Per una nuova rivolta antifascista. La cancellazione della memoria è un atto violento, un crimine contro la storia del Paese, un attentato concreto al futuro.
Il Governo Meloni, il Governo più a destra della storia repubblicana per composizione, ispirazione, scelte e pronunciamenti non ha presenziato ad alcun titolo alle cerimonie per l’ottantesimo anniversario della strage di Sant’Anna di Stazzema (560 trucidati, 150 bambini, 250 donne di cui 8 in stato interessante). Neanche un Sottosegretario, un Capo Ufficio di Gabinetto “in rappresentanza di…””; nessuno! Non ci stupiamo, ma piuttosto ci indigniamo vivendo come urgente la tessitura e costruzione larga, popolare, di un aggiornato spirito e movimento antifascista che non evochi retoricamente la difesa della libertà, ma la innervi con la mobilitazione attiva, con la vigilanza democratica e la partecipazione, con la denuncia del progressivo smottamento e sbiadimento di una consapevolezza critica sempre più necessaria a fronte della rinuncia a farsi carico della storia, della nostra storia, ridotta a cronaca banale, a polemica e show quotidiano, a perdita di una visione d’insieme in grado di spiegare dolorosamente e con fatica (come sempre impone il comprendere davvero) il perché e il per come si è giunti a tanto. Basta? No. Serve provvedere alla semina di uno sguardo nuovo che ci permetta di costruire, e non solo di evocare, un’adeguata reazione.
Riconosciamo a questo esecutivo e al suo Presidente il fatto di parlare in modo chiaro. Tanto chiaro, quanto assordanti sono stati i loro silenzi, a partire dalla precisa volontà di Meloni di non pronunciare mai la parola “antifascista” in occasione dello scorso XXV aprile, non volendo e potendo definirsi tale. “Antifascista”, per lei come per i suoi sodali, è parola che in via elementare non esiste in sé nel vocabolario della propria formazione. È parola indicibile e aliena che nel suo campo sottende un disvalore non dichiarato, la pulsione appena trattenuta al lancio di un epiteto ingiurioso. Un silenzio fatto di omissioni e sofismi linguistici che coprono una voragine valoriale, tanto più grave dinanzi a responsabilità storiche e giudiziarie inoppugnabili dei fascisti quali quelle delle stragi di Bologna e
dell’Italicus (da cui le recenti polemiche determinatesi tra il Governo e i Comitati dei familiari delle vittime). Si procede così per progressiva rimozione dei fatti, della verità storica e politica. Si procede con la rimozione della tragedia e dei lutti, dei morti e dei vivi che quei morti sono rimasti a piangere attendendo per decenni giustizia, contando sulla smemoratezza collettiva, la resettazione di una cultura critica su cui a lungo nel Paese si è insistito in modo colpevole e interessato sino a giungere a tanto indecente presente.
Così come non potremmo comprendere la letteratura nazionale e il sorgere di una formazione linguistica e civile unitaria (stile, gusto, sviluppo dell’immaginario espressivo) rimuovendo “il dolce stil novo” e il ‘300, operando così un vero e proprio delitto circa la successiva formazione della coscienza e idea nazionale stesse; in pari misura non si può comprendere il ‘900 e la modernità senza tener conto della funzione svolta dall’antifascismo quale formidabile lievito unificante l’affacciarsi sulla scena delle masse popolari segnate da una coscienza nuova e dalla saldatura tra libertà e valori di emancipazione, quali mai era accaduto nella vicenda italiana. La verità è che la cancellazione della memoria non è un vezzo culturale e una posa, un mutilare annoiato, di volta in volta, questo o quel pezzo del nostro passato collettivo. La cancellazione della memoria è un atto violento, un crimine contro la storia del Paese, un attentato concreto al futuro. Per questo essa è materia viva, materia di scontro politico diretto, immediato, e non discussione astratta destinata a pochi salotti illuminati o a pubblicazioni patinate e di nicchia. Il movimento politico e la forza che intende agire (e non solo agitarsi) nel vivo corpo sociale in direzione del cambiamento che non sarà in grado di assumerla in tutto il suo valore attualizzandone gli ammaestramenti, sarà per questo destinata all’insuccesso poiché la memoria non è altro che la lingua con cui raccontiamo chi siamo avendo inteso da dove veniamo, quali inciampi abbiamo dovuto affrontare, quali prezzi durissimi si sono pagati, da quali rischi ci dobbiamo guardare. L’aggressione alla memoria non è altro che il tentativo di distruggere la lingua madre della storia, l’alfabeto di base con cui ci relazioniamo agli altri condividendo una comune narrazione. Sotto questo profilo, la memoria è madre collettiva.
La democrazia, come le alterne vicende insegnano, si può distruggere in molti modi. In via frontale con la repressione attiva e brutale, il sovversivismo di classi al comando che si pongono alla testa di un movimento reazionario; o per progressiva inertizzazione degli antidoti utili a evitare la catastrofe e il peggio, per progressivo spegnimento degli “allarmi” necessari, per asfissia degli accenti critici e l’infiacchimento delle coscienze sino alla relativizzazione di tutto e delle scelte di tutti, dei massacrati e dei massacratori, dei prepotenti e dei liberatori; sino all’indifferenza che talora miete più vittime di molti colpi di cannone. Togliete a un popolo la memoria e ogni tragedia e scempio sarà (di nuovo) possibile.
Ecco perché al silenzio del Governo, noi rispondiamo con ben altro “silenzio”. Non quello vile di chi da sempre ha operato contro la Costituzione e il patrimonio morale e civile della Resistenza. Ma quello modernissimo – dei caduti partigiani (riscatto e onore d’Italia!) e dei tanti caduti che hanno insanguinato gli anni della Repubblica. Caduti perché ieri come oggi antifascisti. Caduti in difesa dei diritti del lavoro e dei diritti democratici. Un silenzio, che rimanda a una vigilanza militante che non ammette cedimenti, retorica, manierismi culturali. D’altro canto, il fatto che ciò che segue – per urgenza politica e morale – sembri scritto appena ieri, ci rende per intero la misura del punto basso e del grado di pericolo a cui si è giunti nel Paese (14 agosto 2024).
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio del torturati
più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama ora e sempre RESISTENZA
Epigrafe dettata da Piero Calamandrei per una lapide “ad ignominia” collocata nel Palazzo Comunale di Cuneo in segno di imperitura protesta per l’avvenuta scarcerazione del criminale nazista Kesserling, nell’ottavo anniversario del sacrificio di Duccio Galimberti (04 dicembre 1952)
Patrizio Andreoli
Segreteria Nazionale Pci
Dipartimento Politiche dell’Organizzazione