11 ottobre 2024
Dalla Costituzione della Repubblica Italiana, Principi fondamentali, articolo 3, secondo comma: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Sono ormai troppi anni che questo principio costituzionale non viene più seguito. È stato accantonato, dimenticato, reso inutile e, di fatto, cancellato. Non ci si riferisce, quindi, solo all’attuale governo di destra ma anche ai precedenti: tutti governi e parlamenti che non hanno visto la presenza dei comunisti. Abbiamo assistito alla demolizione, voluta o tollerata, della Costituzione con un attacco a lavoratrici e lavoratori che ha fatto regredire i diritti e le conquiste ottenute con le lotte dei primi decenni del secondo dopoguerra.
Possiamo citare le (contro)riforme sulle pensioni (ricordiamo quella che porta il nome della Fornero, ma non solo), il Jobs act, la cancellazione dell’articolo 18, tutte quelle norme che hanno favorito la precarietà, il lavoro a chiamata, il proliferare di contratti… e si potrebbe continuare. Ma è con le recenti decisioni del governo in carica che si sta toccando il fondo.
La liberalizzazione di appalti e subappalti a cascata; l’istituzione di una patente a crediti (o a punti) che non contrasta affatto la piaga delle morti sul lavoro; la legge 103 che obbliga di preavvisare le imprese almeno 10 giorni prima delle verifiche degli ispettori del lavoro; il DDL 1660 che prevede la sostanziale criminalizzazione del dissenso con pene severissime per blocchi stradali, scioperi e manifestazioni spontanee (forme di lotta abitualmente utilizzate per difendere i diritti calpestati di chi vive del proprio lavoro) e il nuovo reato di “terrorismo della parola”; il DL sul lavoro che trasforma in molti casi i licenziamenti in “dimissioni” lasciando a chi lavora l’onere della prova che tali non sono (ricordiamo che, in assenza di licenziamento, chi perde il lavoro non può ottenere la NASpI) ripristinando, in altre forme, la pratica delle dimissioni firmate in bianco; il quasi sicuro aumento dell’età pensionabile… e così via, in un crescendo di norme e azioni che penalizzano nella sostanza chi vive del proprio lavoro.
Se a questo “delirio capitalista” si aggiungono le privatizzazioni di qualsiasi attività anche strategica, il depauperamento della sanità e dell’istruzione pubbliche, l’aumento delle spese militari, la diminuzione degli investimenti necessari al progresso tecnologico della nazione (delegato a imprese e multinazionali private), il finanziamento di opere faraoniche e dannose come il ponte di Messina o la TAV, l’assoluta inadeguatezza nell’affrontare i danni prodotti dal cambiamento climatico e dalla mancanza di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture pubbliche (dalle strade ai treni, alla rete idrica), la decisione di non prevedere un salario minimo garantito né l’introduzione del reato penale di omicidio sul lavoro, una politica fiscale che penalizza i redditi medio bassi e privilegia i grandi patrimoni, il futuro si profila estremamente cupo e pericoloso.
Così lavorare è diventato una condanna, frutto dell’indifferenza generalizzata, del costringere chi lavora alla solitudine e alla rassegnazione, dell’ostilità del potere verso lavoratrici e lavoratori, del considerare i loro diritti più elementari un costo che penalizza i profitti delle imprese (e la ricchezza dei padroni). Le conseguenze sono retribuzioni sempre più basse (emblematica la recente notizia che riporta come alla Ferrero – l’azienda dolciaria del miliardario più ricco d’Italia – lavoratrici e lavoratori percepiscono paghe orarie di 5 euro), il precariato diventato una normale forma di lavoro, la mancanza di sicurezza che causa malattie professionali, infortuni, morte. È bene sapere che, dall’inizio del 2024 al 10 ottobre, sono 813 le persone morte per infortunio nei luoghi di lavoro (circa 50 in più rispetto all’anno scorso) e che arrivano a 1049 se si sommano i decessi in itinere (fonte Osservatorio Nazionale morti sul lavoro curato da Carlo Soricelli).
Quella che viviamo e che si prospetta nel prossimo futuro è una situazione drammatica, indecente e in costante peggioramento. A tutto questo non è possibile adeguarsi, rassegnarsi né chiudersi o restare indifferenti. Lottare è un dovere.
Ricordando la frase di Don Milani “il padrone sa 1000 parole, tu ne sai 100, per questo lui è il padrone”, si provi a pensare che se ci unissimo e lottassimo insieme in mille, decine, centinaia di migliaia di sfruttati, quante parole potremmo conoscere, quante ne potremmo comprendere e in quante lingue diverse potremmo comunicare e capirci. E allora, unendo le nostre esperienze e le nostre conoscenze in una intelligenza collettiva, non potremmo essere, forse, più organizzati, più istruiti e, quindi, molto più forti di qualsiasi padrone?
Dagli a chi lavora
