Marianna Gorpia – Segreteria Regionale PCI Toscana
Durante la pandemia, quasi una donna lavoratrice italiana su due ha incontrato difficoltà a bilanciare vita lavorativa e vita privata. Secondo la recente indagine IPSOS condotta per Laboratorio Futuro a supporto di questo rapporto, più di una donna su cinque non è riuscita a cercare lavoro nell’ultimo anno pur avendo programmato di farlo. Le donne (40%), più degli uomini (36%), temono di perdere il lavoro a causa della crisi innescata dall’emergenza sanitaria.
La crisi economica causata dalla pandemia ha colpito in maniera molto diseguale i settori dell’economia. Il più colpito in assoluto è stato quello dei servizi, che conta in Italia circa il 60% degli impieghi maschili e l’85% degli impieghi femminili (OECD, 2020). L’occupazione femminile, già a livelli minimi in Italia rispetto al resto dell’Unione Europea, ne ha risentito, diminuendo oltre l’1% dal 2019 al 2020. Contemporaneamente, le donne sono state in prima linea nella lotta alla pandemia rappresentando il 77,5% del personale infermieristico e quasi la metà di quello medico. Tra i lavori cosiddetti “essenziali” rientrano anche i lavoratori dei supermercati che in circa l’82% dei casi sono donne.
Se da un lato la perdita di posti di lavoro ha riguardato in grande misura le donne, la segregazione del lavoro femminile nei settori più esposti al Covid (e tra i peggio retribuiti) le ha anche rese protagoniste della lotta contro la pandemia. Per di più, semmai ce ne fosse bisogno, tra le mura domestiche la situazione sembra non essere differente. Secondo l’ISTAT, più di quattro milioni di italiane e di italiani hanno lavorato da casa in smart working, una modalità di lavoro affatto vantaggiosa per le donne. Infatti, con la chiusura delle scuole le donne italiane hanno dovuto affrontare un carico straordinario di lavoro domestico e di cura.
Un quadro ancora più grave se si considera l’aumento di telefonate al numero di pubblica utilità (1522) contro la violenza e lo stalking. Secondo l’Istat, nel 2020 le chiamate sono aumentate del 79,5% rispetto al 2019 (nel solo periodo marzo a giugno 2020 esse sono raddoppiate!). Quella della violenza di genere è la pandemia ombra, l’altro lato della recessione al femminile la quale, peraltro, non registra mai battute d’arresto. Tutto ciò, evidenzia grandi difficoltà nel fare passi avanti verso la parità di genere. Anzi, le disuguaglianze tra donne e uomini nel mondo del lavoro che sono state rinforzate durante la pandemia di Covid-19 sono destinate a perdurare. Le donne hanno subito perdite occupazionali e di reddito sproporzionate a causa della loro eccessiva rappresentanza nei settori più colpiti, (sanità e assistenza sociale), tant’è che ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche, policlinici universitari e residenze per anziani e disabili hanno raccolto il 71,7% di casi.
Con i venti di guerra che, inoltre soffiano vicinissimi a noi, tutta la situazione per le donne non può che peggiorare. Ma noi comunisti sappiamo che costruire un mondo più equo è possibile e significa, fra le altre cose, porre l’uguaglianza di genere al centro degli sforzi per la ripresa e mettere in atto ”trategie di genere” attraverso scelte politiche precise e l’attuazione di buone pratiche:
(a) investire nell’economia della cura affinché i settori della sanità, dell’assistenza sociale e dell’istruzione generino lavoro, soprattutto per le donne, anche rendendo effettive le politiche sul congedo di cura, riassumendo il riferimento del contratto nazionale di lavoro, prevedendo una divisione più equa del lavoro domestico tra donne e uomini;
(b) impegnarsi per realizzare l’accesso universale ad una protezione e rete sociale adeguate e sostenibili, al fine di ridurre l’attuale divario di genere nella reale copertura delle stesse;
(c) promuovere la parità di retribuzione per un lavoro di egual valore;
(d) eliminare la violenza e le molestie nel mondo del lavoro. La violenza domestica, la violenza e le molestie di genere legate al lavoro sono peggiorate durante la pandemia, minando ulteriormente la capacità delle donne di impegnarsi in un lavoro retribuito;
(e) promuovere la partecipazione delle donne agli organi decisionali, al dialogo sociale e alle istituzioni delle parti sociali.
Concludendo, possiamo dire che solo attraverso l’emancipazione come lavoratrici tutelate e protette da una legislazione adeguata, potrà esserci un’emancipazione completa della donna, perché se le femministe borghesi vogliono ottenere gli stessi vantaggi, lo spesso potere, gli stessi diritti che possiedono gli uomini, l’obiettivo nostro di femministe e comuniste è quello di abolire tutti i diritti che derivano dalla nascita e dalla ricchezza, perché per noi è indifferente se il padrone è un uomo o una donna.