Una patente a punti per contrastare le morti sul lavoro: ecco l’ennesima presa in giro del governo

Su adnkronos (24 luglio 2024) si può leggere: “La patente a punti sul lavoro sarà realtà dal prossimo 1° ottobre. Anche detta patente a crediti per l’edilizia, questa nuova ‘certificazione’ prevede che le attività delle imprese edili potrebbe essere sospese fino a 12 mesi in caso di infortunio mortale imputabile al datore di lavoro, al suo delegato o al dirigente, almeno a titolo di colpa grave. Per la Cisl, che aveva proposto una misura analoga già nel 2011, la patente a punti sul lavoro introdotta nella versione definitiva del decreto del ministro del Lavoro, Marina Calderone, rappresenta un importante passo avanti nella sicurezza nei cantieri. Permane il giudizio fortemente negativo di Cgil e Uil.”

Chi spera (e vuole farci credere) che con una patente rilasciata in base ad autocertificazione e con la diminuzione dei punti che avviene solo a posteriori (in base a una graduatoria di gravità dell’incidente) si possa risolvere o quanto meno contenere la questione della mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro o chi ritiene che questo possa essere un “importante passo avanti nella sicurezza nei cantieri” è miope, sbaglia o è in malafede.

Le leggi e le norme che sono state introdotte (e quelle che non sono state neppure prese in considerazione) dai vari governi che si sono succeduti negli ultimi decenni non hanno fatto altro che peggiorare le condizioni di assoluta mancanza di sicurezza nel lavoro. I 565 morti per infortunio nei luoghi di lavoro (esclusi, quindi, i decessi in itinere – fonte Osservatorio nazionale morti sul lavoro) che ci sono stati da inizio anno a oggi non fanno che avvallare la convinzione che quella della patente a punti non sarà neppure una “pezza”, tanto meno una soluzione, al problema. La questione deve essere affrontata in maniera radicale e decisa a partire dall’introduzione nel codice penale del reato di omicidio sul lavoro (norma necessaria ma non sufficiente) per arrivare alla cancellazione del Jobs Act, alle leggi volte a cancellare la precarietà e lo sfruttamento, all’istituzione di un salario minimo garantito, a una nuova “scala mobile” che leghi l’aumento delle retribuzioni al costo della vita, a una legge sulla rappresentanza che garantisca pari diritti a tutti i lavoratori dipendenti e autonomi … una visione differente e contraria a quanto ci impone il pensiero unico. Un progetto, più che una serie di piccoli rimedi slegati tra loro, che metta al primo posto i diritti e il benessere di chi lavora e non i privilegi di chi accumula enormi ricchezze grazie al lavoro degli altri.

Mettere un punteggio sulla sicurezza e la vita di lavoratrici e lavoratori oltre a non risolvere il problema è profondamente ingiusto e sbagliato e bene fanno CGIL e UIL a esprimere un giudizio fortemente negativo.

Il PCI è sempre stato, è e sarà sempre dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori, oggi più che mai sfruttati da un sistema che li considera di fatto “cose” la cui esistenza può essere definita da qualche “punteggio” e non persone che hanno diritto a vivere un presente degno di essere vissuto e a sognare un futuro migliore.

Diventa necessario costruire un fronte unitario di lotta che dia speranza che la situazione attuale di profonda rassegnazione possa (e debba) trasformarsi nella presa di coscienza che sia possibile lavorare meglio, meno, in piena sicurezza e giustamente retribuiti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *