Sono passati 68 anni dalla tragedia di Marcinelle dove morirono 262 minatori in grande parte immigrati italiani.
In ricordo di quella tragedia del lavoro, oggi ricorre la “giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo”.
Un massacro dovuto alle condizioni di vita e di lavoro che emigranti dovevano subire per poter vivere.
È passato tanto tempo, si dirà, sono cose vecchie che, certo, bisogna ricordare ma che riguardano il passato. Ma siamo sicuri che sia così? Nel 2024, una vita dopo, le condizioni di lavoro stanno regredendo. Hanno tolto diritti fondamentali, hanno fatto leggi che consentono e, spesso, incentivano lo sfruttamento (basta ricordare quella su appalti e subappalti in cascata) e il precariato, non c’è vero contrasto al caporalato … si lavora peggio, di più e meno retribuiti rispetto anche a decenni or sono.
Viviamo in un paese nel quale, ogni anno, centinaia di lavoratrici e lavoratori muoiono nei luoghi di lavoro e dove le malattie professionali uccidono un numero imprecisato di lavoratori e di cittadini.
Allora è bene ricordare chi muore del proprio lavoro in incidenti che, quasi sempre, non sono dovuti al caso ma a condizioni precarie, a lavori usuranti, all’assenza di una normale sicurezza, a condizioni di lavoro pericolose in ambienti malsani e inquinati. Tutte situazioni che diventano ogni giorno che passa sempre più comuni e “normali” in quanto, ci spiegano, è necessario che le imprese debbano avere sempre maggiori profitti.
Allora è bene avere memoria che Marcinelle non è stata un caso e non è, oggi, qualcosa di lontano che non può più accadere.
La troviamo ogni giorno nelle migliaia di morti per malattie dovute all’amianto (le condanne al processo Eternit hanno evidenziato come la sete di guadagno provoca morte), i morti e gli ammalati di tumore dovuti alle condizioni infami degli impianti dell’ILVA di Taranto. Ricordiamo gli operai bruciati vivi alla ThyssenKrupp di Torino, i lavoratori morti a causa delle condizioni di lavoro alla Tricom di Tezze sul Brenta, gli oltre cento morti della Marlane-Marzotto di Praia a Mare per i quali nessuno è stato dichiarato responsabile.
La troviamo nei 620 morti per infortunio nei luoghi di lavoro nei primi 7 mesi di quest’anno; nei 5 morti nel cantiere Esselunga di Firenze; nei 5 lavoratori straziati da un treno nella stazione di Brandizzo un anno fa; nei 7 morti nello scoppio della centrale idroelettrica di Suviana; nei 5 operai morti a Casteldaccia, nel Palermitano, mentre lavoravano nelle fognature; nell’atroce vicenda di sfruttamento (che non è un caso isolato) che ha visto la morte di Satman Singh “bracciante/schiavo” che lavorava nei campi intorno a Latina …
Questi sono solo alcuni esempi di quella maniera spaventosa di considerare chi lavora solo un numero, un ingranaggio di un modello di sviluppo che punta unicamente al profitto.
In questo “massacro diffuso” nei tempi e nei luoghi non c’è nessuna fatalità, nessun destino “cinico e baro” ma veri e propri “omicidi sul lavoro”.
E, oggi, vogliamo anche ricordare i “dimenticati”, quelle persone che non hanno nome e volto, coperti dal silenzio complice di gran parte della grande informazione “ufficiale”.
Rivolgiamo l’ennesimo appello alle forze politiche, a quelle sociali, alle istituzioni e, anche, alle massime cariche dello stato perché non si limitino a qualche frase di circostanza ma lottino con tutte le forze perché non si debba più ammalarsi, infortunarsi, morire lavorando e si faccia vera giustizia di chi ha la responsabilità degli “omicidi sul lavoro”.