Introduzione a cura di Alex Hobel, Responsabile Dipartimento Formazione e Cultura PCI
Il secondo testo che pubblichiamo nella serie di materiali di documentazione verso il centenario del Pci è un articolo di Antonio Gramsci, pubblicato su “L’Ordine nuovo” nell’ottobre 1920. Siamo all’indomani della sconfitta dell’ultima grande fiammata del Biennio rosso, l’occupazione delle fabbriche di settembre, nel corso della quale ancora una volta il Partito socialista ha dimostrato tutta la sua inadeguatezza. Dopo aver tentato di operare per una profonda trasformazione del Psi, anche Gramsci e il gruppo dell’Ordine Nuovo sono ormai convinti (come Bordiga e i suoi) della necessità di costituire anche in Italia un Partito comunista. Dal momento che – come scrive Gramsci nell’articolo che segue – “i partiti politici sono il riflesso e la nomenclatura delle classi sociali”, il punto è far sì che il proletariato si doti di un proprio partito, espressione effettiva dei
suoi interessi e dei suoi obiettivi; tale era stato solo parzialmente il Partito socialista, non solo perché i suoi gruppi dirigenti erano composti in larga parte da avvocati e altri professionisti appartenenti alle classi borghesi, ma anche e soprattutto per l’incapacità di questi gruppi dirigenti di far propri gli obiettivi storici, e non solo quelli contingenti di carattere economicistico, delle classi lavoratrici. Il punto era insomma l’autonomia politica del proletariato.
“In verità – scrive Gramsci – questo Partito socialista, che si proclama guida e maestro delle masse, altro non è che un povero notaio che registra le operazioni compiute spontaneamente dalle masse”: il contrario, dunque, di quel ruolo di avanguardia che Lenin aveva affidato al partito rivoluzionario, di cui i fatti del 1919-20 (le grandi lotte del Biennio rosso e il loro mancato sbocco politico) avevano confermato la necessità.
Compito delle componenti comuniste del Psi era dunque quello di “salvare la compagine primordiale (ricostruendola) del partito della classe operaia, dare al proletariato italiano il Partito comunista che sia capace di organizzare lo Stato operaio e le condizioni per l’avvento della società
comunista”. A tal fine, occorreva accelerare la costituzione della frazione comunista del Psi, lavorando perché quest’ultimo, nel suo imminente congresso, potesse “diventare, di nome e di fatto, Partito comunista italiano, sezione della III Internazionale comunista”.
L’obiettivo di Gramsci è dunque quello di vincere il congresso, conquistare la maggioranza della “vecchia compagine” per trasformarla in un partito nuovo – un Partito comunista aderente davvero alla III Internazionale –, liberandosi di quella componente riformista che si era limitata a
osservare le lotte del Biennio rosso, in qualche caso anche auspicando il ristabilimento dell’ordine.
Riferimenti bibliografici:
A. Lepre, S. Levrero, La formazione del Partito comunista d’Italia, Roma, Editori Riuniti, 1971
P. Spriano, L’occupazione delle fabbriche. Settembre 1920, Torino, Einaudi, 1964
P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, vol. I, Da Bordiga a Gramsci, Torino, Einaudi, 1967
Antonio Gramsci, Il Partito comunista
(L’Ordine Nuovo, 9 ottobre 1920)
Il movimento proletario, nella sua fase attuale, tende ad attuare una rivoluzione nell’organizzazione delle cose materiali e delle forze fisiche; i suoi tratti caratteristici non possono essere i sentimenti e le passioni diffuse nella massa e che sorreggono la volontà della massa; i tratti caratteristici
della rivoluzione proletaria possono esser ricercati solo nel partito della classe operaia, nel Partito comunista, che esiste e si sviluppa in quanto è l’organizzazione disciplinata della volontà di fondare uno Stato, della volontà di dare una sistemazione proletaria all’ordinamento delle forze fisiche esistenti e di gettare le basi della libertà popolare.
L’operaio nella fabbrica ha mansioni meramente esecutive. Egli non segue il processo generale del lavoro e della produzione; non è un punto che si muove per creare una linea; è uno spillo conficcato in un luogo determinato e la linea risulta dal susseguirsi degli spilli che una volontà estranea ha disposto per i suoi fini. L’operaio tende a portare questo suo modo di essere in tutti gli ambienti della sua vita; si acconcia facilmente, da per tutto, all’ufficio di esecutore materiale, di “massa” guidata da una volontà estranea alla sua; è pigro intellettualmente, non sa e non vuole prevedere
oltre l’immediato, perciò manca di ogni criterio nella scelta dei suoi capi e si lascia illudere facilmente dalle promesse; vuol credere di poter ottenere senza un grande sforzo da parte sua e senza dover pensare troppo.
Il Partito comunista è lo strumento e la forma storica del processo di intima liberazione per cui l’operaio da esecutore diviene iniziatore, da massa diviene capo e guida, da braccio diviene cervello e volontà; nella formazione del Partito comunista è dato cogliere il germe della libertà che avrà il suo sviluppo e la sua piena espansione dopo che lo Stato operaio avrà organizzato le condizioni materiali necessarie.
Il Partito comunista, anche come mera organizzazione si è rivelato forma particolare della rivoluzione proletaria.
Nessuna rivoluzione del passato ha conosciuto i partiti; essi sono nati dopo la rivoluzione borghese e si sono decomposti nel terreno della democrazia parlamentare. Anche in questo campo si è verificata l’idea marxista che il capitalismo crea forze che poi non riesce a dominare.
I partiti democratici servivano a indicare uomini politici di valore e a farli trionfare nella concorrenza politica; oggi gli uomini di governo sono imposti dalle banche, dai grandi giornali, dalle associazioni industriali; i partiti si sono decomposti in una molteplicità di cricche personali.
Il Partito comunista, sorgendo dalle ceneri dei partiti socialisti, ripudia le sue origini democratiche e parlamentari e rivela i suoi caratteri essenziali che sono originali nella storia: la rivoluzione russa è la rivoluzione compiuta dagli uomini organizzati nel Partito comunista, che nel partito si
sono plasmati una personalità nuova, hanno acquistato nuovi sentimenti, hanno realizzato una vita morale che tende a divenire coscienza universale e fine per tutti gli uomini.
I partiti politici sono il riflesso e la nomenclatura delle classi sociali. Essi sorgono, si sviluppano, si decompongono, si rinnovano, a seconda che i diversi strati delle classi sociali in lotta subiscono spostamenti di reale portata storica, vedono radicalmente mutate le loro condizioni di esistenza e di sviluppo, acquistano una maggiore e più chiara consapevolezza di sé e dei propri vitali interessi.
Nell’attuale periodo storico e in conseguenza della guerra imperialista che ha profondamente mutato la struttura dell’apparecchio nazionale e internazionale di produzione e di scambio, è divenuta caratteristica la rapidità con cui si svolge il processo di dissociazione dei partiti politici
tradizionali, nati sul terreno della democrazia parlamentare, e del sorgere di nuove organizzazioni politiche: questo processo generale ubbidisce a una intima logica implacabile, sostanziata dalle sfaldature delle vecchie classi e dei vecchi ceti e dai vertiginosi trapassi da una condizione ad un’altra
di interi strati della popolazione in tutto il territorio dello Stato, in tutto il territorio del dominio capitalistico.
Il Partito socialista si dice assertore delle dottrine marxiste; il partito dovrebbe quindi avere, in queste dottrine, una bussola per orientarsi nel groviglio degli avvenimenti, dovrebbe possedere quella capacità di
previsione storica che caratterizza i seguaci intelligenti della dialettica marxista, dovrebbe avere un piano generale d’azione, basato su questa previsione storica, ed essere in grado di lanciare alla classe operaia in lotta parole d’ordine chiare e precise; invece il Partito socialista, il partito
assertore del marxismo in Italia, è, come il Partito popolare, come il partito delle classi più arretrate della popolazione italiana, esposto a tutte le pressioni delle masse e si muove e si differenzia quando già le masse si sono spostate e differenziate. In verità questo Partito socialista, che si
proclama guida e maestro delle masse, altro non è che un povero notaio che registra le operazioni compiute spontaneamente dalle masse; questo povero Partito socialista, che si proclama capo della classe operaia, altro non è che gli impedimenta dell’esercito proletario.
Se questo strano procedere del Partito socialista, se questa bizzarra condizione del partito politico della classe operaia non hanno finora provocato una catastrofe, gli è che in mezzo alla classe operaia, nelle sezioni urbane del Partito, nei sindacati, nelle fabbriche, nei villaggi, esistono gruppi energici di comunisti consapevoli del loro ufficio storico,
energici e accorti nell’azione, capaci di guidare e di educare le masse locali del proletariato; gli è che esiste potenzialmente, nel seno del Partito socialista, un Partito comunista al quale non manca che l’organizzazione esplicita, la centralizzazione e una sua disciplina per svilupparsi rapidamente, conquistare e rinnovare la compagine del partito della classe operaia, dare un nuovo indirizzo alla Confederazione Generale del Lavoro e al movimento cooperativo.
Il problema immediato di questo periodo, che succede alla lotta degli operai metallurgici e precede il congresso in cui il Partito deve assumere un atteggiamento serio e preciso di fronte all’Internazionale comunista, è appunto quello di organizzare e centralizzare queste forze comuniste già
esistenti e operanti.
Il Partito socialista, di giorno in giorno, con una rapidità fulminea, si decompone e va in sfacelo; le tendenze in un brevissimo giro di tempo, hanno già acquistato una nuova configurazione; messi di fronte alle responsabilità dell’azione storica e agli impegni assunti nell’aderire
all’Internazionale comunista, gli uomini e i gruppi si sono scompigliati, si sono spostati; l’equivoco centrista e opportunista ha guadagnato una parte della direzione del Partito, ha gettato il turbamento e la confusione nelle
sezioni.
Dovere dei comunisti, in questo generale venir meno delle coscienze, delle fedi, della volontà, in questo imperversare di bassezze, di viltà, di disfattismi è quello di stringersi fortemente in gruppi, di affiatarsi, di tenersi pronti alle parole d’ordine che verranno lanciate. I comunisti sinceri e disinteressati, sulla base delle tesi approvate dal II Congresso della III Internazionale, sulla base della leale disciplina alla suprema autorità del movimento operaio mondiale, devono svolgere il lavoro necessario perché, nel più breve tempo possibile, sia costituita la frazione comunista del Partito socialista italiano, che, per il buon nome del proletariato italiano, deve, nel Congresso di Firenze, diventare, di nome e di fatto, Partito comunista italiano, sezione della III Internazionale comunista; perché la frazione comunista si costituisca con un apparecchio direttivo organico e fortemente centralizzato, con proprie articolazioni disciplinate in tutti gli ambienti dove lavora, si riunisce e lotta la classe operaia, con un complesso di servizi e di strumenti per il controllo, per l’azione, per la propaganda che la pongano in condizioni di funzionare e di svilupparsi fin da oggi come un vero e proprio partito.
I comunisti, che nella lotta metallurgica hanno, con la loro energia e il loro spirito di iniziativa, salvato da un disastro la classe operaia, devono giungere fino alle ultime conclusioni del loro atteggiamento e della loro azione: salvare la compagine primordiale (ricostruendola) del partito della
classe operaia, dare al proletariato italiano il Partito comunista che sia capace di organizzare lo Stato operaio e le condizioni per l’avvento della società comunista.
La straordinaria attualità dell’analisi (soprattutto il paragrafo dedicato alla velocità con la quale nascono, si trasformano, muoiono i partiti democratici parlamentari, a seconda degli spostamenti delle classi e dei ceti sociali) dimostra quanto siano mere ciance tutti i discorsi sulla fine delle ideologie, del comunismo e sulla presunta “novità” della socialdemocrazia. Grazie ad Antonio Gramsci, vera bussola per i comunisti di ieri e di oggi e grazie al Compagno Alex che così sapientemente ha scelto questo illuminante articolo di 100 anni fa.
Il fallimento dell’ Unione sovietica e di Cuba, la chiusura del PCI dovrebbero far riflettere sulla non-attualità del pensiero di Gramsci nella società moderna occidentale. La persistenza dell’economia di mercato, anche nella versione socialdemocratica, smentisce le previsioni e le speranze di Gramsci. C’è la Cina, oggi prima economia del pianeta, grazie proprio alla scelta del mercato, ma senza i diritti fondamentali che l’Occidente garantisce: una dittatura fascio-comunista.