Patrizio Andreoli
Segreteria Nazionale Pci
Dipartimento Politiche dell’Organizzazione
Pare chiaro come questo Governo e i suoi esponenti abbiano scelto da tempo di disertare commemorazioni ed eventi legati alla Resistenza, verso cui si è sin qui operato con aperto ostracismo e provocatoria offesa a quella formidabile stagione nel tentativo di cancellare -per omissione- parte fondamentale della comune memoria civile posta a base della Repubblica. Lo hanno fatto in segno di aperto sfregio a quei valori. Lo fanno, per oggettiva ignoranza e indisponibilità di un alfabeto democratico ed antifascista che non sanno e non vogliono declinare. In questo contesto, sempre più è il Presidente Sergio Mattarella a farsi ovunque carico della necessità di difendere valore e significato dell’immenso patrimonio della Lotta di Liberazione sviluppatasi contro il nazista invasore e il traditore fascista. Ultima, in tal senso, la sua presenza in Valle d’Aosta dove ha ricordato come “il ruolo dei partigiani e degli antifascisti sia stato importante per il destino d’Italia”. Un atto dovuto che in un Paese democratico normale non meriterebbe cenno. Un atto necessario sul piano istituzionale, politico, morale.
Il nodo che si stenta a cogliere rivelandosi in sé anche immediata cifra del punto critico a cui si è giunti, è che a questo, in un crescente silenzio e deserto di altre voci istituzionali, si chiama un Presidente che per formazione e sensibilità appartiene al campo e alla tradizione (cattolico) moderata che aderisce pienamente all’attuale linea europeista e atlantista e pur tuttavia, non è disposto a cedere al liquidazionismo neofascista. Una destra sgangherata e sgrammatica sul piano del costume, dei riferimenti, della minima contezza storica e persino della lingua italiana (come l’ex Ministro Sangiuliano ha dimostrato più volte in maniera farsesca e greve) che riesce a far apparire pericoloso estremista chiunque semplicemente faccia proprio il richiamo all’antifascismo. Una destra che a stento trattiene pulsioni antiche e nuove di vicinanza e adesione culturale alla tradizione sociale repubblichina e vive senza freni la politica come teatro, mascherata, rimozione, camuffamento. Molto e oltre il “classico trasformismo italiano”.
Un giorno si giura sulla Costituzione scritta col sangue degli oltre sessantamila patrioti e partigiani caduti; l’altro si nega -come fatto da Meloni- il dichiararsi antifascisti. Nel mentre si attua disinvoltamente una continua violenza alla storia viva d’Italia, si nutrono le premesse per il più potente attentato politico alla Costituzione sinora messo in campo attraverso l’ipotesi istitutiva l’elezione diretta del capo del Governo che accompagnata alla legge Calderoli (Autonomia differenziata), va oggettivamente nella direzione di sovvertire l’equilibrio dei poteri costituzionali esistenti. Una volta, senza perifrasi avremmo sintetizzato: un vero e proprio “attentato” allo Stato antifascista e alla Carta.
Noi, restiamo con la “Resistenza del Presidente”: quella scritta nella storia d’Italia dalla sua parte migliore che nessuna mediocrità e nuova onda sporca riusciranno a cancellare; e quella dettata dalla necessità di resistere in via letterale giorno per giorno al peggio di questi attori. Nel frattempo, il neoeletto Ministro della Cultura Alessandro Giuli vanta un pedigree tessuto tra l’adesione giovanile al movimento fascistissimo “Meridiano Zero” che riteneva pericolosamente a sinistra lo stesso Msi, e letture che oscillano tra Tolkien e l’antimodernismo (… quando si dice la cifra culturale di un Ministro!). Un profilo meno sguaiato e pacchiano di quello incarnato in modo insuperabile dalla cazzimma di Gennaro Sangiuliano, e pur tuttavia, a suo modo persino più culturalmente “nero” e azzardato. Che ci faccia rimpiangere il “Napoleone di Napoli” che l’ha preceduto? Vedremo.