Di Mauro Alboresi, Segretario Nazionale del PCI e Walter Tucci, Responsabile Democrazia e Riforme PCI
“Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86: disposizioni per l’attuazione dell’Autonomia Differenziata, …ecc.” è questo il quesito del Referendum depositato il 5 luglio in Cassazione dal Comitato nazionale promotore, cui ha dato impulso il Segretario CGIL Landini e che ha visto convergere, oltre agli storici Comitati NO AD, nei quali il Partito ha lavorato per sei anni, i maggiori partiti di opposizione parlamentare ed una serie di Associazioni, compresa l’ANPI, forze sociali e costituzionalisti come Villone e Azzariti.
Un ampio schieramento politico, sindacale e associativo, dunque, che non impedisce un’analoga richiesta da parte di cinque Consigli regionali, che è, anzi, un ulteriore strumento atto ad aggirare l’eventuale giudizio di inammissibilità del quesito abrogativo totale, da parte della Corte Costituzionale.
Il PD ha, infatti, chiesto alle cinque Regioni in cui governa (Toscana, Campania, Sardegna, Puglia ed Emilia Romagna) di sostenere la richiesta di Referendum abrogativo, ai sensi dell’art.75 della Costituzione, e raggiungere un quorum di validità del 50% +1 dei votanti.
Ma le Regioni in questione, nonostante i durissimi proclami fatti contro l’A.D. all’indomani della legge 86, sembrano orientarsi a chiedere l’abrogazione anche solo parziale della legge, cosa già accaduta nel Consiglio regionale campano dell’8 luglio, nel quale si è votato sia il quesito per l’abrogazione totale, sia un quesito per la cancellazione solo di alcune parti della stessa.
La differenza fondamentale tra le due strade è evidente: i quesiti parzialmente abrogativi accettano l’impianto della legge e introducono correttivi marginali, mentre il quesito totalmente abrogativo rifiuta l’impianto stesso della legge!
La prima strada segna una posizione ambigua, che lascia spazi alla c.d. autonomia Soft e conferma definitivamente lo spostamento dallo Stato alle Regioni di fondamentali funzioni pubbliche; la seconda è chiara e segna la netta cancellazione di ogni tipo di autonomia differenziata, mettendo anche in crisi la seconda parte del patto scellerato, il premierato, con il quale questa maggioranza è andata al “potere”, più che al Governo.
E’, inoltre, auspicabile che le Regioni usino l’ulteriore strumento consistente nella possibilità dei ricorsi in via principale, garantita dall’art. 127 della Costituzione, che consente loro di sollevare la questione di legittimità costituzionale sulla legge Calderoli, entro i 60 giorni dalla sua pubblicazione, e che potrebbe portare ad una dichiarazione di illegittimità costituzionale da parte della Consulta.
Il PCI sostiene il Referendum totalmente abrogativo e su questo unico quesito raccoglierà le firme, perché è preferibile rischiare l’inammissibilità, piuttosto che dividere il fronte abrogativo tra quesito totale secco e quesiti parziali, che favoriscono il fronte del NO della destra e rendono più complicato raggiungere il quorum per il SI; lasciano sostanzialmente invariata l’impalcatura fondamentale della legge Calderoli, devolvendo importanti funzioni statali; rendono evidenti e confermano le ambiguità e le responsabilità politiche di un centro sinistra, che ha innescato la secessione leghista con la modifica del Titolo V° della Costituzione e si è mostrato inerte e diviso fino a ieri.
Per di più, aspettare gli eventuali ricorsi delle Regioni farebbe perdere 60 giorni di tempo e ci esporrebbe alla confusione generata dall’ambiguità delle diverse posizioni che si sono già manifestate nelle cinque Regioni del centro sinistra, che, a partire dalla Campania di De Luca, dove si sono votati sia il quesito abrogativo totale, sia uno parziale, dovranno essere votati dall’Emilia Romagna, che con Bonaccini è decisamente a favore dei quesiti parziali, sia dalla Puglia di Emiliano, che voleva portare avanti entrambe le strade (totale e parziale), sia dalla Toscana e sia dalla Sardegna, che dovranno votare lo stesso testo per poterlo presentare in Cassazione e che giustificano il doppio binario con il timore che il Referendum abrogativo totale non passi al vaglio di legittimità costituzionale.
Ma se davvero, come spesso proclamato, vogliono eliminare il progetto eversivo, dopo aver raccolto durante l’estate con tanta fatica e sacrificio le oltre 500.000 firme, necessarie per celebrare il Referendum prima che partano le ratifiche delle intese tra Regioni e Governo, come potranno dire all’elettorato che ci sono più quesiti e si può optare per la mezza abrogazione o per la totale?
E come è possibile non capire che, se prevalesse la parziale, si tratterebbe di una definitiva legittimazione popolare della legge Calderoli?
Il PCI, per queste ragioni, contribuirà con tutte le sue strutture territoriali e in tutto il Paese alla raccolta delle firme per l’abrogazione totale di questa legge, lesiva delle prerogative del Parlamento, dell’unità della Repubblica e, persino, del suo stesso Presidente, che l’ha purtroppo proclamata, senza alcuna osservazione.
Siamo, infatti, convinti che l’insieme dei cittadini sinceramente democratici, i Comitati, le Associazioni, le forze sindacali, le forze politiche parlamentari e non, saranno in grado, tutte insieme e ancora una volta, di sbarrare la strada ad un progetto eversivo che viene da lontano e che trova oggi un’inquietante sponda in questo Governo, che si accinge a mettere mano al premierato ed ha già prodotto una “riforma” della Giustizia, che rende la vita più facile ad amministratori corrotti e disonesti e più difficile alla Magistratura.
Il Fronte popolare francese e il popolo francese, proprio in questi giorni, ci fanno ben sperare!