Ci sono tanti modi di ricordare la rivoluzione russa. E, allora, perché non ricordare la rivoluzione russa con qualche esempio della trasformazione anche culturale della società in un luogo dove la collettività fosse proprietaria del proprio futuro, dei saperi, dei mezzi di produzione, di un’esistenza degna di essere vissuta?
Ricordiamo che Vladimir Vladimirovič Majakovskij fu il poeta della rivoluzione che spezzò gli schemi della rappresentazione borghese e che raccontò la rivoluzione che elevava la classe lavoratrice a protagonista e creatrice di quel mondo nuovo che era necessario creare.
Leggiamo qualche stralcio dai suoi lavori a partire dalla sua “risposta” in tre versi sulla partecipazione alla rivoluzione d’ottobre:
“Aderire o non aderire?
La questione non si pone per me.
È la mia rivoluzione.”
Oppure alcuni versi estratti dal suo poema “Bene!” scritto per il decennale della rivoluzione:
Il tempo è qualcosa d’insolitamente
lungo.
Ci furono tempi di leggenda
ma sono passati. Oggi
non leggende, non epos
né epopee:
come telegramma vola,
verso!
Con labbro ardente
chinati a bere nel fiume
che ha nome: «Fatto».
Il nostro tempo vibra
come un cavo telegrafico
ed io sono stretto
alla verità.
Questo accadeva alla patria,
ai combattenti,
oppure nel mio cuore.
Io voglio
che dal piccolo mondo della tua stanza,
leggendo questo libro,
come baionetta che il verso
ha reso abbagliante,
voglio che ancora tu muova
sulle spalle di fuoco
delle mitragliatrici
e che attraverso la gioia degli occhi
del testimone fortunato
scorra nei tuoi muscoli stanchi
una ribelle
e costruttiva forza.
A celebrare questo giorno
non assolderemo nessuno.
Noi
inchioderemo la matita sui fogli
perché il fruscìo delle pagine
sia come il fruscìo delle bandiere
sulla fronte degli anni.
«Basta con la guerra! Finitela!»
In quest’anno di freddo e di fame
non se ne può più.
…
In piedi, in piedi, in piedi!
Lavoratori, braccianti,
stringete la falce e il martello,
stringete il fucile nel ferro della mano!
In alto la bandiera!
Miseria, in piedi!
Nemico, giù!
Per il pane,
per la pace,
per la libertà!
Prendi la fabbrica ai borghesi!
Prendi la terra al latifondista!
Ricordiamo il pittore Gely Korzhev che, dopo la fine dell’Unione Sovietica, non accettò di adeguarsi al pensiero unico capitalista dipingendo quelli che chiamava “mutanti”, esseri grotteschi che avrebbero provocato i disastri di quella società che si stava imponendo.
Ricordiamo, infine, Dimitri Shostakovich, le sue sinfonie e le tante opere musicali che compose.
Un esempio della sua genialità è la seconda, breve, sinfonia scritta nel 1927 (https://www.youtube.com/watch?v=MupXrzqYZpA) intitolata all’Ottobre che finisce con il coro, introdotto dalla sirena di una fabbrica, che canta un testo di Alexander Bezymensky:
Abbiamo marciato, abbiamo chiesto lavoro e pane.
I nostri cuori sono stati stretti in una morsa di angoscia.
Le ciminiere delle fabbriche si allungavano verso il cielo come mani,
incapaci di stringere un pugno.
Terribili erano i nomi dei nostri ceppi: silenzio, sofferenza, oppressione.
Ma più forte di spari scoppiarono nel silenzio le parole del nostro dolore,
le parole della nostra sofferenza.
Tu hai plasmato la libertà dalle nostre mani callose.
Sapevamo, Lenin, che il nostro destino ha generato una parola: LOTTA!
LOTTA! Ci ha portato alla battaglia finale.
LOTTA! Ci ha dato la vittoria per mezzo del lavoro.
E questa vittoria sull’oppressione e l’oscurita
nessuno potra mai togliercela!
Facciamo tutto nella lotta per essere giovani e audaci:
Il nome di questa vittoria è OTTOBRE!
OTTOBRE! Messaggero dell’inizio atteso.
OTTOBRE! Libertà dei secoli ribelli.
OTTOBRE! Lavoro, gioia e canto.
OTTOBRE!
Felicità nei campi e nei banchi di lavoro,
questo è lo slogan e questo è il nome delle generazioni viventi:
OTTOBRE, IL COMUNISMO E LENIN.