NOI SIAMO CON IL MARESCIALLO TITO
Il 4 maggio 1980 moriva il maresciallo Josip Broz detto Tito.
La Jugoslavia perdeva la sua guida e il mondo uno dei suoi condottieri più carismatici. A dimostrazione del suo prestigio, il funerale è ad oggi il più grande mai visto per un capo di stato: parteciparono i rappresentanti di 128 paesi di cui 31 presidenti, 22 primi ministri e 4 re. Forse solo ripartendo da questa cornice possiamo formulare un’analisi sobria su Tito.
Ma quale è la valutazione e l’eredità storica di Tito? Qual è il suo lascito? Frequentemente il giudizio storico su questo personaggio è espresso in maniera superficiale e poco approfondita.
Talvolta noi comunisti tendiamo ad associare la sua figura a ruolo del ‘grande eretico’, colui che per primo creò una crepa all’interno del monolitismo socialista e quindi ‘scomunicato’ dal Cominform, vivente Stalin, nel 1948.
Il giudizio degli anticomunisti è ancor più fuorviante e spesso, ha influenzato anche la capacità di discernimento e di valutazione dei “compagni” al di qua della cortina di ferro: Tito è colui che non si è piegato alla tirannide stalinista, un ‘animale selvaggio addomesticato dagli occidentali in funzione antisovietica e colui che ha dimostrato al mondo le deviazioni e le brutture dello stalinismo, ma figlio naturale di quel Socialismo che ha infoibato tanti poveri italiani.
Forse è il momento per noi comunisti di analizzare meglio questa figura, di riconsiderarla partendo da quel funerale che vide il mondo riunirsi intorno al feretro del Maresciallo e dal dolore di una nazione per aver perso una guida autorevole e per il contributo indiscutibile che Tito diede alla causa comunista e alla lotta di liberazione della Jugoslavia.
L’analisi della sua lunga vita può essere suddivisa in quattro parti, nelle quali Tito poté proiettare le proprie caratteristiche di uomo al servizio della causa marxista- leninista.
La giovinezza e la formazione
Croato-sloveno di nascita, Tito, aderì presto all’ideale comunista.
Crebbe in un ambiente cattolico e la prima esperienza lavorativa lo vide come fabbro apprendista ma, la sua illuminazione sulla via del socialismo, avvenne a Sisak dove si confrontò nel 1910 con le idee e le istanze del movimento operaio nelle celebrazioni del Primo Maggio. Nello stesso anno entrò a far parte del Sindacato dei lavoratori metallurgici della Croazia.
Tra il 1911 e il 1913 Tito cambiò spesso lavoro e comincio’ a spostarsi: ebbe modo di consolidare le proprie convinzioni ideologiche lavorando nei plessi industriali della Benz in Germania e della Daimler in Austria. Allo scoppio della prima guerra mondiale, Josip Broz, venne arruolato nell’esercito imperiale austro-ungarico. Si distinse per coraggio e innato senso della disciplina che lo portò a raggiungere presto il grado di Sergente maggiore. Tuttavia, a Ruma, venne arrestato per aver svolto propaganda contro la guerra alla fine del 1914.
Imprigionato nella fortezza di Petra Pavarid ( Serbia Settentrionale )venne trasferito sul fronte orientale in Galizia. In questo scenario fu catturato con tutto il suo reggimento dalla divisione russa dei Circassi. Ferito gravemente , dopo tredici mesi di ospedale, venne inviato in un campo di lavoro oltre gli Urali, dove i prigionieri, lo elessero loro guida.Allo scoppio dei primi moti di febbraio, nel 1917 in Russia, Tito e i suoi compagni di prigionia vennero liberati da un gruppo di lavoratori in rivolta ed entrò a far parte delle Guardie rosse. Prese parte ai moti del 1917 a S. Pietroburgo, motivo per cui venne nuovamente arrestato e trasferito nella fortezza di Petropavl in Kazakistan e poi a Kungur da dove fuggì. Trovò rifugio presso una famiglia di contadini ove conoscerà la sua futura moglie Pelagea Belusova.
Nel 1918 aderì prima all’Armata Russa presso Omsk e quindi fu accolto nel Partito comunista russo. Al netto di tali fatti possiamo dedurre che, non solo Tito abbracciò fin da subito la causa comunista, ma per un buon periodo, poté usufruire dell’insegnamento della scuola bolscevica, prendere direttamente parte ai moti rivoluzionari del ’17 e alla guerra civile che, di li a poco, esplose in Russia.
Nel 1920, dopo un difficile viaggio, rientrò in patria insieme alla moglie.
La maturità e il ritorno in Jugoslavia
Al suo rientro partecipò a Vukovar alla fondazione del Partirò comunista yugoslavo. Nelle elezioni politiche del 1920 il K.P.J fu la terza forza politica del paese, nonostante ciò, re Alessandro I di Serbia, mise i comunisti fuori legge. Tito, tra il 1921 e il 1925, poté proseguire la sua attività politica in clandestinità e trovò impiego, prima come macchinista e poi come operaio in un cantiere navale vicino la città di Fiume. Qui entrò nei Quadri sindacali da dove guiderà diversi sciopero: la sua appartenenza al Partito comunista clandestino gli costò due licenziamenti consecutivi, ma ciò non gli impedì di essere nominato Segretario del Sindacato croato dei lavoratori metalmeccanici.
Ma è nel 1934 che nacque il personaggio e la leggenda di nome Tito: infatti, divenuto membro del Dipartimento politico del Comitato Centrale del K. P. J. (con sede a Vienna) sarà in seguito a questo evento che utilizzerà per la prima volta il nome di battaglia con cui tutti noi lo conosciamo.
Nel 1935 tornò in Unione Sovietica e, per un anno, lavorò nella sezione Balcani del Comintern ed entrò a far parte del PCUS e della NKVD. Nel 1937 il compagno Walter (uno dei tanti suoi pseudonimi) prendeva il posto del defunto Milan Gorkic alla guida del K. P.J. L’investitura gli arrivò direttamente da Josif Stalin.
Stalinista ortodosso e osservante delle direttive del Comintern, il K. P. J., agli occhi di Mosca, dovrà avere un ruolo di ‘primus inter pares’ tra i Partiti comunisti europei, che di lì a poco, si troveranno a contrastare l’invasione nazifascista.
Possiamo constatare che, nella sua ascesa tra i ranghi di partito, del Comintern e dello stesso gruppo dirigente sovietico, Tito venne seguito costantemente da Stalin che gli accordò fiducia e appoggio, specialmente alla vigilia dello scontro con il nemico storico dei comunisti: il fascismo.
La guerra partigiana e il ‘Grande Scisma’
Il 24 marzo 1941 la Jugoslavia aderì al Patto tripartito sotto le minacce di Adolf Hitler.Tuttavia il 27 marzo, un colpo di stato militare, istigato dai Servizi segreti inglesi, ruppè l’accordo con Hitler e firmò un trattato di amicizia con l’Urss.
Il 6 aprile, le forze dell’Asse, diedero inizio all’operazione ‘Castigo’ ed invasero la Yugoslavia conquistandola in undici giorni.
Il Re Pietro II e il governo jugoslavo fuggirono a Londra.In questo momento drammatico Tito inviò un messaggio a tutta la nazione iugoslava e chiamò i suoi compatrioti alla mobilitazione generale. Era il 1 maggio del 1941. I comunisti si trovarono ad affrontare l’avversione di un altro movimento di resistenza anticomunista, a base etnica ovvero l’Esercito yugoslavo in Patria guidato dal generale Dreisa Mihailovich: i famigerati Cetnici che verranno supportati a lungo dagli inglesi e dagli americani.
Tito non si arrese.
Il 22 giugno del 1941, a Sisak, venne formata la prima Brigata partigiana e il 4 luglio a Josip Broz veniva conferito l’incarico di Comandante supremo dell’Esercito popolare di Liberazione della Jugoslavia, il più efficace movimento di resistenza dell’Europa occupata. I partigiani titini attuarono una campagna di guerriglia estesa e vittoriosa. Era un esercito di popolo a base ideologica che si rivelò molto più efficace dei Cetnici di Mihailovich. Questi ultimi si trovarono spesso in combutta con gli Ustascia di Ante Pavelic (collaborazionisti croati dei tedeschi) con i quali Tito si dimostrò implacabile.
Alla luce dei successi dei partigiani comunisti, Stalin, durante la Conferenza di Teheran del 1943, chiese ed ottenne il supporto degli Alleati per Tito in Yugoslavia, tagliando fuori i Cetnici, fedeli al re Pietro II.
Ormai capo indiscusso del Comitato antifascista di Liberazione nazionale iugoslava, Tito, divenne obiettivo delle forze dell’Asse e sulla sua testa venne messa una taglia da 100.000 reichmark. Sul finire del 1944, le formazioni partigiane titine, assomigliavano sempre più ad un esercito regolare, forte di 200.000 uomini, organizzati in venti divisioni, forgiate dalla lotta di resistenza. A fine guerra sarà il quarto esercito più potente d’Europa e il quinto più potente del mondo. Con l’aiuto dell’Armata rossa, il 18 ottobre 1944, Tito entro’ trionfante a Belgrado e nel maggio del 1945 libero’ il resto del paese.
Nonostante un primo tentativo di fondere il governo in esilio di Pietro II con i comunisti, Tito cominciò l’instaurazione del socialismo in Jugoslavia. Il 29 novembre 1945 l’Assemblea costituente depose Pietro II dalla carica di re.
La neo costituita OZNA (Servizi di sicurezza del Popolo) cominciò a epurare il paese dalle forze monarchiche, anticomuniste, collaborazioniste, provvedendo all’eliminazione degli Ustascia e alla neutralizzazione degli elementi Cetnici superstiti.
Il 13 marzo 1946 venne catturato Dreisa Mihailovich e quindi giustiziato come nemico del popolo il 18 luglio 1946. A questo punto il K. P. J. aveva in mano il destino della Jugoslavia: obiettivo primario era il processo di pacificazione che sarebbe stato portato avanti con risolutezza da Tito, riunendo tutte le entità che comporranno la neonata Repubblica Federale intorno ad un obiettivo comune ovvero la costruzione dello Stato socialista.
Purtroppo, la situazione cominciava ad incrinarsi all’interno del Cominform. Le critiche mosse a Tito erano di natura ideologica, economica e strategica:
- il Cominform condannava il rifiuto di Tito al processo di collettivizzazione economica consigliato dai tecnici sovietici. Secondo il K. P. J. sarebbe stato colpito il mondo contadino iugoslavo, minando l’alleanza tra questa base sociale e il Partito stesso;
- il Cominform criticava e condannava il progetto confederale delle Repubbliche balcaniche che avrebbe incluso Albania, Bulgaria, Jugoslavia e Grecia, progetto auspicato fortemente da Tito stesso. In riferimento alla Grecia, Stalin stesso, non approvava l’appoggio della Yugoslavia alla ribellione dei comunisti greci, ritenendo l’evento una mera avventura;
- Mosca accusò Tito di trotzkismo, sciovinismo, nazionalismo borghese, deviazionismo, bucharinismo.
Tito rigettò le accuse e ormai la rottura fu inevitabile. Il 28 giugno 1948 il Partito comunista iugoslavo venne espulso dal Cominform. Fu Palmiro Togliatti a redigere il testo di accusa ( sotto la supervisione di Pietro Secchia) che espulse di fatto gli iugoslavi dal mondo comunista.
Fu un Big Bang politico: la prima crepa all’interno del mondo comunista.
Tuttavia, come nella fisica, anche nella politica ‘nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma’. Assistemmo alla nascita del ‘terzomondismo’ di Tito e a quello che verrà chiamato il ‘Movimento dei paesi non allineati’, che pose fine al colonialismo e limitò l’espansionismo imperialista degli USA.
I paesi non allineati e l’eredità politica di Tito.
Immediatamente dopo la rottura definitiva con l’URSS, la dirigenza iugoslava cominciò a guardare con interesse alla creazione di un terzo blocco che, seppur non-allineato, sarà tutt’altro che neutrale.
Il Maresciallo Tito trovò il suo più grande alleato nel Primo ministro indiano Nerhu, interessato a dare vita a una alleanza anti coloniale tra i paesi dell’Asia e dell’Africa. Nel 1954 Tito fu il primo capo di stato europeo a recarsi in visita nell’India post coloniale. Lì pronunciò un discorso in favore della coesistenza attiva degli stati non-allineati per abbattere il colonialismo morente e l’imperialismo rampante.
Appena due anni dopo, nel 1956, ai due capi di stato si aggiunse anche il Presidente egiziano Gamal Nasser. Tito era ben cosciente che, senza il coinvolgimento dei paesi africani, non poteva essere creato un Terzo blocco.
Nel 1958 decise così di organizzare, a bordo della nave presidenziale Galeb, un viaggio di ben dieci settimane tra l’Asia e il continente africano. Secondo alcune ricostruzioni storiche, all’interno della nave, erano state nascoste ingenti quantità di armi da far arrivare al Fronte di liberazione algerino tramite l’intermediazione di Nasser e il leader indonesiano Sukarno. Il supporto militare era accompagnato anche da ingenti aiuti economici, circa undici miliardi di dollari rivolti ai paesi più poveri.
L’uccisione di Patrick Lumumba in Congo nel febbraio del 1961, diede la spinta definitiva alla convocazione di una Conferenza dei Paesi non-llineati. Per convincere personalmente i leader africani, Tito, fece un altro viaggio, toccando paesi come Ghana, Togo, Liberia, Marocco, Tunisia, e ovviamente Egitto. Durante il suo soggiorno a Il Cairo, nel mese di giugno, si svolse una riunione con la presenza di oltre 20 capi africani e asiatici che stabilì la convocazione di una Conferenza da tenere a Settembre a Belgrado.
Quest’ultima vide la partecipazione di 25 paesi afro-asiatici. I temi trattati erano legati alla lotta contro il colonialismo e l’imperialismo, il disarmo, la coesistenza pacifica, il sottosviluppo economico di una larga parte del mondo e il supporto ai movimenti di liberazione nazionale. La soluzione trovata soddisfaceva pienamente la Jugoslavia che vedeva riconosciuta la creazione del Movimento dei paesi non-allineati, anche se la sua nascita ufficiale, avvenne durante la Conferenza di Lusaka (Zambia) e la nomina di Tito a Primo Segretario generale. Il successo politico-diplomatico elevò il Maresciallo a protagonista della scena mondiale.
Inoltre vogliamo segnalare la profonda amicizia tra Tito e Yasser Arafat e il supporto iugoslavo alla causa palestinese. È ben nota l’iniziativa della Jugoslavia in seno alle Nazioni Unite per l’emanazione della Risoluzione ONU 3349 che equiparava il sionismo al razzismo.
Verso gli ultimi anni della sua vita Tito lasciò la guida dei Paesi non-allineati ad un altro gigante della storia socialista: Fidel Castro. I due, seppur a volte si trovassero in polemica, erano legati dal comune ideale socialista, profonda stima e amicizia.
Il giovane Comandante aveva sempre una gran premura nel far pervenire al vecchio Maresciallo delle buone scorte di sigari cubani, di cui Tito era un grande consumatore ed estimatore. Fidel Castro prese la guida del Terzo Mondo durante il Congresso de L’Avana del 1979.
Tito morì un anno dopo.
La Falsificazione storica su Tito della destra e della sinistra in Italia
Negli ultimi 30 anni a seguito del crollo dell’Unione Sovietica e della Federazione Jugoslava, abbiamo assistito ad un sistematico revisionismo storico, con lo scopo di infangare i partigiani comunisti e condannare il SOCIALISMO REALE. Contemporaneamente, abbiamo visto la riabilitazione dei regimi fascisti e l’equiparazione in Parlamento Europeo fra Nazi-Fascismo e Comunismo. Tutto cio rientra in una strategia ben delineata. Il Capitale nel suo momento di crisi maggiore cerca disperatamente di diffamare l’unica speranza per i lavoratori: il Socialismo.
La strumentaIizzazione dei fatti avvenuti al confine fra l’Italia e la Jugoslavia, alla fine della guerra, fa parte di un disegno, finalizzato a mettere sullo stesso piano il Glorioso esercito partigiano jugoslavo del Maresciallo Tito con quello fascista di Benito Mussolini, cancellando le responsabilità politiche e storiche dell’Italia fascista, facendo passare i boia fascisti per vittime e i liberatori partigiani slavi per crudeli barbari.
A partire dal 2004, su pressione dei partiti di destra, con la complicità CRIMINALE del Centro Sinistra, è stata istituita la “Giornata del Ricordo”: il 10 febbraio si commemorano gli esuli istriani e dalmati e le vittime al confine italo-jugoslavo.
La questione delle foibe, è stata completamente stravolta nella narrazione dei fatti:
•le FALSE “vittime” giustiziate dai partigiani, (non più di 700 documentate) erano state in gran parte a loro volta CARNEFICI, tanto che i premiati per il Giorno del Ricordo sono in netta maggioranza militi repubblichini FASCISTI;
•Il numero delle vittime è STATO AUMENTATO SPUDORATAMENTE di decine e decine di volte rispetto alle stime storiche, al fine di equiparare artificiosamente le vicende del confine Italo –Jugoslavo con la portata dei crimini nazi-fascisti;
•viene omesso il legame con il regime fascista dei prigionieri politici uccisi per rappresaglia, e addebitati ai partigiani delitti comuni al fine di POMPARE arbitrariamente il numero delle vittime, creando una fantomatica guerra etnica contro gli italiani. QUESTO E’ REVISIONISMO STORICO.
•Anche le cause e le dimensioni del famoso “esodo” sono stati ricreati nella menzogna: la Jugoslavia fece di tutto per far rimanere in quelle terre la popolazione italiana e decine di migliaia di italiani fecero la scelta di rimanervi e addirittura molti italiani vi emigrarono.
Tuttavia, nessuno parla dell’italianizzazione forzata, dei campi di concentramento, dell’assassinio dei dissidenti politici, della vera guerra RAZZISTA che anni prima il regime fascista scatenò contro le popolazioni jugoslave dei territori annessi all’Italia. Mentre oggi si calunniano le brigate partigiane italiane e jugoslave, che insieme liberarono l’Italia nord orientale dall’infame occupazione nazi-fascista, si dimenticano le parole che Mussolini pronunciò riferendosi alla politica da adottare nei confronti delle popolazioni jugoslave nei territori italiani: «Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani». Non si trattava solo di retorica razzista, ma di una linea politica che lo stato fascista attuò sulla pelle delle popolazioni jugoslave, con l’apertura di campi di concentramento a Kraljevica, Lopud, Kupari, Korica, Brac, Hvar, Rab (isola di Arbe) nei quali furono internati migliaia di prigionieri politici e cittadini che si opponevano alla politica fascista. Gli alti ufficiali fascisti dell’esercito italiano abbracciarono questa linea, come il Generale Robotti il quale sosteneva in una circolare militare che «si ammazza troppo poco», riferendosi ai territori jugoslavi da poco acquisiti.
I crimini nazi-fascisti vengono occultati, provando a far passare i partigiani italiani e jugoslavi come assassini, anziche come eroi che sconfissero gli eserciti del Reich e della Repubblica Sociale Italiana, eludendo così le responsabilità storiche e politiche del fascismo. Gli unici ASSASSINI E TRADITORI furono i fascisti italiani al servizio dei nazisti tedeschi.
Conclusioni
La scomparsa di Tito rappresentò un duro colpo, non solo per l’unità interna della Federazione iugoslava, ma anche per la capacità dei Paesi non-allineati di incidere sugli equilibri internazionali e di sviluppare una linea unitaria. Ma nel 2024 gli stessi, che oggi chiamiamo BRICS stanno cavalcando l’onda dell’autodeterminazione dei popoli per un mondo più equo, giusto e multipolare come lo immaginava proprio il Maresciallo Tito.
Questo è il grande lascito di un gigante del Socialismo e della Resistenza partigiana.
Noi siamo con il Maresciallo Tito
UZ MARSALA TITO!!!