Rassegnarsi o lottare? Morti sul lavoro Italia

Nei primi dieci mesi dell’anno ci sono stati 872 morti per infortunio nei luoghi di lavoro (92 nel solo mese di ottobre) che diventano 1262 se si considerano i decessi in itinere. Questi sono i dati che vengono diffusi da Carlo Soricelli dell’Osservatorio nazionale morti sul lavoro. Dati certificati da nomi, cognomi, storie umane che rivelano, negli anni, una crescita intollerabile, indice di una sottovalutazione o, meglio, dell’indifferenza da parte del “potere”.

Sono i numeri di una situazione angosciante resa ancora più drammatica da quell’alone di normalità che la avvolge. Ma perché dovremmo abituarci a questa strage? Perché dovremmo accettare supinamente che l’indifferenza possa farla da padrona? Un grido di rabbia e non di dolore dovrebbe alzarsi da tutto il Paese. Chiunque dovrebbe reagire e pretendere che la sicurezza nei luoghi di lavoro sia garantita a tutti, che lavorare significhi vivere meglio e non ammalarsi, infortunarsi, morire. Così non è. Mancano le risorse, ci dicono, mentre si spendono ogni anno sempre più miliardi di euro per le armi, le guerre, per uccidere civili, donne e bambini. Non ci sono soldi, affermano, e si lascia che gli evasori continuino a non pagare le tasse, che gli immensamente ricchi continuino ad accrescere i loro patrimoni. Così facendo si permette che il lavoro sia sempre più povero, precario, “nero”, che da fondamento della Costituzione repubblicana diventi una condanna. Non si aggrediscono le cause della strage sul lavoro (i numeri che leggiamo sono quelli di una vera e propria guerra), ci si limita a qualche frase di circostanza, quando proprio non se ne può fare a meno, e a puntare il dito contro qualche “fatale distrazione”, contro il destino o l’imponderabile. E, alla fine, si citano i numeri di INAIL che, conteggiando solo le denunce pervenute all’Istituto, sono molto più “rassicuranti” di quelli dell’Osservatorio. Ma i “numeri ufficiali” non tengono conto di chi muore lavorando in nero, degli irregolari, di chi non è assicurato INAIL. Eppure sono persone, con nomi e cognomi, vite, intelligenze, speranze. Persone che diventano inesistenti, ricordi solo per qualche familiare. Per la società, mai esistiti.

Che fare? Agire. Pretendere che la dignità del lavoro e il rispetto dei diritti di chi lavora diventino questioni prioritarie. In una parola “lottare” per l’unità di lavoratrici e lavoratori, perché riconquistino la forza necessaria per realizzare un cambiamento del sistema.

È necessario ridare allo Stato un ruolo di progettazione e controllo dei settori economici e produttivi, perlomeno a quelli strategici, riducendo il potere dei privati. Aumentare il numero degli ispettori del lavoro e dei controlli nelle imprese senza preavvisi, cancellare le leggi che favoriscono la precarietà a partire da quella su appalti e subappalti a cascata, cancellare le gare al massimo ribasso, dare ai delegati alla sicurezza il potere di sanzionare e, se necessario, bloccare delle attività non in regola. Adottare una legge che garantisca a chi lavora di essere rappresentato in maniera trasparente ed efficace. Stabilire per legge il reato di omicidio sul lavoro, garantire il salario minimo. Consentire ai lavoratori la partecipazione e il controllo allo sviluppo economico e industriale del Paese. Fare in maniera che le nuove tecnologie (materiali e immateriali) e l’intelligenza artificiale diventino un bene collettivo e siano indirizzate a lavorare meglio, meno, in sicurezza e giustamente retribuiti.

Chiediamo alle forze politiche e sindacali che vogliono difendere i principi e i valori costituzionali di operare per questo creando un fronte unitario che possa contrastare efficacemente, non solo a parole, le politiche liberiste di una classe dirigente (o sedicente tale) che sta portando il Paese al disastro.

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