È una catastrofe vera e propria. Un massacro che viene soffocato dal silenzio che è sceso a livello mediatico e istituzionale dopo qualche indignazione, evidentemente di facciata, che ha avuto qualche risalto quando sono successi “incidenti” particolarmente gravi e raccapriccianti.
Ci riferiamo alle morti sul lavoro, quelle che ci si ostina a definire “morti bianche” e che invece dovrebbero essere considerate omicidi frutto, nella stragrande maggioranza dei casi, di sfruttamento, incuria, mancanza di diritti, precarietà, bassi salari, fatica insostenibile e di crudeltà inaudita come nel caso, purtroppo non isolato, di Satman Singh che ha suscitato orrore ma che è prontamente fatto scivolare nell’oblio.
Non si muore di lavoro ma a causa delle condizioni che un sistema inumano ci impone. Non è la macchina ad uccidere ma la bramosia di quel guadagno ad ogni costo che sta alla base del modello capitalista di sviluppo.
E così, nonostante politicanti e ministri si ostinino a farci credere che, sì, bisognerà fare qualcosa ma, in definitiva, le morti sul lavoro nel 2023 sono calate (citano i dati INAIL che tengono conto delle denunce pervenute all’istituto e si riferiscono, in pratica, solamente ai propri assicurati), la realtà è ben diversa.
Tra sabato 27 e lunedì 29 luglio sono stati 14 i morti nei luoghi di lavoro. Di loro si è sentito parlare? Solo l’Osservatorio nazionale morti sul lavoro di Carlo Soricelli ne dà notizia assieme al totale dei decessi sul lavoro. Da inizio anno i morti per infortunio nei luoghi di lavoro sono 620, che diventano 853 se si considerano i decessi in itinere. L’anno scorso alla stessa data, dal 1 gennaio 2023, i morti nei luoghi di lavoro furono 535.
Assistiamo a un crescendo spaventoso che smentisce la diminuzione delle morti sul lavoro conclamata dalla ministra Calderone quando afferma che “nel 2023 abbiamo avuto 1.041 infortuni mortali, un dato inferiore rispetto al 2019, anno in cui abbiamo registrato 1.239 infortuni mortali”.
La questione della mancanza di sicurezza nel lavoro non si può affrontare con affermazioni minimaliste o qualche lacrima versata un paio di volte all’anno. È qualcosa che deve impegnare i comunisti e chiunque voglia che la nostra Costituzione non sia solo un pezzo di carta che si può stracciare ma che deve essere attuata. Con la lotta e il conflitto come è utile e necessario fare. Contro la precarietà e i bassi salari, contro lo sfruttamento e la mancanza di sicurezza del e nel lavoro, contro la legge su appalti e subappalti in cascata. Lottiamo per ripristinare ed estendere a tutte e tutti i diritti che sono stati cancellati (dall’articolo 18 alla scala mobile), lottiamo perché sia introdotto il reato penale di omicidio sul lavoro.
Costruiamo un progetto unitario nel quale sia chiaro che il lavoro deve essere un’opportunità di riscatto e di maggiore benessere. Un progetto nel quale l’innovazione, la tecnologia, l’intelligenza artificiale siano realizzate e usate a favore di chi lavora e non di coloro che traggono profitto sfruttando il lavoro altrui. Lottiamo perché lavorare meglio, meno, in sicurezza e ben retribuiti non sia solo uno slogan ma la base sulla quale costruire un nuovo modello di sviluppo e una società dove lo sfruttamento di persone e ambiente sia bandito una volta per tutte.