di Patrizio Andreoli, Segretario Regionale Pci / Toscana
Le polemiche scatenate nei giorni scorsi contro l’Anpi cogliendo a pretesto la presenza di una delegazione palestinese nel corteo del 25 aprile a Roma, meritano una riflessione ed uno sguardo lunghi, capaci di andare oltre una cronaca segnata da amplificazioni mediatiche, forzature strumentali, miserie di parte, scarsa memoria politica e storica. Sul merito altri, a partire dal Presidente Anpi Carlo Smuraglia, hanno già detto con chiarezza. Alle sue parole, tra i tanti, si sono aggiunte quelle dell’intellettuale Moni (Salomone) Ovadia di ascendenza ebraica sefardita, che in coda a molti sproloqui volgari metteva in luce come “il 25 aprile ricorda e celebra sì la memoria della lotta contro la barbarie nazifascista, ma irradia anche un insegnamento e un monito che cammina di generazione in generazione: il dovere di opporsi a ogni oppressione per liberare ogni popolo oppresso da chiunque ne sia l’oppressore. Per questa ragione, lo slogan più ripetuto nella manifestazione dell’antifascismo è Ora e sempre Resistenza!; pertanto chiunque inalberi simboli che richiamano alla libertà e all’indipendenza dei popoli è legittimo erede dei partigiani.”
Basta? Polemica indecorosa (ma non per questo meno efficace) chiusa, oppure il tutto rimanda ad altro e a molto di più? Chiederselo non è esercizio retorico. Tutt’altro. Ritengo che faccia parte di quell’aggiornato sforzo di vigilanza critica e attiva delle coscienze di cui abbiamo gran bisogno. Mai, infatti, come in questa fase si deve agire il necessario sforzo di leggere lucidamente (senza grida inutili da un lato e sottovalutazioni dall’altro) le spinte profonde del nostro presente, nella consapevolezza di come su scala europea e nazionale ci si trovi dinanzi ad un’opera di incessante corrosione dei capisaldi delle coscienze democratiche, di sovversione dei principi di rappresentanza eguale e democratica (a partire da voto), di svilimento degli spazi di partecipazione reale, di attacco al nucleo civile e morale rappresentato dall’Antifascismo e dalla lotta di liberazione che rimanda al protagonismo diretto dei popoli e al loro diritto di appropriarsi in prima persona del loro destino; insomma a quella che io considero nella sua essenza più densa e coerente “democrazia”. Nel nostro Paese in modo particolare, questi attacchi oltre al carattere frontale e scoperto da sempre conosciuto, hanno assunto anche il tratto camaleontico di un dire che tutto relativizza, depotenzia, infanga o falsifica; di un dire che nel mentre in via apparente fa appello al politcally correct, in verità opera per disfare e distruggere senza tanti complimenti -questo è l’obbiettivo autentico!- i bastioni di tenuta profonda della coscienza democratica e della memoria collettiva. La verità è che al netto dei fatti accaduti lo scorso 25 aprile, si è cercato e procurato una vera aggressione all’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e non solo (di quel “non solo”, dirò qui ancora). Un attacco al nucleo generale di valori, di quegli uomini e di quelle donne che pur morse da una crisi che macina lavoro e speranza, ruolo sociale e valori, in un deserto di coerenza e pulizia riconoscono ancora all’Anpi un non usurato primato morale; il peso
speciale di chi ha radici serie e rappresenta una voce da ascoltare nel coro dei tromboni, delle esagerazioni, degli scoop finti o veri in quel “Teatro Italia” che ormai rimanda spesso al tragico e persino al grottesco. Trovo che si tratti di un attacco che prende le mosse da un desiderio di punizione e di rivincita. Di punizione per le ferme prese di posizione assunte dall’Associazione in occasione della battaglia referendaria dello scorso 4 dicembre in difesa dell’impianto della Costituzione democratica ed antifascista (l’essere riusciti in questo intento, ha mandato per ora fallito il progetto di molte forze diverse e potenti!); e di rivincita (o vendetta) politica alla cui base vi è l’irritazione (ma pensando al tono di alcuni sarebbe più appropriato dire, livore e rabbia) derivante dalla constatazione del peso nazionale, del prestigio e della credibilità -per alcuni, troppi e da ridimensionare- di cui tutt’oggi gode l’Anpi. Insomma qualcuno all’epoca aveva sottovalutato la presa politica e civile dell’organizzazione dei partigiani italiani, ed oggi si lecca le ferite e non si dà pace. Quel “qualcuno” è stato costretto a ricredersi e ha aperto gli occhi. Non commetterà, quindi, lo stesso errore una seconda volta. E’ stato compreso, che non solo si ha a che fare con un soggetto di cui non si può minimizzare l’influenza generale, ma che va iscritto con costante cura nell’agenda dei protagonisti della vita italiana da indebolire, marginalizzare e se possibile dividere. E tanto più l’Anpi stessa ha per proprio obiettivo la difesa e tutela di valori inossidabili (oltre le mode e le convenienze immediate), e di un’autonomia che salda e nutre un autentico spirito unitario e plurale; tanto più risulta difficile da espugnare ed insieme un obbiettivo da colpire. Quelle forze che a dicembre hanno subito un momentaneo colpo d’arresto, non sono affatto rese e risultano ancora permanentemente all’opera. Un mondo composito e trasversale che oggi tiene insieme la destra storica, vecchi rottami fascisti ed un nuovo ed insidioso neofascismo eclettico che si nutre della disperazione sociale diffusa producendo una crescente richiesta d’ordine (il cui dilagare non va sottovalutato); e aggiornati picconatori ai diritti sociali ed alla Costituzione che in nome della modernità e del nuovo, delle compatibilità e del mercato, dell’efficientismo e del decisionismo, trovano in una parte del Pd e ambienti ad esso vicini della stampa e della finanza, orecchie attente e sensibili. Preoccupa in tal senso la polemica volgare avviata sui partigiani “veri” (vedi le posizioni del Ministro Boschi), quelli moderni, quelli buoni che volevano il rinnovamento (!) dell’Italia e la (contro-) riforma della Costituzione. Un dire consapevolmente ed insistentemente sostenuto e nutrito in primis proprio negli ambienti del Partito Democratico in una fase in cui, a tratti, si vagheggiava ancora pochi mesi fa l’ipotesi del Partito della nazione di renziana ispirazione (e con lui, di alcuni poteri forti presenti nel Paese e su scala europea). Insomma, preoccupa il tentativo di discreditare l’Anpi gettandolo nel tritacarne di polemiche indecenti, di supposizioni speciose, di distinguo tesi a depotenziarne la spinta politica, l’azione di denuncia in difesa della democrazia, la statura etica.
Puntando alla rivincita politica, quella distinzione tra partigiani “veri” e non, potrebbe essere il primo segnale (avvelenato), il primo affondo da cui muovere una strategia tesa sostanzialmente a dividere (laddove oggi non si può abbattere o liquidare) la stessa Anpi. L’eventuale costituzione di una nuova sedicente associazione partigiana più permeabile ai segni ed alle richieste di tutto quel mondo che vuole la rivincita e non ha dismesso -insisto- la speranza di stravolgere la Costituzione; darebbe risposta a molte cose. Sarebbe in sé utile non per lo spazio e la voce che sarebbe offerta ad una parte dei partigiani in uscita, ma per il semplice risultato di aver conseguito intanto e comunque la divisione della gloriosa Anpi. L’esperienza del secondo dopoguerra con l’uscita dall’Anpi (1948) dei cattolici e degli autonomi che costituirono la Federazione Italiana Volontari della Libertà (FIVL) mercé il mutato clima internazionale e l’avvio della fase centrista (e di un feroce e puntuale anticomunismo), dovrebbe non essere dimenticata. Il punto è che se mai oggi servisse, qualcosa di simile se non peggio, potrebbe di nuovo accadere. La storia ha i suoi contrappassi, i suoi corsi e ricorsi persino le sue ironie. Dobbiamo tenerne conto ed imparare dai passaggi stretti. Capire e prevenire. Antonio Gramsci con lucidità ricordava amaramente come spesso la “…storia insegna, ma non ha scolari!”. Noi dovremo per l’appunto dimostrare che la storia ci è invece maestra e siamo quindi avvertiti circa la piega che potrebbero prendere gli eventi. Qualcuno dirà: ma davvero si ritiene che sia considerato così importante il destino dell’Anpi? Potrebbe da solo non esserlo, ma divenirlo quale parte di un puzzle di attacco di fondo alla democrazia italiana. Per questo bisogna fare attenzione e vigilare. In proposito, i comunisti assolveranno al proprio compito. (02 maggio 2017)
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