INTEGRAZIONE BOLIVARIANA:UN PROGETTO LATINO AMERICANO DA DIFENDERE

di Alessandra Riccio*

*docente di lingua e letteratura spagnola all’Università Orientale di Napoli, Alessandra Riccio è stata corrispondente de “L’Unità” in America Latina e condirettrice, con Gianni Minà, della rivista “Latino America”. Questo che pubblichiamo è il suo intervento al Convegno ( organizzato dal Dipartimento Esteri del PCI) svoltosi a Roma sabato 10 dicembre e dal titolo “ Nelle vene dell’America Latina”.

 

Un po’ di storia. Nel 2005, in Argentina, a Mar del Plata, il 4 e il 5 novembre si svolge la IV Cumbre de lasAméricas. Un incontro continentale in cui sono rappresentati tutti i paesi delle Americhe, tranne la Cuba rivoluzionaria espulsa dall’Organizzazione degli Stati Americani nei primissimi anni sessanta. George W. Bush e il Presidente del Canada fanno pressione affinché, sovvertendo l’agenda stabilita, si discuta e si approvi il Progetto ALCA (Area di Libero Commercio delle Americhe). La forte resistenza di Kirchner per l’Argentina, di Chávez per il Venezuela e di Lula per il Brasile impedisce l’accordo. (E’ aneddotico lo slogan di Chávez: ALCA, ALCA, AL CArajo!) .

Parallelamente al Vertice, si svolge la III Cumbre de losPueblos dove si chiede a gran voce: “No al ALCA, sì al ALBA”, la Alternativa Bolivariana per i Popoli della Nostra America, un progetto di integrazione politica, sociale ed economica promossa da Cuba e dal Venezuela che l’hanno fondata nel 2004. Fra le nazioni associate esiste un patto di compensazione delle asimmetrie fra paesi per cui, per fare un esempio, un paese può fornire petrolio in cambio di alfabetizzatori. All’ALCA si affianca il Tratado de Comercio de los Pueblos (TCP) in virtù del quale i paesi trattano su un piano di uguaglianza per il bene comune, basandosi sul dialogo interregionale. ALCA diventa, cos’ ALCA/TCP mentre alla parola Alternativa verrà in seguito sostituita la parola Alleanza.

L’anno dopo, nel 2006, Fidel Castro compie il suo ultimo viaggio prima della malattia per andare a Córdoba, Argentina, a istanza di Hugo Chávez, per presenziare all’ingresso del Venezuela nel Mercosur, il mercato comune dell’America Meridionale di cui fanno parte l’Argentina, il Brasile, il Paraguay, l’Uruguay e –fino a qualche giorno fa- il Venezuela. Il quattro dicembre scorso, infatti, mentre il Venezuela ne stava esercitando la presidenza, come da regolamento, il Paraguay, l’Argentina e il Brasile hanno sospeso il paese esigendo maggiori condizioni di istituzionalità.

L’idea di un’integrazione sociale, politica ed economica dei paesi dell’America Latina era stata lanciata dal Libertador e combattente per l’indipendenza della regione dalla Spagna, Simón Bolívar. Quell’idea era stata sostenuta con forza dal patriota cubano José Martí, ripresa mezzo secolo dopo da Fidel Castro, e nei primi anni del Terzo millennio portata a compimento da Hugo Chávez e Castro insieme ai nuovi presidenti e/o futuri Presidenti Kirchner e Fernández, Lula e Dilma, Correa a Morales, Mujica e Ortega, in una coincidenza di orizzonti politici irripetibile.

Oggi il grande progetto di integrazione è seriamente minacciato: non interessa all’Argentina di Macri né al Brasile di Temer, non all’Uruguay di TabaréVázquez (il sor tentenna); continua ad essere difeso da Maduro, da Raúl Castro, Daniel Ortega, Rafael Correa, Evo Morales e da alcuni paesi del Caribe. La correlazione di forze, come si vede, non è più la stessa e il progetto integrativo, rispettoso delle diverse scelte politiche dei singoli paesi, è in serio pericolo. Ai paesi succubi del Washington Consensus, come il Messico, la Colombia, il Perù, il Cile, si aggiungono pezzi da novanta come l’Argentina e il Brasile mentre il futuro si annuncia fosco e la morte dei due fondatori dell’ALBA, Fidel e Hugo, contribuisce ad indebolire l’alleanza.

Sostengo che l’offensiva neoliberista che sta attraversando l’America Latina, in una stretta coincidenza di intenti fra le classi economicamente dominanti e la linea politica degli Stati Uniti, ancora e sempre orientata a dominare il “cortile di casa”, ha come bersaglio principale proprio il progetto di integrazione bolivariana. L’America Latina non deve essere autonoma, non deve prescindere dagli Stati Uniti, non deve sfruttare le proprie risorse invece di svenderle al poderoso vicino, non deve utilizzare la propria mano d’opera invece di mandarla, a rischio della vita, oltre la frontera, per diventare carne da macello, clandestina e indifesa.

L’esempio di Cuba, povera ma non miserabile, alfabetizzata e fisicamente sana, sovrana e padrona del suo destino, che dà voce al popolo e non ai monopoli, non deve proliferare e il suo esempio non deve prosperare. Ancor meno può essere lasciato libero di maturare e crescere, l’esperimento venezuelano che, dopo la prematura morte di Chávez, vede al governo il Presidente Maduro assediato da ogni forma di provocazione, di destabilizzazione, di illegalità da un’opposizione disunita e incoerente. E’ indispensabile, quindi,per i grandi centri di poteredistruggere i processi progressisti presenti nell’emisfero ricorrendo alle tecniche del “golpe suave”, alla disinformazione e al bombardamento mediatico, alle “macchine del fango” per insudiciare personalità e programmi politici, approfittando degli errori dei protagonisti del cambiamento e dei loro partiti, errori che, purtroppo, non sono mai mancati.

Durante la solenne veglia per la morte di Fidel nella Plaza de la Revolución, l’unico capo di Stato europeo presente, il greco Tsipras, non a caso ha ricordato che Castro “ha messo le basi per una nuova era dinamica di integrazione regionale” mentre Evo Morales ci ricordava che Fidel ha insegnato l’integrazione e che il miglior omaggio da tributargli è “l’unità dei popoli”.

In America Latina, generosi governi senza potere (senza effettivo potere), hanno osato affrontare il potere imperiale che li punisce non tanto per i loro errori quanto per i loro successi. I mezzi impiegati sono ormai noti, rivelati da Wikileaks, dagli archivi consultati, e teorizzati in saggi ed analisi. Il metodo è nuovo ma non è una novità, né per l’America Latina né per l’Europa, l’implacabile contrasto delle destre interne, poderosamente alleate degli interessi sovranazionali dei colossi finanziari, dei commercianti di armamenti, del settore petrolifero, a qualunque tentativo di governare i nostri paesi.

Quanto sta accadendo in America Latina ci insegna che la lotta è ancora senza quartiere, che –morta l’ideologia- tutto viene tergiversato mentre le lingue si confondono. Il Presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, solidale con il Venezuela e il Brasile, i cui governi sono pesantemente sotto attacco, illustra così questa babele: «Bisogna essere obbiettivi, guardate come confondono tutto e chiamano prigioniero politico qualsiasi politico prigioniero». Bisogna prestare attenzione a quel che sta succedendo in America Latina, trarne esperienza per poter valutare le forze, le strategie e la resistenza anche nella nostra vacillante Europa e nel nostro paese.

Enrico Berlinguer aveva tratto dall’amara esperienza del golpe militare in Cile contro il presidente socialista Salvador Allende, la consapevolezza che non fosse consentito uscire dalla Alleanza Atlantica. Oggi la situazione non è migliorata: le forze storicamente contrarie al socialismo, all’integrazione, agli uguali diritti, si sono dotate di nuovi e più sofisticati strumenti, primo fra tutti l’orientamento e la manipolazione dell’informazione in tutti i suoi moltiplicati aspetti. Silenziosamente rischiano di passare nel mondo i Trattati Transpacifico e Transatlantico (TTP e TTIP), imposti dagli Stati Uniti a loro esclusivo beneficio e a costo degli altri paesi. L’impero combatte con i droni, risparmia ai suoi cittadini lo scontro sul terreno e lo lascia agli indigeni esasperati e rabbiosi. L’Occidente ancora ricco diventa meta di emigrazioni disperate: dall’Asia e dall’Africa verso ‘Europa. Dall’America Latina e da tutto il mondo, verso gli Stati Uniti. Ma le frontiere si stanno chiudendo, l’egoismo trionfa, la solidarietà e l’internazionalismo sono valori dimenticati.

In America Latina la battaglia per la democrazia, per la libertà e per la giustizia sociale ha assoluto bisogno di unità e di integrazione e il nemico lo sa bene. Uno a uno sono sotto attacco i pezzi del mosaico che dovrebbe configurare la regione sognata da Bolívar, unita dalle origini, dalle lingue, dalla storia di conquista, di colonizzazione e neocolonizzazione, da una forte vocazione antimperialista.

L’integrazione regionale in America Latina poteva essere l’arma vincente per strappare quei popoli al dominio neocoloniale, allo sfruttamento neoliberale; per conquistare e godere della sovranità nazionale in unione con popoli fratelli, diversi ma solidali e rispettosi dei principi dell’inclusione e dell’integrazione, disposti a combattere ogni razzismo ed ogni discriminazione, a partire da quella che divide spietatamente i ricchi dai poveri. L’idea bolivariana della Patria Grande, proprio per questo, costituisce un serio pericolo per le mire imperialiste degli Stati Uniti, per le volontà monopolistiche della grande impresa, per il bisogno assoluto di libertà di sfruttamento del mondo della finanza. E proprio per questo è un progetto che va difeso strenuamente anche per onorarne i due grandi protagonisti: Hugo Chávez e Fidel Castro.

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