TESI 7

CONTRO QUESTA EUROPA

LE CONTRADDIZIONI STRUTTURALI DELL’UNIONE EUROPEA

  1. L’Unione Europea non rappresenta tutti i popoli e i Paesi europei e non è la nostra Europa: i comunisti, infatti, lottano per la prospettiva politica di un’Europa unita (dall’Atlantico agli Urali) di orientamento democratico e progressista sul piano interno e internazionale, che rompa con il quadro dato. È un progetto ambizioso e di lungo periodo che fa da sfondo alla battaglia contro il contesto europeo vigente, all’azione di contrasto degli orientamenti antipopolari oggi egemoni entro l’attuale configurazione europea. Essa infatti si caratterizza sempre più come un processo di (dis)integrazione che, sul piano interno, è fondato sulla moneta unica, sul neoliberismo e sul modello mercantilistico tedesco (centrato sulla deflazione salariale come leva per il recupero delle competitività), mentre su quello esterno si basa sul crescente militarismo e su una politica estera interventista ed aggressiva (come si è visto ad esempio con la guerra alla Libia, con il supporto al golpe in Ucraina e con le sanzioni alla Russia). Sul piano politico assistiamo alla realizzazione di un progetto che è il frutto di un compromesso tra la tendenza federalista (fortemente maggioritaria tra le fila del Partito Socialista Europeo), che punta alla strutturazione di un super-stato europeo, ed una tendenza schiettamente neoliberista o hayekiana (prevalente tra i conservatori ed i popolari) che persegue una sovranità politica al servizio della centralità del mercato. Un processo, quindi, la cui configurazione finale è la costruzione di una potenza imperialista, nemica dei popoli e della democrazia, dei diritti dei lavoratori e delle Costituzioni antifasciste dei paesi dell’Europa del Sud.
  1. Il processo di costruzione dell’Ue e dell’euro ha comportato sempre più la perdita di sovranità e la sottrazione di democrazia ai popoli e ai rispettivi legittimi parlamenti ed ha segnato l’acuirsi di contraddizioni: l’approfondirsi delle divaricazioni di classe, il deperimento della democrazia, una profonda crisi di civiltà e il permanere di tendenze che, assecondando la politica di aggressione e di guerra degli Usa, mirano ad assicurare all’Europa il controllo di un’area “sub-imperiale”. Nell’attuale compagine europea gli enormi processi di privatizzazione, lo smantellamento dei diritti dei lavoratori e del welfare, l’aumento esponenziale della disoccupazione (soprattutto giovanile) hanno evidenziato una gigantesca contraddizione di classe che ha giustapposto da un lato la distruzione di capitale fisico e l’impoverimento di chi vive del proprio lavoro [integrazione Veneto] e, dall’altro lato, la concentrazione senza precedenti di capitale e potere politico. Abbiamo assistito alla distruzione della capacità produttiva dei Paesi “periferici” (emblematico il caso italiano: mai, in tempo di pace, si era avuto un analogo verticale arretramento). Nel merito, clamorose sono le responsabilità delle classi dirigenti dei singoli Stati europei, le quali hanno ingannato i propri popoli millantando che obbiettivi nazionali e fini europei fossero coincidenti: una vera e propria fuga dalla sovranità in nome di una cieca e distorta fede europeista che ha incentivato l’assenza dello Stato, ne ha esaltato una sua gestione privata ed ha sottratto al controllo popolare e alla partecipazione democratica ogni forma di vigilanza. In questo modo è esplosa la contraddizione tra democrazia e sovranità, contrapposte a centralizzazione dei capitali e assolutismo oligarchico delle istituzioni sovranazionali.
  1. La gestione dei flussi migratori (o meglio: il loro respingimento brutale) rende altresì evidente la contraddizione tra gli sbandierati propositi di integrazione continentale (con annesse garanzie di pace) e la crisi di civiltà che tale gestione ha invece innescato. Appare sempre più palese come l’idea di Altiero Spinelli di un’Europa unita, capace di garantire pace e prosperità al continente intero, concepita nel contesto di un mondo bipolare, nell’era della trionfante globalizzazione capitalistica -con il riaffiorare di guerre (dai Balcani all’Ucraina) e il sopraggiungere di una profonda crisi politica, economico-sociale e morale– finisca oggi per risultare astratta e retorica. Infine, occorre prendere atto delle tendenze imperialistiche e “sub-imperiali” che la costruzione dell’Ue e dell’euro ha posto in atto. Con la competizione “interna” tra stati dell’Unione che si contendono l’egemonia dentro e fuori lo spazio comunitario, si intrecciano le contraddizioni con gli Usa, rispetto al tema della supremazia del dollaro e del suo ruolo sulla scena mondiale. Alcuni fatti recenti hanno infatti approfondito significative linee di frattura: la crisi ucraina si è sviluppata lungo la contraddizione tra Ue ed Europa in senso lato (Russia compresa); il Brexit, la possibile uscita del Regno Unito a seguito del referendum di giugno 2016, va collocata lungo la contraddizione tra i 28 Paesi dell’Ue e i 19 Paesi dell’Eurozona; la crisi greca è deflagrata lungo la contraddizione tra Paesi centrali/creditori e Paesi periferici/debitori. Tutto questo mostra i contorni di una duplice crisi: al tempo stesso dell’Ue e nell’Ue.Resta fermo comunque un punto.Il pericolo più grave all’orizzonte è una grande guerra contro la Cina e/o contro la Russia, scatenata dall’imperialismo statunitense con l’appoggio o la complicità dell’Unione Europea. E’ contro questo pericolo che dobbiamo saper mobilitare il più ampio schieramento possibile.

PREPARARE UN’ALTERNATIVA

  1. A livello di massa è diventato sempre più evidente che dentro questa Europa sono impossibili politiche alternative che cambino la natura del processo. L’esperienza greca, da questo punto di vista, è stata eloquente nel dimostrare come la strada dell’ “europeismo di sinistra” (critica dei trattati e richiesta di modifiche parziali nell’ambito dell’Unione) non sia percorribile nemmeno a fronte di un’ampia mobilitazione e sostegno popolare: questa Ue risulta impermeabile a qualunque tentativo di riforma. Ciò falsifica la tesi ostinatamente prevalente nell’establishment italiano secondo cui i problemi che affliggono l’Europa si risolvono con “più Europa”, cioè proseguendo e rafforzando il processo di integrazione in atto. Il problema non è quanta Europa ma quale Europa: quale progetto sociale, quali direttrici economiche ed internazionali e quale progetto di società. La scelta diventa stringente: l’accettazione dei vincoli economici e della cultura politica che stanno alla base dell’architrave istituzionale dei trattati europei è infatti in antitesi con le aspirazioni di fondo che hanno animato i nostri padri e le nostre madri costituenti allorquando hanno scritto la Costituzione Italiana del 1948.
  1. I comunisti sono per una cooperazione pan-europea tra Stati sovrani, per lo sviluppo delle forze produttive dell’Italia, in cui si affermi un forte ruolo progressivo dello Stato nell’economia, si sviluppi una forte lotta per affermare i diritti sociali e politici dei lavoratori e per respingere

l’attacco alla democrazia e alla Costituzione. La difesa della sovranità nazionale va intesa essenzialmente nel quadro del perseguimento di un sistema economico e produttivo più giusto e più equo, in un quadro di solidarietà e cooperazione internazionale per la costruzione di azioni convergenti e lotte comuni con altri popoli e Paesi in vista di un progresso sociale e civile. Non pensiamo ad alcuna chiusura autarchica e nazionalista ma alla costruzione di nuove forme di cooperazione economica, politica e valutaria tra stati sovrani, a rapporti stretti tra tutte le forze della regione pan-europea e mediterranea che operino con una logica alternativa a quella euro-atlantica, che ripudino la guerra, si autonomizzino dalla Nato e si aprano alla collaborazione coi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica).

  1. L’assetto dell’eurozona è oggettivamente contradditorio e, alla lunga, insostenibile. In ogni caso, esso è votato a mettere in crisi la stessa esistenza della sinistra in quanto tale. A fronte di un reiterato rifiuto alla richiesta di porre fine alle politiche di austerità, alla mancata espansione della domanda interna in Germania (che sta distruggendo la gran parte delle economie dell’Eurozona e sta comprimendo i salari) e all’attribuzione di un ruolo attivo alla Bce anche nella lotta alla disoccupazione e non solo all’inflazione, i comunisti hanno il dovere di mettere in discussione la stessa partecipazione alla moneta unica europea, preparando il Paese a questa eventualità e impedendo che una tale opzione possa essere egemonizzata da forze neofasciste o espressione dei grandi monopoli internazionali. A fronte del rischio di un’implosione dell’eurozona sotto l’egida dei grandi capitali transnazionali, i comunisti devono lavorare alla costruzione di un blocco sociale intorno all’ipotesi di un’uscita da sinistra dall’euro, una prospettiva tesa ad evitare che a pagare dazio sia il mondo del lavoro. Va ricordato che a tal fine si tratterebbe di operare uno stretto controllo del flusso di capitali in entrata e in uscita (tale da impedire una fuga di capitali), di nazionalizzare il capitale bancario e industriale per sottrarlo all’acquisto “a buon mercato” da parte del capitale straniero, di salvaguardare i redditi da lavoro attraverso meccanismi automatici di indicizzazione dei salari e calmieri sui beni di prima necessità. In generale, occorrerebbe impegnarsi per la costruzione di un’area di libero scambio tra i Paesi dell’Europa del Sud. Accanto all’esplicitazione di concrete proposte economiche finalizzate a sostenere un quadro d’insieme alternativo all’attuale, i comunisti devono continuare a farsi promotori di due obiettivi politici centrali: il primo è un cambio della politica estera, con la rottura dell’asse atlantico, l’uscita dalla Nato ed una cooperazione pan-europea tra Stati sovrani, aperta alla cooperazione strategica coi paesi BRICS e coi paesi disposti a tenere aperte linee di credito; il secondo è la costruzione di una nuova classe dirigente, non compromessa con le vecchie élites che hanno assecondato la distruzione del tessuto economico, politico e sociale del proprio Paese. In questi anni, non c’è stato alcun esponente di centro-destra o di centro-sinistra che, davanti al disastro sociale provocato dalle politiche di Bruxelles e Berlino, abbia anche solo adombrato nei negoziati con gli organismi dell’Ue la minaccia di un abbandono dell’area valutaria, mostrando come il bipolarismo parlamentare si sia in realtà ridotto a un monopartitismo esercitato dall’unico partito dell’euro al governo.
  1. Per rendere più forte ed efficace la lotta contro l’attuale configurazione dell’Ue, riteniamo che il compito prioritario sia quello di promuovere battaglie nazionali (in cui si coniughino obiettivi parziali di lotta, con un impianto complessivo di fuoriuscita da questo quadro strategico) e di coordinare tali lotte sul piano europeo. In questa azione di coordinamento riteniamo che un ruolo centrale debba essere svolto dal Gruppo della sinistra unitaria europea (Gue-Ngl). Crediamo che esso debba recuperare appieno la sua originaria impostazione confederale, dove tutti i partiti (non solo i gruppi parlamentari al Parlamento Europeo) operino con pari dignità, nel rispetto della sovranità e dell’indipendenza di ogni forza politica che vi appartiene. Parimenti consideriamo prioritario rafforzare i legami tra i partiti e i movimenti comunisti, anti-capitalisti, anti-imperialisti e progressisti che si battono contro le politiche dell’Ue e della Nato, dentro e fuori i confini dell’Unione.

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