Lingotto 2017: si approfondisce la crisi del renzismo

di Nicola Paolino, PCI Salerno

Renzi al Lingotto ha sfoderato un tono “gridato”. Da comizio plebeista.  A tratti, perfino, tronfio e demagogico. Tutt’altro che rassicurante! Lontano mille miglia da chi dice di aver fatto un’autocritica sul suo modo di agire in campo politico tesa a correggere uno stile sempre minaccioso nei confronti dei suoi oppositori  interni. E non solo. E già si comincia a parlare di una sua rottamazione! Ma lui è tornato a rievocare i suoi vecchi schemi ultimativi rivolti al popolo italiano: “dopo di me il diluvio” e “ chi non è con me è contro di me”, che ricordano altri campioni di democrazia. Dimostrando, anche ai più increduli, che non si tratta di una semplice questione di carattere, ma di disegno politico autoritario.  E, a dimostrazione che non ci sarà alcun vero “noi”, il Programma elettorale, del suo composito correntone, non è stato né sarà sottoposto all’approvazione, né lo sarà in una improbabile successiva riunione. Il che significa che una volta scritto non potrà essere emendato. Sarà soltanto un “prendere o lasciare”.  Pur essendo stato predisposto da un ristrettissimo pugno di fedelissimi. L’esatto contrario di una sana direzione collegiale! Ritorna, infine, sotto mentite spoglie, nuovamente, “un uomo solo al posto di comando”. Con buona pace della democrazia interna al Partito Democratico. Più che un “noi”, l’impostazione di Renzi, verosimilmente, è un “a noi!”… un “Eia eia alalà”, di infausta memoria, di un drammatico ventennio nero.  Questa, nella sostanza, è l’ordinaria amministrazione di Renzi, perché il suo è un perverso e pericolosissimo disegno bonapartista. Di trasformazione del minoritario dominio borghese in sua dittatura personale.

Il Bonapartismo, per sua natura di classe, è “uccisore di democrazia attraverso la democrazia”. Per fortuna storica e sociale, per il popolo italiano, i “Padri Costituenti”, con chiara e netta lungimiranza, proposero l’istituzione della Corte Costituzionale, quale organo superiore ed inappellabile di garanzia. Perciò, non va per niente, sottovalutata la sostanziale bocciatura dell’Italicum operata da questa Corte Costituzionale, in primo luogo con la cancellazione del mirifico premio di maggioranza, al di sotto del 40%. Al di là di fisiologici opportuni o inopportuni giudizi. Però, al Lingotto, il “culto della personalità” verso il carismatico, si fa per dire, bonapartista Renzi, per quanto traballante, è riemerso con tutto il suo portato reazionario ed anticomunista viscerale. Lo dimostra il suo scatenato livore verso chi ha abbandonato il Partito Democratico. Quello di Renzi è stato un attacco furibondo e virulento ma, soprattutto, scriteriato contro una parte costituente di quel partito, che ha operato un primo cenno di autocritica sulle loro precedenti scelte politiche, adattate in chiave neo liberista. Facendo finta di polemizzare contro una componente comunista che, precedentemente, si sarebbe infiltrata nel PD. E non verso una parte che era stata maggioritaria nella costituzione di quel partito, erroneamente rinunciando alla propria lunga storia individuale e collettiva, buttando nel fosso la “Bandiera Rossa”. Con tutto quello che ha rappresentato e rappresenta in termini di emancipazione dallo sfruttamento e dalle guerre del capitalismo, nella fase imperialista. Per Renzi non si è trattato di una semplice caduta di stile! Lui è, semplicemente, animato da uno snodato spirito di rivincita. Prova a fare terra bruciata intorno a chi vuole, almeno a parole, riprendere a stare dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori, occupati e disoccupati. La bandiera rossa, quella vera e la canzone, fa molta paura a Renzi e alla sua parte più sottomessa.

Si è potuto vedere che al Lingotto c’erano moltissime facce imbarazzate! Renzi ha già abbondantemente dimostrato che sulle cose principali non è di sinistra. Dunque ha paura che la bandiera rossa torni di nuovo ad essere il vero simbolo della lotta di classe contro la minoranza borghese che esercita, oramai da tempo, senza alternativa apparente il proprio potere di classe. E, per essere più incisivo, dal suo punto di vista a sostegno della sua linea sempre meno credibile, chiama in soccorso Marchionne, erigendolo a simbolo di una presunta “riscossa” italiana. Questa non è definibile una macchietta ma è una vera e propria provocazione verso tutte le salariate e i salariati italiani che pur riuscendo a vendere, a stento, la propria forza lavoro non riescono più a vivere dignitosamente con le proprie famiglie, quando sono monoreddito. Se fosse stato un italiano onesto e un vero statista, Renzi avrebbe dovuto vergognarsi per il fatto che il tanto decantato Marchionne riceve un “salario” pari alla somma dei salari di duemila operai. Con questo, Renzi ha dimostrato, se ancora ce n’era bisogno, “da che parte della barricata sta”.

Al Lingotto non è andata in scena la lotta tra due sinistre: una vera ed una falsa. Ma più semplicemente tra una falsa sinistra, di chi si è messo a pieno servizio del capitalismo italiano e chi, assente, forse vorrebbe riaprire i termini della cruciale e drammatica moderna questione sociale. Il renzismo è stato finalmente messo apertamente in crisi nell’ultima Assemblea Nazionale del Pd, dove sono emerse vari tipi di differenze che volevano scongiurare la scissione. Crisi che è stata spinta in avanti dalle recenti disfatte di Renzi e proprio dalla scissione. E che potenzialmente manda alle ortiche la “vocazione maggioritaria” di tipo personale, che forse è stato il vero e principale aspetto costituente del Pd. Prima di Veltroni e ora di Renzi. Sul terreno delle alleanze elettorali, al Lingotto, si sono palesate altre fortissime tensioni e divisioni che, notoriamente, sono un terreno molto scivoloso della lotta tra le classi. Oramai, altri abbandoni sono prevedibili, in tutti i passaggi della lotta politica interna ed esterna. Nel campo renziano, scomposizioni e ricomposizioni, posizionamenti e riposizionamenti sono all’ordine del giorno. Il si salvi chi può è nell’ordine delle cose! Le candidature alle primarie di Orlando ed Emiliano, sommate, avrebbero, sia pure nei sondaggi, quasi il 50 % di preferenze. Di sicuro la nuova legge elettorale, se in  Parlamento verrà approvata, sarà il discrimine più insidioso per Renzi ed il renzismo. Perché i due contendenti alla segreteria hanno già dichiarato che loro sono favorevoli ad un’ampia coalizione di centro-sinistra.

Comunque, fino ad oggi, tutto il variegato schieramento di sinistra, democratico e progressista esterno, non ha elaborato ancora un vero e proprio programma alternativo allo stato di cose presente. Comunque ha fatto capire a chiare lettere che, in un’eventuale coalizione, non è disponibile ad indossare il cappello, fortissimamente neocentrista, di Renzi. Perché, almeno nelle enunciazioni, quello schieramento sarebbe più orientato per una coalizione di sinistra centro il cui riferimento sarebbe il mondo del lavoro. Tutto o molto, comunque, dipenderà dal sistema elettorale. Non dai propri desideri. Solo allora si vedrà come si orienterà ogni singola forza politica rinascente o nascente. I giochi sono aperti! Che cosa sarà privilegiato? Un nuovo programma neo-centrista rappresentato dal renzismo borghese o una coalizione effettivamente progressista? O due coalizioni?  Una, fintamente di centro-sinistra, con Renzi candidato alla Presidenza del Consiglio, ma in realtà neocentrista, o una coalizione di sinistra aperta a settori moderati che, però, condividono un percorso di vere riforme di struttura in tutti i campi. Capace, soprattutto, di ingaggiare una lotta di massa anche dall’opposizione, se inevitabile, per riconquistare diritti e tutele a tutto il mondo del lavoro, alle donne e agli anziani e ai giovani e che recuperi la sovranità nazionale del Popolo Italiano.

L’effervescenza sta continuando a far crescere un largo campo di sinistra autentica. Nessuno parla più di legge elettorale, di “elezioni subito” o “quanto prima”. “La stessa baldanza” di Renzi è una finta baldanza! Perché sa benissimo che non ha più il potere assoluto per dire l’ultima parola. Né nel Pd né fuori. Fa “buon viso a cattivo gioco” perché sia per le primarie che per le elezioni non ha più “il vento in poppa”, è diminuito con la sconfitta alle elezioni regionali e amministrative dell’anno scorso. Il colpo decisivo però gli è stato assestato il 4 dicembre del 2016 con la marea montante dei NO. Il vento ha cambiato definitivamente direzione. Poi, il suo capitale preso in prestito è finito in fumo, con la sostanziale bocciatura dell’Italicum da parte della Corte Costituzionale. Per una valutazione di merito, dal punto di visto delle salariate e dei salariati, del programma elettorale di Renzi e del giustamente ribattezzato “giglio nero”, bisogna aspettare ancora.

Nel chiaro e netto ridimensionamento di Renzi e del renzismo, c’è anche l’indagine in corso sull’appalto di 2mld e 700mln di euro, che vede coinvolta la Consip il cui dirigente è stato nominato proprio da lui. L’indagine vede coinvolto il padre di Renzi ed un Ministro della Repubblica. Renzi, in un modo o nell’altro, è in caduta libera, o vi è prossimo. “Non gliene va più una buona”! E’ nato sotto una cattiva stella! L’avventurismo, tipico di tutti i Bonapartisti, non sta punendo solo Renzi, ma sta trascinando lo stesso Partito Democratico in un implacabile declino. Tutto questo andazzo richiederebbe una nuova riflessione della sinistra, veramente tale, e nello stesso campo neo-centrista nel Pd. Da parte loro le destre, tutte le destre, stanno provando ad approfittare della situazione per dare spazio alla ricerca di una unità reazionaria, tra virgolette, moderata. D’altro canto, Di Maio, in preda a un delirio di onnipotenza, da probabile candidato dei 5stelle alla Presidenza del Consiglio, ha dichiarato pubblicamente “quando andremo al Governo, anche senza maggioranza, metteremo ai voti le nostre proposte di legge. Poi si vedrà”.  Questa dichiarazione non solo sfiora il grottesco ma è tesa a sminuire le funzioni del Presidente della Repubblica, riducendolo a comparsa.  Comunque, Renzi, Berlusconi e Di Maio hanno detto che ognuno di loro prenderà il 40% dei voti, necessario per fare scattare l’ignobile premio di maggioranza, che corrisponderebbe al 54% di eletti alla Camera dei Deputati. E al Senato? Tutti e tre non hanno detto niente. Appare sempre più chiaro che c’è un palese accordo per non andare alle elezioni.

Noi, le comuniste e i comunisti del Partito Comunista Italiano, ribadiamo che siamo impegnati a dare il nostro massimo contributo veramente unitario per realizzare la più grande unità di tutte e tutti i comunisti, comunque collocati.

Questo al fine di potere essere nelle migliori condizioni possibili per dare un contributo significativo e qualificato sul piano politico e programmatico, che sia capace di risollevare tutto il popolo lavoratore dalla crisi generale in cui l’ha trascinato il sistema capitalistico dominante. Tattica politica attiva e flessibile, capace di unire la stragrande maggioranza delle italiane e degli italiani, di neutralizzare gli oscillanti e di isolare il pugno ristretto dei reazionari. Ci batteremo fino in fondo sul terreno di un’alternativa democratica, imperniata su di una autentica sinistra sociale, democratica e progressista. Con tutte le contromisure e la prudenza necessarie. Nessuno riuscirà a metterci all’angolo. Nemmeno con la riedizione della vergognosa “conventio ad excludendum”. Perché, a Bologna, nella nostra Assemblea Costituente, abbiamo deciso unanimemente che il Partito Comunista Italiano sarà comunque presente con il proprio simbolo, che tanto fa paura a Renzi. Con il nostro Programma, veramente riformatore e con le nostre priorità. Di sicuro, ci saremo con tutte le nostre argomentate critiche al moderno neoliberismo, al centrismo e all’inumano moderno capitalismo e a tutte le sue malefatte compiute, in stretta complicità, con l’aristocrazia finanziaria, nazionale e mondiale.

“Uniti si vince”! Viva l’unità di classe per il riscatto e l’emancipazione dell’Umanità!

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