittuale, pace dell’anima e non a caso la spiritualità orientale si fonde con quella portata dal missionario occidentale.

L’attuale Camp David, residenza estiva dei presidenti USA, originariamente era stata chiamata Shangri-la da Roosevelt. Oggi, ed è molto significativo, Shangri–la è il nome di una catena di hotel con spiagge e bar. Il libro dei morti (che con questo nome è sconosciuto in Tibet) portato dal teosofista Walter Wentz diventa il più conosciuto libro tibetano, e aumenta l’aura di mistero verso il Tibet/Shangri-la che attraversa la cultura lisergica di Timothy Leary e della Beat Generation per poi passare agli hippie-alternativi pubblicizzati dai gruppi rock come i Beatles già dall’album Revolver. Il fascio-buddismo tradizionalista, aristocratico ed elitistico di Evola e Guenon lascia il campo ad un mix edonista alla portata di tutte le tasche, acquistabile liberamente al supermarket della spiritualità. Tutto si è poi compiuto con l’attribuzione a Tenzin Gyatso del premio Nobel per la Pace, dove il Dalai Lama viene messo a capo di una Peace & Love Corporation per poveri di spirito. Il tutto sarà suggellato con i film degli anni ’90, Sette anni in Tibet e Kundun, inseriti in quella che Gramsci chiama la cultura nazional-popolare.

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Torture sugli schiavi nel bucolico Tibet

Ciò che ha preso piede in Occidente è l’invenzione sociale di Shangri-la in cui non c’è posto per il Tibet reale. E’ un Tibet ricostruito come Viollet le Duc ricostruì le mura di Carcassonne. L’architettura medievale ridotta al mondo della fiabe. E’ un Tibet per orientalisti in cui l’Occidente si esercita nella cosa che ha saputo fare peggio nella sua storia: il colonialismo. Si vorrebbe ricolonizzare idealmente un lembo di terra sfuggito per miracolo al vecchio colonialismo, e dall’alto della nostra civiltà, ripopolarlo con i monaci, di una delle religioni più oscurantiste del mondo, che rispettano l’omosessualità, servi della gleba che votano liberamente per il Papa-Re e l’astrologia che serva per le previsioni del tempo. La convinzione ormai granitica in Occidente di un Tibet indipendente ha una base reale. Il nostro Tibet è in effetti indipendente: …dalla realtà!

Dopo avere liberato gli schiavi del Tibet reale il prossimo compito dei comunisti sarà liberare gli schiavi onirici di Shangri-la. Il ritorno alla realtà non sempre si concilia con la poesia. Lo Stato Pontifico sembrava un’oasi di spiritualità e aveva in realtà, per il gaudio della truppa italiana entrata da Porta Pia, la più alta concentrazione di bordelli del mondo… e i maggiori clienti erano i cardinali.

Note

[1] Sulla mitizzazione della “non violenza” lamaista si veda Domenico Losurdo: La non-violenza. Una storia fuori dal mito, Roma-Bari, Laterza, 2010, Un mondo senza guerre. L’idea di pace dalle promesse del passato alle tragedie del presente, Carocci 2016.

[2] Nei periodo saliente dei moti tibetani del 2008 circolava su youtube un filmato in cui un intervistatore chiedeva ai dimostranti di trovare il Tibet su una carta geografica e invariabilmente i dimostranti indicavano l’India, la Russia ecc. persino la Polonia!!

 

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