Il congresso del PCI apre, ricordando Domenico Losurdo

Per Domenico Losurdo (di Alex Höbel)

Apriamo questo nostro congresso con l’animo pieno di tristezza per la scomparsa del compagno Domenico Losurdo, avvenuta pochissimi giorni fa, il 28 giugno, nella sua casa di Colbordolo, non lontano da quella università di Urbino, nella quale Domenico ha insegnato per tanti anni, formando generazioni di studenti e numerosi, validi studiosi.

Nato a Sannicandro di Bari nel 1941, pur conservando sempre un forte legame con la sua terra d’origine Losurdo si trasferì giovanissimo nelle Marche, laureandosi in Filosofia a Urbino nel ’63, completando poi la sua formazione in Germania, a Tübingen, grazie a varie borse di studio, e avviandosi così verso la carriera accademica.

Ma fin dagli anni giovanili Domenico – “Mimmo” per gli amici e i compagni – è stato anche un militante comunista, conservando questa qualità fino alla fine della sua vita. Affascinato dal maoismo e dall’esperienza cinese, negli anni ’70 fu parte attiva dell’arcipelago marxista-leninista, aderendo in particolare al Pcd’I (m-l) guidato da Fosco Dinucci.

A partire dagli anni ’80 Losurdo orienta il suo impegno soprattutto verso lo studio e la ricerca. Di questo periodo sono i suoi primi libri, dedicati a classici del pensiero occidentale, da Kant a Hegel, per poi indagare il rapporto tra l’elaborazione di Marx e la tradizione filosofica che lo aveva preceduto: un rapporto dialettico, naturalmente, attraverso il quale il padre del materialismo storico si era collegato alle punte più alte del pensiero borghese per farle proprie e superarle, aprendo un nuovo capitolo della storia culturale e politica del mondo. Lo stesso Losurdo si confronta con l’elaborazione di pensatori come Heidegger, di cui gli interessa quella “ideologia della guerra” così centrale nella storia della “civiltà” occidentale. Al tempo stesso egli inizia ad approfondire la peculiare tradizione del marxismo italiano, a partire da quel “comunismo critico” al quale era approdato il giovane Gramsci.

Ben presto Domenico viene riconosciuto come studioso di livello internazionale. Dal 1988 presiede la “Società internazionale Hegel-Marx per il pensiero dialettico”. Ma è soprattutto negli anni ’90, dopo il crollo dell’Urss e del campo socialista, che la sua ricerca si fa più intensa, iniziando a confrontarsi con tutti i nodi teorici, storici e politici che quell’evento imponeva di sciogliere; impegnandosi, cioè, in una lettura del Novecento, e in generale della modernità, alternativa a quella dominante, a cui tanti anche “a sinistra” si sono accodati. Del ’93 è l’importante volume Marx e il bilancio storico del Novecento, ma anche la sua prima riflessione organica sulla parabola della democrazia rappresentativa, col libro Democrazia o bonapartismo. Trionfo e decadenza del suffragio universale, edito da Bollati Boringhieri.

Losurdo coglie in tempo reale come il riflusso della democrazia, oltre a essere un fenomeno internazionale, iniziato negli anni ’70 ma potentemente accelerato dal crollo dell’Urss, ha una specificità italiana; e su questo egli riflette nel libro La Seconda Repubblica. Liberismo, federalismo, postfascismo: un volume del 1994, l’anno in cui, dopo il dissolvimento dei partiti di massa della “prima Repubblica” e le geniali riforme maggioritarie volute da Occhetto, Segni e Pannella, giunge al potere Silvio Berlusconi, che in soli 5 mesi, col suo partito-azienda giunge al governo del Paese.

Losurdo si rende conto che questa deriva politica ha una componente essenziale nell’egemonia culturale che l’avversario, le classi dominanti e i loro settori più retrivi, stanno costruendo. E cerca di contrastarla sul piano della riflessione storico-politica, dedicando un libro importante al revisionismo storico (edito da Laterza), ma avviando anche una riflessione organica sulla vicenda del comunismo novecentesco: nel giro di tre anni Mimmo pubblica Utopia e stato d’eccezione. Sull’esperienza storica del «socialismo reale», Il peccato originale del Novecento e Fuga dalla storia? Il movimento comunista tra autocritica e autofobia. Sono tappe centrali della sua elaborazione, e il loro significato politico è evidente: Losurdo è convinto, giustamente, che non si può rilanciare l’identità comunista, la prospettiva del socialismo, e più in generale non si può delineare alcuna alternativa al dominio del capitalismo, se i comunisti non fanno i conti con la propria storia, se manca un lavoro di analisi, uno sforzo di interpretazione del comunismo del Novecento portato avanti con gli strumenti del marxismo e in grado di contrapporsi alle letture liquidatorie, alla criminalizzazione di quella storia, ormai passate nel senso comune ma che rischiano di essere subite e assimilate dagli stessi comunisti. E in questo quadro verrà il suo libro su Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, in cui egli rilegge la vicenda sovietica e la figura di Stalin nel contesto dello scontro drammatico che ha caratterizzato il Novecento tra forze di progresso e forze della reazione.

Dall’altra parte, Mimmo lavora alla rilettura critica del liberalismo, ponendo in primo piano la questione coloniale e superando ogni visione eurocentrica, così diffusa anche a sinistra. Losurdo muove dall’assunto secondo il quale per giudicare un paese o una civiltà bisogna vedere come agisce nelle colonie. Allargando lo sguardo dal centro del sistema capitalistico alle sue periferie, la storia edulcorata della liberaldemocrazia assume ben altre tinte: quelle della schiavitù, del razzismo, degli eccidi e della morte in massa dei popoli coloniali, de-umanizzati, privati di ogni diritto e sterminati. In questo quadro Mimmo propone una lettura della modernità nella quale il liberalismo non è legato tanto alla democrazia quanto alla rigida divisione in classi della società e alla netta frattura tra popoli asserviti e “popolo dei signori”, per i quali soltanto la democrazia è in vigore, con una divisione tra esseri umani e “sotto-uomini” che il nazismo porta alle sue estreme conseguenze. È una interpretazione forte, per molti persino “scandalosa”, che rovescia completamente il quadro concettuale dominante: alla favoletta della democrazia insidiata da comunismo e fascismo ma sposa promessa del capitalismo liberale – una metafora che Mimmo usava spesso – contrappone una lettura in cui il rapporto tra capitalismo e democrazia è molto più conflittuale, e al contrario sono proprio il movimento operaio, il movimento comunista e i movimenti di liberazione a porre il tema di una effettiva emancipazione umana e a produrre i maggiori passi in avanti sul terreno della democrazia, oltre che dell’eguaglianza e del progresso sociale.

Questa impostazione sarà sviluppata da Losurdo fino all’importante libro La lotta di classe. Una storia politica e filosofica (Laterza 2013), nel quale egli individua “le diverse forme della lotta di classe”, intrecciando la battaglia contro lo sfruttamento condotta dalla classe operaia con quella per l’emancipazione dei popoli oppressi e con quella per la liberazione delle donne: tre forme della lotta dei “subalterni” che i comunisti devono saper leggere e tenere assieme.

Quello di Losurdo studioso resta dunque fino in fondo anche un contributo politico. Ma accanto ai suoi libri c’è l’impegno militante più diretto: l’adesione a Rifondazione comunista, nella quale sostiene la battaglia interna dell’area dell’Ernesto, poi la lotta per l’unità dei comunisti, la presidenza dell’associazione Marx XXI, l’adesione al Partito dei comunisti italiani e infine al nuovo Pci, che tutti insieme costituimmo a Bologna due anni fa. E in questo quadro, non solo Domenico ha tenuto centinaia di conferenze, seminari, dibattiti, ha parlato a decine e decine di convegni, andando in giro per l’Italia oltre che per il mondo, ma è stato anche presente nelle dinamiche interne di partito, senza estraniarsi, e anzi non facendo mai mancare la sua presa di posizione, il suo contributo alla chiarificazione e alla “pulizia” del dibattito, avendo sempre come bussola l’unità, lottando contro ogni settarismo, pur nella riaffermazione netta dell’identità comunista. In questo senso Mimmo ci ha insegnato che proprio quando si possiede un’identità forte e chiara, dalle solide basi, si può andare al confronto e anche all’incontro con altri con tranquillità e sicurezza, forti delle proprie ragioni e della propria cultura politica.

Negli ultimi anni Losurdo ha insistito molto sul tema della guerra e della necessità di una nuova lotta per la pace e contro il militarismo guerrafondaio di Stati Uniti e Nato. Al tempo stesso ha guardato con grande interesse, stringendo rapporti preziosi, al nuovo corso della Repubblica popolare cinese: per gli straordinari risultati ottenuti in termini di fuoriuscita dalla povertà di milioni di persone, come esempio di un cammino verso il socialismo fondato marxianamente sullo sviluppo delle forze produttive, ma anche come fondamentale contrappeso negli equilibri mondiali al blocco atlantico e alle sue tendenze aggressive, alle quali la Cina contrappone l’idea di uno sviluppo armonioso e di un mondo multipolare, basato sulla cooperazione anziché sulla guerra.

Per quanto riguarda il contesto italiano, Mimmo ha continuato a sottolineare la necessità di tenere assieme lavoro teorico e culturale e organizzazione politica e di massa: per questo ha sostenuto progetti come la Scuola di formazione politica del nostro partito, la rinascita di Marxismo Oggi in versione online, o ancora la rivista digitale “Materialismo storico” diretta dal suo allievo Stefano Azzarà, ma si è impegnato anche in iniziative contro la Nato, sui problemi internazionali, sulla Cina, e infine prendendo posizione in occasione delle ultime elezioni politiche.

E tuttavia Domenico guardava con crescente preoccupazione allo stato dei comunisti e dell’intera sinistra in Italia. Aveva dedicato uno degli ultimi libri proprio al tema della “sinistra assente”, stretta tra le maglie della “società dello spettacolo” e le tendenze alla guerra. Allo stesso modo era preoccupato dall’emergere di posizioni cosiddette “rosso-brune” anche in settori dell’arcipelago comunista, e fino all’ultimo ha sottolineato come la centralità della questione nazionale e la giusta lotta per la difesa della sovranità nazionale e popolare non dovessero degenerare in forme di chiusura e arretramento culturale incompatibili con l’internazionalismo proletario e comunista.

Proprio il recupero di uno sguardo globale (quello sguardo che Losurdo contestava al marxismo occidentale di aver smarrito), ponendo l’alternativa del socialismo al livello delle contraddizioni e delle sfide attuali, che sono quelle della raggiunta unificazione del genere umano sulla base di un mercato mondiale interdipendente; la capacità cioè di ridare al progetto comunista quel respiro universale che sempre lo ha caratterizzato: proprio questi sono i compiti e le sfide che Mimmo ci lascia in eredità, assieme alla grande elaborazione che ha prodotto nella sua vita di studioso, sulla quale occorrerà tornare in modo più approfondito, e agli insegnamenti preziosi che ci provengono dal suo stile di lavoro, dal suo modo di rapportarsi alla politica e ai compagni, da tutta la sua vita di militante comunista.

Grazie di tutto, caro compagno Losurdo, non ti dimenticheremo!

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