STRATEGIE POPULISTE E RICOSTRUZIONE DEL PARTITO COMUNISTA  

di Bruno Steri, Segreteria Nazionale PCI

In un’intervista concessa lo scorso 10 gennaio al giornale quotidiano ‘Il Dubbio’, il segretario del Prc, Maurizio Acerbo, dichiarava: “Sono anni che lavoriamo per costruire una soggettivita’ unitaria della sinistra anticapitalista plurale: come lo e’ Syriza in Grecia, Podemos in Spagna e France Insoumise in Francia”. Progetto legittimo, evidentemente diverso da quello proclamato dal PCI, sin dalla sua costituente bolognese, che appunto mira alla ricostruzione del Partito Comunista. Assai meno opportuna mi e’ parsa la recente promozione in piena campagna elettorale di un’iniziativa che, guardando oltre il 4 marzo, propone il lancio di “una costituente del soggetto dell’alternativa”: sarebbe stato meglio evitare di amplificare, prima del voto, temi che non uniscono i diversi soggetti componenti la lista Potere al Popolo. Comunque, prendiamo atto. Ma a questo punto ci sentiamo anche noi autorizzati a entrare nel merito della questione.

Lo facciamo in un modo un po’ eccentrico, a partire cioè da una significativa intervista a Lenny Benbara, intellettuale vicino a France Insoumise, comparsa su ‘Le Figaro’ lo scorso 2 febbraio e tradotta per il periodico italiano ‘Senso comune’. Secondo Benbara, il raggruppamento guidato da Jean-Luc Mélenchon oscilla tra una “strategia di sinistra” e “una strategia populista” ma precisamente a quest’ultima (intesa in un’accezione positiva) a gioco lungo ci si dovrebbe affidare. A differenza del tradizionale appello alla “sinistra” e al “popolo della sinistra”, che colloca la proposta politica in uno spazio gia’ delimitato e decentrato, il “metodo populista” non si accontenta di parlare alla sinistra ma guarda alla “costruzione di un popolo”, appropriandosi di significanti trasversali e meno identificabili con il linguaggio tradizionale della sinistra. Benbara non nega che a France Insoumise sia arrivato un consistente consenso proprio da sinistra. Ma, a suo parere, l’ambizione deve essere quella di sottrarre a Marine Le Pen l’appoggio delle classi popolari e a Emmanuel Macron quello delle classi medie urbane: sarebbe quindi poco produttivo “iscriversi in un’identita’ politica strutturalmente minoritaria ed in piena fase di svalorizzazione simbolica ovunque in Europa”.

Considerazioni analoghe – ispirantesi al “metodo populista” elaborato dal filosofo argentino Ernesto Laclau – hanno presieduto alla nascita di Podemos in Spagna: dove un gruppo di giovani intellettuali, in un contesto di forte riflusso delle mobilitazioni sociali, ha ritenuto di  dare seguito al movimento “degli indignati” facendo a meno “della vecchia estetica della sinistra” e ragionando “trasversalmente”, così traducendo in battaglia politica i malumori di quel movimento (ma anche concentrando la propria immagine politica nella figura di un leader). Anche qui insomma si è inteso “de-identitarizzare i dibattiti” e dare priorità al concreto (poiché “è nell’azione politica che un popolo si costruisce”).

Abbiamo visto in esordio che esperienze come quelle di France Insoumise e  Podemos sono positivamente citate per illustrare gli obiettivi strategici del Prc e non e’ un mistero che siano attentamente seguite dai promotori di Potere al Popolo. Quanto a questi ultimi, e’ plausibile che considerazioni vicine al “metodo populista” li abbiano indotti a fare quadrato contro l’inclusione del termine “sinistra” all’interno del simbolo della lista. Il PCI, nel merito, ha evitato di condurre battaglie viscerali, anche in considerazione dell’effettivo discredito in cui e’ precipitato tale termine in particolare nel nostro Paese. Tutt’altro discorso, viceversa, il PCI ha fatto per il simbolo del movimento operaio, la falce e il martello,  ad oggi ben vivo e riconosciuto, ma sciaguratamente consegnato dalla lista medesima allo stesso destino di esclusione. Un ulteriore approfondimento delle (alterne) vicende di France Insoumise e Podemos è utile per illuminare aspetti importanti di tale divergenza. Va ricordato che entrambi i suddetti soggetti politici, dopo un buon exploit iniziale, sono entrati in una fase di involuzione e pronunciata diminuzione dei consensi. François Ruffin, deputato del raggruppamento di Mélenchon, ha parlato in proposito di “periodo di riflusso”, dovuto alla incontenibile ascesa di Macron. C’è anche chi parla di sostanziale fallimento. Dal canto suo, Lenny Benbara aggiunge all’analisi dettagli significativi. Mettendo tra parentesi il rischio, insito nel “trasversalismo” populista, di un appannamento delle discriminanti di classe, egli sottolinea che alla base di tale crisi ci sarebbe il “carattere movimentista di France Insoumise, che la obbliga a passare di vittoria in vittoria per mantenere la sua centralità”. Vi sarebbe dunque un elemento strutturale, dunque tutt’altro che contingente, a mettere piombo nelle ali di Mélenchon: “Il movimento è stato costruito come una macchina da guerra elettorale, cioè come una macchina in grado di condurre una guerra di movimento”. Ma politicamente troppo fragile per reggere i tempi lunghi di una lunga guerra di posizione. Come si vede, è qui in questione un tema antico quanto il movimento operaio: il ruolo e la natura del partito.

La perorazione della “strategia populista” proposta da Benbara ne evidenzia contemporaneamente un limite grave, offrendo a noi lo spunto per tornare alla critica mossa dal PCI ai promotori di Potere al Popolo in merito all’esclusione della tradizionale simbologia del movimento operaio. La forza di una proposta politica, la sua credibilità di lunga durata, poggia anche su un intero impianto ideologico e simbolico: è la solidità di tale impianto che costituisce un partito e ne garantisce la prospettiva. Non basta una certa abilità di navigazione politica per evitare che la barca sbandi paurosamente al primo vento contrario (come la stessa storia di Rifondazione Comunista ha abbondantemente dimostrato). Ed è un grave peccato di presunzione ritenere di poter sostituire dall’oggi al domani i riferimenti ideologici e simbolici di una cultura politica, come potrebbe fare una qualsiasi società di marketing: in questi casi, nonostante la bontà delle intenzioni e delle credenziali di presenza sociale, il rischio di deriva elettoralistica è dietro l’angolo. Non si tratta insomma di difendere un’astratta chiusura identitaria separata dal vivo delle dinamiche sociali. Siamo tutti consapevoli delle difficoltà odierne. Louis Althusser, filosofo marxista francese, sosteneva che l’evento più importante del Novecento sia stato l’incontro, per nulla scontato, tra movimento operaio e teoria marxista. In Occidente (e in Italia) oggi assistiamo ad un accentuato scollamento tra queste due entità storiche. Sappiamo che il lavoro di ritessitura non è affare di un giorno: questo e non altro è il lavoro di ricostruzione del Partito comunista. E non potrà essere abbreviato da inutili e pericolosi giochi di prestigio.

Questa divergenza, che è di sostanza, ha impedito (o dovrebbe impedire) la costituzione di una coalizione e la promozione di una lista elettorale “comunista, anticapitalista, della sinistra di classe”? Certo che no. Se fossimo d’accordo su tutto staremmo nello stesso partito. E, appunto, non stiamo ragionando della costituzione di un partito ma di una scadenza elettorale: che proprio perchè è importante ci richiama tutti alle nostre responsabilità. Con quello cui stiamo assistendo in questi giorni, c’è poco da scherzare; abbiamo tutti l’obbligo di provare a far fronte ad un’emergenza politica che non va sottovalutata, provando a conseguire una massa critica che abbia già oggi la forza di rendersi politicamente visibile. Non è qui e ora questione di trovare un accordo sulla forma partito, piuttosto che sull’interpretazione storica di ciò che e’ stato il socialismo reale o ancora sulla natura e il ruolo della Cina odierna. Oggi, in un contesto pesantemente regressivo, siamo chiamati ad offrire qui ed ora una qualche sponda politica al dramma sociale prodotto dalla crisi capitalistica e approfondito dalle politiche antipopolari del governo, su prescrizione dell’Unione europea. Questo e’ specificamente l’obiettivo. La lista Potere al Popolo ha le carte in regola per provare ad offrire una tale opportunità. Tra le altre, per due ragioni di fondo:

-E’ una lista costituitasi a partire da quella che considero la madre di tutte le attuali battaglie: l’azzeramento di ogni ambiguita’ al riguardo di Pd e centrosinistra e la netta demarcazione rispetto alla lista dalemiana di Liberi e Uguali

-E’ una lista composta da soggetti diversi ma tutti nominalmente autodefiniti e come tali riconosciuti in quanto comunisti. Soggetti tra i quali il PCI è legittimamente e rispettosamente intenzionato a far valere la propria egemonia (come ovviamente fanno gli altri).

Due caratteri che rendono Potere al Popolo essenzialmente e radicalmente differente da precedenti autolesionistiche ammucchiate e che rendono concretamente praticabile la nostra proposta di costituzione di un Fronte popolare e di classe in cui comunque ciascun componente mantenga la propria identità politica e organizzativa.

3 Comments

  1. daniele baccarini

    Sono sempre molto attento alle tue analisi, che considero interessanti e con un grande spessore di analisi. Articolo interessantissimo, stimolante, condivisibilissimo nelle premesse, anche se nelle conclusioni mi restano molte perplessità.

  2. vincenzo

    Mi limito a dire che l’ultima volta di una elezione con il simbolo di falce e martello, salvo errori, è stata nel 2015 alle elezioni regionali pugliesi. Pcdi= 0,60%, pdac=0,20%. E se invece fosse più vera la contrapposizione tra ALTO (plutocrazia) e BASSO (democrazia)?

  3. Mimmo Dieni

    Ottima e puntuale analisi del compagno Steri. Condivido in pieno, anche il da farsi.

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