In occasione della presentazione del volume ” 21 donne all’Assemblea” di Grazie Gotti
di Maria Carla Baroni, Direzione nazionale PCI
Il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, che ha bocciato quello che a sinistra avevamo chiamato la deforma Napolitano Renzi Boschi, ha richiamato l’attenzione sulla nostra Carta Costituzionale: sono stati organizzati convegni, dibattiti e assemblee pubbliche. Gli stessi Comitati per il NO al referendum si erano posti l’obiettivo di trasformarsi in Comitati per l’attuazione della Costituzione, ma subito dopo la loro formazione si erano sciolti come neve al sole.
Possiamo dolercene ma non stupircene: se l’obiettivo di far vincere il No e di respingere la deforma era ben definito e in grado di unire soggetti diversi, differenti forme della politica (partiti, sindacati, associazioni, gruppi di base), riuscire a far applicare una Costituzione avanzata come la nostra, contenente elementi di socialismo, avrebbe significato ribaltare vari assetti di potere. Missione impossibile nella situazione politica attuale del nostro Paese, soprattutto da parte di una aggregazione temporanea e variegata, formata da soggetti troppo piccoli e deboli e con visioni diverse del fare politica.
Il libro di Grazia Gotti sulle Madri costituenti che presentiamo questa sera è uscito nel novembre 2016, dopo anni di incubazione, studio e ricerca, talora laboriosa, sulle fonti, in quanto alcune di loro erano poco note, ma è un bel segnale che il libro sia uscito proprio mentre era in corso l’azione per difendere la nostra Costituzione e, come scrive l’autrice nella nota iniziale, nell’anno in cui si è celebrato il settantesimo anniversario del voto alle donne: voto conquistato – aggiungo io – dalle italiane solo nel 1946, dopo travagliate vicende iniziate nel 1909 e a seguito della loro partecipazione massiccia alla Resistenza.
Così come è utile e bello parlare di Madri costituenti e di Costituzione nel settantesimo anniversario della sua entrata in vigore (1° gennaio 1948).
Non posso trattenermi dal proporre in inciso sul COME si arrivò a riconoscere il voto alle donne e su come andarono le elezioni per l’Assemblea costituente. Dopo la Liberazione era stata nominata una Consulta nazionale con funzioni consultive, che restò attiva fino alle elezioni dell’Assemblea Costituente, di cui furono chiamate a far parte solo 13 donne su 430 componenti. La partecipazione femminile a tale Consulta fu decisiva quando, nel marzo 1946, la Consulta intervenne per correggere l’incredibile cosiddetta “svista” del Decreto luogotenenziale del 1/2/1945 n° 23, che riconosceva alle donne il diritto attivo al voto, ma non quello passivo, cioè il diritto di votare ma non di essere votate e quindi elette… Il nuovo decreto del 10 /3/1946 n° 74, che consentì alle donne anche di essere elette, arrivò appena in tempo per le prime elezioni dell’Italia democratica, quelle del marzo e dell’aprile 1946 per i Consigli comunali, in cui le donne italiane parteciparono al voto per la prima volta e in cui 2000 furono elette consigliere, alcune anche sindache e assessore. Il 2 giugno 1946 si votò per il referendum monarchia-repubblica e per eleggere i e le rappresentanti nell’Assemblea Costituente. Le donne parteciparono in massa: votò l’89% delle aventi diritto – 12 milioni le donne votanti, 11 milioni gli uomini -, ma risultarono elette solo 21 donne su 226 candidate, il 3,8% dei 556 componenti, le nostre 21 Madri costituenti.
Le donne italiane votarono dunque per la prima volta solo nel 1946, mentre in Nuova Zelanda, come scrive Gotti nel primo capitolo, le donne avevano votato già nel 1893 – prime nel mondo – per merito di Kate Sheppard, di cui tratteggia in sintesi la storia: emigrata a 21 anni con la famiglia dalla Scozia, dopo il matrimonio e la nascita del primo figlio promosse campagne per ottenere, insieme al diritto di voto, contraccezione, divorzio, custodia dei figli, opportunità lavorative. Nonostante molte opposizioni e difficoltà, dopo una campagna di tre anni le donne neozelandesi ottennero di poter votare, nel 1893, appunto. Dobbiamo dunque inserire anche Kate Sheppard – da noi sconosciuta – nel nostro Olimpo di donne che hanno fatto la Storia.
Tornando in Italia, abbiamo avuto una Madre costituente ben prima del 1946-47 e precisamente una principessa sarda del XIV secolo, la Giudicessa – “juiguyssa de Arbore” – Eleonora d’Arborea, reggente di un principato autonomo che a quei tempi comprendeva circa tre quarti della Sardegna, a nord, a sud e a est di Oristano; principessa di cui conosciamo bene vita e opere per merito di Bianca Pitzorno, scrittrice sarda che nel 1984 diede alle stampe “Vita di Eleonora d’Arborea”, Camunia.
Gotti ne accenna appena, trattando soprattutto delle alterne fortune del libro di Pitzorno, ma a mio parere occorre dirne qualcosa in più. Eleonora fu importante ai suoi tempi perchè resistette con successo agli attacchi degli Aragonesi e dopo quarant’anni di guerra, carestia, lotte intestine e pestilenze riuscì a ripristinare i confini del suo Stato come li aveva ampliati il padre Mariano IV e a ripristinare il relativo equilibrio di forze. Ma soprattutto Eleonora merita un posto particolare nella storia perché ampliò e migliorò fortemente la “Carta de Logu” , il codice che il padre aveva fatto compilare nel 1346, riunendo per iscritto le leggi consuetudinarie che a quel tempo venivano tramandate oralmente.
La “Carta de Logu” nella versione di Eleonora fu promulgata nel 1392 in volgare arborense (una variante della lingua sarda) comprensibile a tutti, anziché in latino, lingua della legge e dell’amministrazione della giustizia ancora per molti secoli successivi. La sua importanza sta nell’essere riuscita a contemperare gli interessi contrapposti degli agricoltori e dei pastori riguardo all’uso del territorio e soprattutto sta nella modernità e nell’equità sociale di molte norme. Ad es. lo spirito della Carta era ormai quasi totalmente libero dal principio altomedioevale della pena del taglione e, almeno di fronte all’omicidio, il ricco e il povero erano trattati in ugual modo, in quanto tale reato non poteva più essere sanato in moneta sonante. L’art. 21 poi, in materia di stupro, si basava su due principi molto avanzati: il matrimonio veniva considerato riparatore solo se era di gradimento della donna offesa e comunque non estingueva completamente il reato, per il quale era comminata in ogni caso una multa assai consistente, che andava allo Stato; e la pena era identica sia che la donna stuprata fosse vergine o comunque nubile, sia sposata, il che richiama il principio odierno secondo cui lo stupro è un reato contro la persona e non contro la morale. (Per inciso avverto che nella bibliografia posta alla fine della voce “Carta de Logu” di Wikipedia NON è citato il libro di Bianca Pitzorno…., che pure dedica a essa un lungo e documentato capitolo).
Reso un meritatissimo onore alla progenitrice delle nostre Madri costituenti, ritorniamo ai tempi nostri.
Il saggio di Grazia Gotti a mio parere ha un limite: il non uso oppure l’ uso scorretto del linguaggio di genere, che non mi sarei aspettata da parte di una studiosa che vive oggi e che oggi studia la storia delle donne: consigliere, sindaco, ministro al posto di consigliera, sindaca e ministra e deputatessa e presidentessa al posto di deputata e presidente, anche se Gotti afferma di preferire il termine “deputatesse”, coniato allora e non sgradito, o quanto meno indifferente, alle donne che così furono qualificate. Scelta che contesto, in quanto fu nel 1985 che Alma Sabatini, insegnante romana che faceva parte dell’allora Commissione parità tra uomo e donna, pose il problema dell’uso sessista della lingua italiana; effettuò in merito una ricerca che la Presidenza del Consiglio dei ministri (Bettino Craxi) pubblicò nel 1987. Qualcuno scrisse che ciò che non è nominato non esiste: e infatti si è sempre usato il doppio linguaggio di genere per le posizioni servili (schiavo e schiava, servo e serva) e per le basse qualifiche lavorative (operaio e operaia, impiegato e impiegata, infermiere e infermiera), ma ancor oggi molti – e purtroppo anche molte – ritengono contrario alla grammatica italiana utilizzare il doppio linguaggio di genere per le professioni liberali o per gli incarichi politici e istituzionali. Eppure attualmente le donne ci sono eccome ( in alcune categorie professionali sono addirittura in maggioranza ), anche se sono ancora troppo poche in politica.
Il saggio di Gotti ha un enorme pregio, che lo rende un libro fondamentale, e cioè quello di aver portato alla ribalta TUTTE le Madri costituenti, a differenza di altri testi che hanno approfondito solo le figure più significative: tutte insieme proprio in quanto Madri costituenti, riconoscendo a tutte (anche alle meno note) lo stesso spazio, mettendone in luce le caratteristiche comuni al di là delle differenze di ambiente familiare di nascita, età, percorso di istruzione, esperienze professionali e culturali, appartenenza politica. Ad es. quando scrive:
“L’educazione è un tema fortemente sentito dalle donne costituenti; molte hanno frequentato l’istituto magistrale, molte si sono dedicate all’insegnamento. Nei loro cuori che palpitano per la giustizia sociale l’educazione diventa un nodo cruciale, come sempre dovrebbe essere”. Infatti 7 delle Madri costituenti furono insegnanti e anche varie altre si impegnarono sui temi dell’educazione.
In merito alle 21 donne all’Assemblea desidero segnalare anche:
- il capitolo “Foto di gruppo delle costituenti” di Maria Teresa Antonia Morelli in “L’Italia delle donne. Settant’anni di lotte e di conquiste” a cura della Fondazione Nilde Iotti, Donzelli, 2018 , che ne tratta raggruppandole per appartenenza politica: le nove del PCI (Adele Bei Ciufoli, Nadia Gallico Spano, Nilde Iotti, Teresa Mattei, Angiola Minella Molinari, Rita Montagnana Togliatti, Teresa Noce, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi); le nove della DC (Maria Agamben Federici, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria Unterrichter Jervolino, Angela Gotelli, Angela Guidi Cingolani, Maria Fiorini Nicotra Verzotto, Vittoria Titomanlio); le due del PSI (Bianca Bianchi e Lina Merlin) e l’unica del Fronte dell’Uomo qualunque (Ottavia Penna Buscemi);
- l’opuscolo “Le Madri della Costituzione” a cura di Patrizia Cordone, elaborato dal movimento delle donne NON UNA DI MENO di Milano e datato 14 aprile 2017, in cui le costituenti sono presentate in ordine alfabetico mediante schede sintetiche, assai utili a inquadrarne la figura e l’attività;
- un pieghevole della CGIL nazionale distribuito all’assemblea nazionale delle donne del 6 ottobre di quest’anno a Roma, dedicato a “Donne nella Cgil”, “Donne nella Resistenza” e “Madri Costituenti”: queste ultime presentate come “provenienti da tutta la penisola, in maggioranza sposate (14 su 21) e con figli, giovani e dotate di titoli di studio (14 laureate); molte avevano preso parte alla Resistenza, pagando spesso di persona e a caro prezzo le loro scelte, come Adele Bei, condannata nel 1934 dal Tribunale speciale a 18 anni di carcere per attività antifascista, Teresa Noce, messa in carcere e poi deportata, Rita Montagnana”.
Nel corso del suo saggio Grazia Gotti accenna a due donne particolarmente capaci – Armida Barelli e Ursula Hirschmann – , ignorate dalla cultura maschile e maschilista. La negazione del ruolo delle donne ha sempre accomunato, tranne eccezioni, cattolici, socialisti e comunisti: in definitiva la Storia scritta da uomini, che fino a trent’anni fa circa era l’unica Storia che veniva scritta. Colgo quindi al volo l’occasione per segnalare anche Barelli e Hirschmann all’attenzione delle donne di oggi prima di ricominciare a occuparmi delle Madri costituenti.
Armida Barelli fu la cofondatrice dell’Università Cattolica di Milano, da tutti ricordata solo come opera di padre Agostino Gemelli. Di lei narra diffusamente Marta Boneschi, nel suo “Di testa loro. Dieci italiane che hanno fatto il Novecento”, Mondadori, 2002. Armida trovò la sede adatta, nel vecchio convento delle Umiliate in via Sant’Agnese, propose l’intitolazione al Sacro Cuore di Gesù e soprattutto raccolse gli ingenti fondi necessari per far costruire l’università, inaugurata nel dicembre 2017. Sempre nel 1917 fondò la Gioventù femminile dell’Azione Cattolica come associazione diocesana, che due anni dopo fu estesa a livello nazionale. La G.F., per merito della determinazione e dell’ attivismo incessante di Armida, nel 1952 (anno della sua morte) arrivò a oltrepassare il milione di socie. Alle elezioni politiche del 1948 il voto femminile – dopo due anni dal debutto nella storia elettorale – garantì alla Democrazia Cristiana un primato che durò mezzo secolo, risultato in buona parte dovuto ad Armida Barelli. Non solo per la sua appartenenza partitica, ma soprattutto per la sua concezione della donna, a tutti i costi moglie e madre esemplare – come per il fascismo -, considero Armida Barelli una avversaria politica, ma le riconosco di essere stata un grande esempio della forza delle donne.
Ursula Hirschmann fu coautrice insieme ad Altiero Spinelli e a Ernesto Rossi, nel periodo 1941-44, di “Per una Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto”, noto come Manifesto di Ventotene. A parte questo fondamentale accenno di Grazia Gotti, ho trovato notizie su Ursula solo su Wikipedia, che però la presenta esclusivamente come colei che seguì il marito Eugenio Colorni al confino di Ventotene, ma, non essendo soggetta a provvedimenti restrittivi, potè tornare sulla terraferma a diffondere il Manifesto.Coautrice o semplice divulgatrice? Il che avrebbe comunque la sua importanza. In base alla mia
esperienza sono portata a dar ragione a Grazia Gotti, ma lascio ad altre il compito di approfondire. Hirschmann nacque nel 1913 a Berlino in una famiglia ebraica borghese, si iscrisse al partito socialdemocratico tedesco e fece parte della Resistenza contro l’avanzata nazista. Nel 1935 si trasferì in Italia, sposò Eugenio Colorni e vari anni dopo divenne compagna di Altiero Spinelli, ebbe sei figlie, si impegnò per la formazione del Movimento Federalista Europeo e nel 1975 fondò a Bruxelles l’associazione “Femmes pour l’Europe”.
Dopo queste scorribande nel tempo e nello spazio ritorno definitivamente alle 21 Madri costituenti del 1946-47.
Nel libro di Grazia Gotti le costituenti sono presentate non in base all’appartenenza partitica o all’ordine alfabetico, come in altri scritti, ma in base al territorio – città, Comune o Provincia – di appartenenza: scelta quanto mai felice, in quanto sottolinea il legame tra personaggi e personagge con l’ambiente politicoculturale del luogo di nascita o del luogo scelto per viverci e operare o del luogo imposto da circostanze esterne alla loro volontà.
Considerando il luogo di nascita abbiamo tre torinesi, due lombarde, due trentine, una ligure, una veneta, due emiliane, una toscana, una marchigiana, due abruzzesi, due laziali, una pugliese, due siciliane, una donna nata a Tunisi ma sarda di adozione, che ben rappresentano dal punto di vista territoriale l’unità del Paese.
La prima narrazione del libro di Gotti riguarda però Angela Guidi Cingolani, romana, in quanto fu lei la prima donna a prendere la parola in Parlamento e la prima a far parte di una compagine governativa, nel 1951 come sottosegretaria all’Industria e al commercio. La prima volta di una ministra fu con Tina Anselmi, 25 anni dopo, nel 1976, come ministra del Lavoro e della previdenza sociale.
Inizia quindi un ideale giro d’Italia, che parte da Torino, città della classe operaia e di una intellettualità particolarmente vivace, in cui fu accarezzato il sogno di una rivoluzione che per un breve momento parve possibile e alle porte, in cui vissero e operarono, per tempi più o meno lunghi, non solo Piero Gobetti, Antonio Gramsci, Leone Ginzburg, Luigi Einaudi, Palmiro Togliatti, Umberto Terracini, Luigi Longo, ma anche Camilla Ravera, Ada Prospero Gobetti, Rita Levi Montalcini, oltre alle tre costituenti Rita Montagnana, Teresa Noce e Angela Minella, militanti del Partito Comunista.
Nelle successive comunicazioni – a loro scelta – Nunzia Augeri approfondirà le figure di Angela Guidi Cingolani, Bianca Bianchi e Ottavia Penna Buscemi e Giovanna Frisoli quelle di Teresa Noce, Adele Bei e Teresa Mattei. In questa comunicazione introduttiva sul libro nel suo complesso ritengo però di dover realizzare una carrellata di cenni riguardanti tutte le donne costituenti, proprio per rispettare lo spirito del saggio di Gotti. Su alcune questioni ho aggiunto notizie su ciò che avvenne dopo le vicende narrate nel libro e sulla situazione attuale, per segnalare il cammino ancora da compiere.
RITA MONTAGNANA TOGLIATTI partecipo’ giovanissima alle rivolte per il pane del 1917 e poi alle occupazioni delle fabbriche nel 1919, collaborò alla fondazione del PCI, fu costretta a riparare all’estero (prima in Francia e Svizzera e poi in Unione Sovietica), dal 1936 al 1938 combattè nella guerra civile spagnola, diresse la sezione femminile del PCI e favorì la nascita dell’UDI (Unione Donne Italiane), fu la promotrice della Giornata Internazionale della Donna.
TERESA NOCE a causa delle ristrettezze familiari non potè realizzare il sogno di diventare insegnante, fu costretta a scegliere il lavoro, ma si istruì come autodidatta, lesse e scrisse. Fu tra i fondatori del Partito Comunista e combattente nella guerra civile spagnola con il nome di Estella, internata nel campo francese di Rieucros, successivamente deportata a Ravensbruek. Dopo la Costituente – dal 1947 al 1955 – diresse la Federazione nazionale degli impiegati e degli operai tessili della CGIL. Soprattutto a lei si deve, in base alla sua esperienza di operaia e di sindacalista, la legge 26 agosto 1950 n° 860 per la “Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri”. Celebre è la sua autobiografia “Rivoluzionaria professionale”, uscita nel 1974. Apprese l’annullamento del suo matrimonio con Luigi Longo, allora vicesegretario del PCI, da un trafiletto sul “Corriere della Sera” nel novembre 1953. Non c’erano ancora stati gli anni ’70 con la loro ondata di modernizzazione e di laicizzazione e Longo aveva pensato bene di andare a divorziare nella Repubblica di San Marino falsificando la firma di Teresa… Noce merita di essere ricordata anche perché tentò di convincere Palmiro Togliatti a non inserire in Costituzione il Concordato del 1929 firmato da Benito Mussolini con il Vaticano e poi si astenne in sede di votazione suscitando grande scandalo, anche perché era allora sposata con Luigi Longo.
ANGELA MINELLA MOLINARI partecipò alla Resistenza, si attivò per i “treni della felicità”, favorendo il soggiorno al nord e l’adozione di bambini meridionali rimasti orfani da parte di famiglie settentrionali, ricoprì incarichi parlamentari e di partito, fu dirigente dell’UDI e rappresentò il Movimento femminile democratico italiano nella segreteria della Federazione Internazionale femminile a Berlino dal 1953 al 1958.
Da Torino si passa a Reggio Emilia, città rossa, la città in cui nacque il Tricolore, medaglia d’oro al valor militare per la lotta di liberazione e protagonista della canzone “Per i morti di Reggio Emilia”. Vi nacque anche NILDE IOTTI, allieva di Giuseppe Dossetti all’Università Cattolica di Milano, partigiana, militante del PCI, organizzatrice e responsabile dei Gruppi di Difesa della Donna, parlamentare molto attiva, la prima donna a ricoprire l’incarico di presidente della Camera dei Deputati, che tenne per tredici anni. Compagna di vita di Palmiro Togliatti, ruolo che le fu ufficialmente riconosciuto solo dopo la morte di lui e che – lui in vita – le era stato negato, oppure elargito, quando proprio era indispensabile, con avaro fastidio.
Dopo Reggio Emilia un salto all’insù, in Provincia di Brescia, a Castenedolo, ove nacque LAURA BIANCHINI, insegnante di storia e filosofia, autrice di testi scolastici, cattolica, partigiana, costretta a fuggire a Milano, città in cui organizzò i soccorsi ai detenuti e ai perseguitati politici. Per l’Assemblea Costituente animò il dibattito sui temi dell’educazione e della cultura, da cui risultò il fondamentale art. 33, che merita di essere riportato integralmente: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione e istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. Norma basilare quest’ultima, disattesa fin dai decreti ministeriali 261/98 e 279/99 del ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer, presupposto per la successiva sistematica concessione di finanziamenti alle scuole private. Questa vergognosa violazione del dettato costituzionale fu poi pienamente sancita – in varie forme – da leggi dei governi successivi (D’Alema bis, e Berlusconi). In Lombardia i buoni scuola furono introdotti da Roberto Formigoni nel 2000.
Si passa poi a Vicchio, in Provincia di Firenze, la prima città a essere insignita della medaglia d’oro al valor militare. A Vicchio nacque BIANCA BIANCHI, anche lei insegnante di storia e filosofia, esule, partigiana con il Partito d’Azione, socialista, giornalista e scrittrice. Particolare rilievo rivestirono la sua opposizione alle sovvenzioni statali alle scuole private e il suo impegno per la tutela dei figli naturali, i figli di N.N., come si diceva allora. Nel 1949 presentò in merito in Parlamento una proposta normativa divenuta legge nel 1953.
A Firenze si laureò in lettere TERESA MATTEI, genovese, che nella stessa città fondò i Gruppi di difesa della Donna. Per quanto riguarda la Costituzione, a Mattei si deve il fondamentale 2° comma dell’art. 3, in base al quale “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. La Costituzione, dunque, non si limita a enunciare principi avanzati, ma assegna alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli all’attuazione concreta di tali principi e in questo consiste un elemento di socialismo. Un compito analogo fu attribuito alla Repubblica con una frase aggiunta nel 2003 al 1° comma dell’art. 51 sulla parità tra uomini e donne nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive: “A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”. Quasi inutile dire che tale aggiunta fu dovuta a parlamentari donne in modo trasversale. Si tratta di una formulazione generica e debole, che costituì comunque un passo avanti, successivamente concretizzato con leggi ordinarie sulla doppia preferenza di genere.
Da Firenze Grazia Gotti risale al Trentino di Alcide de Gasperi, dove a Ossana nacque MARIA UNTERRICHTER JERVOLINO, che fu presidente nazionale della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), si trasferì a Napoli, dove si impegnò in opere sociali a favore delle donne e dei più bisognosi e, insieme alle colleghe della Costituente Agamben, Guidi e Merlin, fondò il CIDD, Comitato Italiano Difesa morale e sociale della Donna per l’assistenza alle donne che riuscivano a uscire dalla prostituzione, sottosegretaria alla Pubblica istruzione da maggio 1957 a luglio 1958 ( periodo in cui lavorò affinchè il servizio sociale pubblico diventasse disciplina di studio universitario), presidente dell’Organizzazione mondiale dell’educazione prescolastica dal 1968 al 1973. Nacque a Trento e prevalentemente vi operò anche ELISABETTA CONCI, democristiana, giornalista, che in Parlamento si battè per ottenere e migliorare leggi a tutela delle donne, nella sua città fondò e gestì una famiglia-comunità per ragazzi orfani e bisognosi e contribuì a sviluppare un sistema educativo di elevata qualità che coniuga competenza pedagogica e creatività didattica.
Dal Trentino ci si dirige al Veneto della Provincia di Padova, a Pozzonovo, in cui nacque LINA MERLIN, socialista, la più conosciuta tra le 21 insieme a Nilde Iotti. Notorietà ben meritata, a partire dalla sua legge per l’abolizione delle “case chiuse”, il cui obiettivo non era – e non poteva essere – “eliminare la prostituzione, ma eliminare la complicità dello Stato nel considerare il corpo femminile un piatto da servire su un vassoio “, come scrisse Anna Garofalo in un suo libro del 1956. Molto istruttiva è una considerazione della stessa Merlin: “non sono lieta della notorietà che (tale legge) mi ha dato, perché in fondo non viene dall’importanza della legge in se stessa, ma dall’accanimento degli italiani nel non accettarla, come l’hanno accettata i paesi di tutto il mondo a eccezione di venti come la Turchia, la Cina di Chiang Kai-shek e pochi altri dell’Africa”. Giudizio assai grave, confermato in peggio dal libro di Riccardo Iacona “Utilizzatori finali”, Chiarelettere, 2014, che dà voce ad alcuni dei milioni di clienti soliti frequentare escort di lusso, prostitute di strada o bordelli oltreconfine.
In Senato Lina Merlin si battè nel 1948 contro la tragedia dei bimbi del delta del Po, resi ciechi da una malattia derivante dalla denutrizione, in una terra di miseria, pellagra, malaria, tubercolosi e oppressione feroce da parte degli agrari, e nel 1951 alla Camera contro l’inadeguatezza del governo nella protezione del Polesine colpito da una alluvione particolarmente devastante. Una delle donne più rivoluzionarie del paese la definisce Grazia Gotti. Per quanto riguarda la Costituzione a lei dobbiamo l’aggiunta “senza distinzione di sesso” all’art. 3, che inneggia alla pari dignità sociale e all’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
Saltando un po’ qua e là per la penisola Grazia Gotti ritorna in Lombardia, a Codevilla in provincia di Pavia, ove nacque MARIA MADDALENA ROSSI, comunista, confinata, esule, prima presidente dell’UDI. La sua lotta si concentrò su due obiettivi primari: nella Costituente l’abolizione del divieto di accesso delle donne alla magistratura, introdotto dal regime fascista, su cui un’assemblea composta per il 97,20% da uomini respinse un apposito emendamento presentato da lei e da Teresa Mattei; e in Parlamento il riconoscimento dello stupro come la peggior violenza che una donna possa subire, pochi anni dopo gli stupri di massa compiuti in Italia centrale durante l’avanzata degli Alleati negli ultimi tempi della seconda guerra mondiale, con il tacito via libera degli alti comandi. Riguardo al primo obiettivo riporto un brano, citato da Gotti e contenuto in un libro del 1996 di Anna Rossi-Doria: “Già nel 1948 una donna avvocato rilevava che con il voto della Costituente era passata l’assurda ipotesi di un individuo (donna) capace politicamente di partecipare alla formazione della legge (mediante l’elettorato attivo e passivo), capace di far parte del governo (cioè del potere che rende esecutiva la legge) e incapace poi, per una non chiarita insufficienza mentale, di applicarla ai casi concreti”. Solo con la sentenza n° 33 del 1960 la Corte Costituzionale annullò la norma che escludeva le donne dalla magistratura, così come da altri impieghi pubblici. Fu ovviamente una donna – Rosanna Oliva – a portare la questione davanti alla Corte Costituzionale, difesa dal famoso costituzionalista Costantino Mortati con cui si era laureata.
Grazia Gotti approda in Italia centrale, presentandoci MARIA AGAMBEN FEDERICI e Filomena Delli Castelli, abruzzesi, nate rispettivamente all’Aquila e a Pescara, cattoliche, laureate. La prima è da ricordare non solo per il suo contributo alla stesura della Costituzione e come presidente per 6 anni del CIF, Centro Italiano Femminile, ma per un suo libro uscito nel 1957 con Vallecchi “Il cesto di lana”, con cui invita le donne a riflettere sulla loro condizione, avendo presente il magistero della Chiesa accanto al marxismo, la psicanalisi e l’esistenzialismo. FILOMENA DELLI CASTELLI, militante dell’Azione Cattolica e della FUCI, fu apprezzata parlamentare sia nella Costituente sia poi in Parlamento fino al 1958. In RAI fino al 1975, si occupò di trasmissioni per i ragazzi e diede vita, insieme ad Alberto Manzi, a una esperienza avanzatissima: “Non è mai troppo tardi. Corso di istruzione popolare per il recupero dell’adulto analfabeta”.
Ancora un ritorno in Emilia, ad Alboreto in Provincia di Parma, ove nacque ANGELA GOTELLI, attivista del movimento femminile cattolico e della FUCI, partigiana, partecipò nel luglio 1943 alla stesura del cosiddetto “Codice di Camaldoli”, documento programmatico di politica economica che affrontò il tema dell’arricchimento eccessivo di pochi e dello strapotere che questo genera di fronte alla disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza; tema quanto mai attuale. Dopo la Costituente ebbe molti incarichi governativi, avendo come ambiti di competenza l’assistenza sociale e la scuola elementare.
ELETTRA POLLASTRINI, nata a Rieti, comunista, combattente in Spagna con le Brigate Internazionali, esule in Francia, internata nel campo di Rieucros, dove trovò Teresa Noce e la compagna e la figlia di Giuseppe Di Vittorio, successivamente condannata a tre anni di lavori forzati ad Aichach in Alta Baviera, da cui venne liberata dagli Alleati nell’aprile 1945. Nell’Assemblea costituente, insieme ad altre colleghe anche di schieramento opposto, fu determinante per l’adozione di vari articoli, tra cui il 37 sulla parità retributiva tra donne e uomini a parità di lavoro. Fino al 1958 affiancò la sua funzione di deputata con quella di testimone sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti.
Da questo punto in poi Grazia Gotti si dedica alle costituenti dell’Italia meridionale e delle isole, facendo notare che al tempo del primo voto femminile il Sud pagava il suo ritardo storico: nessuna donna entrò nella Costituente dalla Puglia né dalla Calabria, e una sola dalla Campania (Vittoria Titomanlio), mentre la Sicilia elesse due costituenti e la Sardegna fu rappresentata da una sarda di adozione.
VITTORIA TITOMANLIO, nata a Barletta, ma partenopea a tutti gli effetti, votata alla Costituente nel collegio Napoli-Caserta da oltre ventimila elettori ed elettrici, insegnante elementare, ricoprì numerosi incarichi nell’ambito dell’associazionismo cattolico e nella sua attività di costituente prima e di parlamentare poi si dedicò alle questioni lavorative e alla previdenza sociale.
ADELE BEI CIUFOLI, nata a Cantiano in Provincia di Pesaro, per la sua militanza comunista fu arrestata e condannata a 18 anni di carcere, scontati in parte a Roma e in parte a Perugia prima di arrivare al confino a Ventotene. Ebbe due figli nati in clandestinità e mandati in URSS per proteggerli, che potè rivedere solo qualche anno dopo. Dopo il 25 luglio 1943 e l’arresto di Benito Mussolini ritornò a Roma, dove dedicò il suo impegno principalmente al coinvolgimento e alla tutela di varie categorie di lavoratrici della città. Ebbe numerosi incarichi di responsabilità nella CGIL, nel PCI, nell’UDI e nell’ANPI. Nel 1948 fu nominata senatrice di diritto per meriti antifascisti. L’opera più importante della sua vita fu di fondare, insieme alle lavoratrici pugliesi, il Sindacato nazionale delle Tabacchine, lavoratrici sottoposte a uno sfruttamento e a una fatica particolarmente inumani. Nel 1952 ne fu eletta segretaria nazionale.
Si arriva ora alle due costituenti siciliane. La baronessa OTTAVIA PENNA BUSCEMI, monarchica, nata a Caltagirone in Provincia di Catania, alla Costituente perorò in particolare l’istituzione delle Regioni. Fu una donna coraggiosa e assai attiva. Dopo aver lasciato la politica romana, ritenendola non adatta alle sue attitudini, con amici sacerdoti fondò la Città dei Ragazzi. MARIA FIORINI NICOTRA VERZOTTO, nata a Catania, operò nelle associazioni cattoliche e durante la seconda guerra mondiale fu infermiera volontaria della Croce Rossa, per cui ricevette la medaglia d’oro al valore. In Parlamento si dedicò al disegno di legge sulla tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri e alla commissione di inchiesta sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla. Dal 1949 al 1953 fu impegnata, unica donna tra 12 senatori e deputati, con la commissione parlamentare di vigilanza sulle condizioni dei detenuti nelle carceri. In occasione del sessantesimo anniversario dell’Assemblea costituente l’allora presidente Giorgio Napolitano le conferì la massima onorificenza della Repubblica, quella di cavaliere di Gran Croce.
In questo giro d’Italia giunto ormai al termine, approdiamo in Sardegna, la terra di Eleonora d’Arborea, in cui operò, tanto da farla considerare sarda di adozione, NADIA GALLICO SPANO, nata e cresciuta a Tunisi, arrivata in Italia nel 1943, inviata dal PCI in Sardegna due anni dopo per verificare la consistenza del movimento femminile sardo e per rafforzarlo. Per la sua duplice attività – come costituente e poi come parlamentare – e come organizzatrice delle donne dell’isola, fece la spola tra Roma e la Sardegna. Il suo impegno fu premiato con una straordinaria partecipazione al primo Congresso delle donne sarde nel 1952. Neppure da anziana smise i panni dell’attivista e nel 1981 partecipò a Roma alla campagna referendaria sull’interruzione volontaria di gravidanza.
E Milano, la città in cui nel 1943 nacquero i Gruppi di difesa della donna, aperti a tutte, di ogni ceto sociale e appartenenza politica o anche senza partito? Questi gruppi si prefiggevano non solo di appoggiare e assistere moralmente e materialmente i partigiani, ma anche di dare alle donne il mezzo per elevarsi nella società e pretendere gli stessi diritti degli uomini. Milano non diede i natali a nessuna delle costituenti, ma fu milanese Gisella Floreanini, ministra della Repubblica dell’Ossola nel 1944, presidente del Comitato di Liberazione Nazionale di Novara nel 1945, candidata alla Costituente nel 1946 ma non eletta perché il PCI la presentò nel collegio di Milano e non a Novara o nell’Ossola, territori dove di lei c’era un ricordo leggendario. Floreanini soffrì molto per il fatto di non poter partecipare all’elaborazione di quella Carta delle libertà e dei diritti di cui la Costituzione dell’Ossola era stata l’antesignana.
Cerco ora di tirare le fila di questa carrellata sulle Madri costituenti, che andarono oltre la maternità come comun denominatore femminile e che seppero fare squadra nonostante le differenti appartenenze partitiche, come del resto fecero le parlamentari che dopo di loro ottennero importanti leggi, soprattutto per far riconoscere i diritti di donne e minori, ma non solo, e che fecero aggiungere il 2° comma dell’art. 51 in merito all’accesso alle cariche elettive in condizioni di effettiva uguaglianza.
5 delle costituenti entrarono nella famosa “Commissione dei 75” preposta alla stesura della Costituzione: Maria Federici (Pci), Angela Gotelli (Dc); Nilde Iotti (Pci), Lina Merlin (Psi) e Teresa Noce (Pci).
Il loro contributo alla Carta riguardò gli articoli 29 (famiglia ed eguaglianza dei coniugi), 30 (doveri e diritti dei genitori), 31 (protezione della maternità, dell’infanzia e della gioventù), 33 (arte, scienza e scuola), 37 (parità di retribuzione tra uomo e donna a parità di lavoro), 48 (diritto di voto) e 51 (accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza), oltre al fondamentale art. 3. Da segnalare in particolare che fu Lina Merlin a introdurre la locuzione “di sesso” nell’elenco delle discriminazioni da superare e che si deve a Teresa Mattei la fondamentale aggiunta “di fatto” alla frase “limitando la libertà e l’uguaglianza dei cittadini” nel comma sugli ostacoli da rimuovere per garantire lo sviluppo della persona e la partecipazione dei lavoratori alla vita del Paese.
Oltre all’Assemblea costituente e al Parlamento quasi tutte le Madri praticarono altre forme della politica: la Resistenza (9 furono partigiane), l‘associazionismo femminile o misto, di cui furono dirigenti, il sindacato (Angela Bei e Teresa Noce), le istituzioni locali dopo la conclusione – per varie cause – dell’attività parlamentare; oppure si dedicarono all’impegno sociale/assistenziale, quest’ultimo privilegiato dalle cattoliche.
Mi consentite in chiusura la citazione di un altro libro, piccolo e prezioso, quanto mai necessario oggi? “In contropiede. Le donne rileggono la Costituzione”, Ediesse, 2014, dovuto ad autrici di differente orientamento: Alessandra Bocchetti, Giulia Bongiorno, Francesca Comenicini, Marilisa D’Amico, Michela Marzano, Lea Melandri, Luisa Muraro e Lidia Ravera, che ha preso le mosse da una idea di Mariella Gramaglia, giornalista de Il Manifesto, secondo cui “A noi, donne, la Costituzione, il nostro contratto sociale della contemporaneità democratica, interessa, e molto. Non solo perché ricordiamo con commozione e deferenza le 21 pioniere che hanno contribuito a scriverla…., ma perché pensiamo che, benchè redatto da una schiacciante maggioranza di uomini, questo contratto ci riguardi, segni dei perimetri di diritto che ci stanno a cuore, che almeno parzialmente ci includono”.
Sintetizzo a mio modo i contenuti di questa rilettura della Costituzione dalla parte delle donne. Nell’aula dell’Assemblea le costituenti entrarono consapevoli che la loro femminilità era una sfida politica e storica e portarono in essa i frutti della cultura dell’emancipazione che si era venuta formando dalla fine dell’800; allora in particolare – ma in parte anche oggi – nascere di sesso femminile comportava molto spesso una situazione sociale più difficile di quella maschile. Fu quindi importante – allora – sancire per le donne un’adeguata protezione in quanto madri, per consentir loro di adempiere la loro essenziale funzione familiare (v. art. 37).
Ma oggi, ormai nel XXI secolo e dopo il movimento femminista iniziato nei primi anni ’70 del secolo scorso, occorre riconoscere che la Costituzione entrata in vigore il 1° gennaio 1948 è espressione di una visione maschile del mondo; che la differenza tra uomo e donna è fondativa dell’esperienza umana e non è assimilabile alle distinzioni di etnia, religione e opinioni politiche di cui all’art. 3; che la famiglia NON è una società naturale fondata sul matrimonio (art. 29; enunciazione che contiene tra l’altro una contraddizione logica e che è contraddetta pure dall’antropologia e dalla storia); che la maternità deve essere una scelta – da rendere sempre concretamente realizzabile mediante adeguate condizioni materiali, sociali, giuridiche, culturali – e NON un destino ineludibile da proteggere: per la continuazione della specie? per la tutela della stirpe?
Tutte e tutti noi dobbiamo impegnarci per far attuare la nostra Carta Costituzionale (tra l’altro per concretizzare la parità salariale tra donna e uomo a parità di lavoro), ma, per quanto riguarda la condizione delle donne, il grande cammino di civiltà intrapreso dalle coraggiose 21 Donne all’Assemblea deve proseguire: fino a individuare e poi a realizzare un differente modo di concepire e gestire il potere politico.