La consulta restituisce al parlamento il potere legislativo sull’AD

La Corte Costituzionale, esaminati i ricorsi contro l’Autonomia differenziata di Puglia, Sardegna, Toscana e Campania, pur ritenendo infondata la eccezione di legittimità costituzionale della legge 86/2024 (legge Calderoli), ha dichiarato incostituzionali intere e importanti parti dello stesso testo legislativo.

Nel comunicato ufficiale di ieri sera, infatti, la Consulta ha anticipato i contenuti della sua decisione che ha, sostanzialmente, smontato l’impianto della legge Calderoli, ritenendo incostituzionali almeno sette punti significativi della legge e ha riportato al Parlamento la sede decisionale dalla stessa “scavalcata”, affermando che spetta al Parlamento “colmare i vuoti” che ne derivano, “in modo da assicurare la piena funzionalità della legge”.

Anche se il testo rimane formalmente in vigore, dunque, condividiamo l’opinione del costituzionalista Michele Ainis che il testo della legge, amputato delle sue parti essenziali, non potrà neanche operare, finché il Parlamento non interverrà a sanare la situazione, per l’appunto, colmando i vuoti creati con la dichiarazione d’incostituzionalità di fondamentali disposizioni contenute nel testo.

Se pure la Consulta ha scardinato i punti più contestati da tanti costituzionalisti e dai referendum, salvando la cornice, ma smontandone il contenuto, occorrerà leggere la sentenza definitiva e le motivazioni per capire se i quesiti referendari parziali possono ritenersi superati, specialmente nelle parti in cui la Corte ha chiesto le modifiche da apportare, per rendere costituzionale il testo.

  • I sette profili ritenuti incostituzionali partono dal rimettere al centro il principio di sussidiarietà, poiché essa “regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni” e non contempla “la possibilità che l’intesa tra Stato e regioni trasferisca materie o ambiti di materie” […]” laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni […] ed essere giustificata alla luce del principio di sussidiarietà”;
  • Il secondo punto, riguarda “il conferimento di delega legislativa al Governo per la determinazione dei LEP sui diritti civili e sociali”, che comporta “la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento”;
  • Il terzo rilievo di incostituzionalità attiene alla determinazione degli stessi LEP, che non può essere demandata a un DPCM, per i suddetti motivi di esautoramento del potere legislativo, costituzionalmente garantito al Parlamento;
  • Il quarto investe ancora la determinazione dei LEP, nel fare “ricorso alla legge di bilancio per il 2023, tramite DPCM e sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi”;
  • Il quinto riguarda i conti pubblici e ravvisa incostituzionale “la possibilità di modificare con decreto interministeriale le aliquote di compartecipazione al gettito dei tributi erariali, per le funzioni trasferite”, perché “potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che non sono in grado di assicurare, con quelle risorse, il compiuto adempimento delle stesse funzioni”;
  • Il sesto rilievo ritiene illegittima “la facoltatività piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica”.

Infine, al settimo punto la Consulta giudica impropria l’applicazione della legge Calderoli alle Regioni a Statuto speciale, che ben possono ottenere maggiori forme di autonomia, sulla base dei loro stessi Statuti.

Come si vede, le censure fondamentali della Corte possono sinteticamente essere racchiuse in due argomentazioni principali: nel rapporto tra competenze statali e regionali, non possono essere trasferite intere materie in blocco, ma solo funzioni mirate, per mantenere l’assetto unitario della Repubblica; nel rapporto tra Governo e Parlamento non è consentito che fonti secondarie svuotino il ruolo del legislatore costituzionale primario.

Più in generale la Consulta ha stabilito il principio che l’art 116 della Costituzione deve essere interpretato in modo da riconoscere “i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’uguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini”, sottolineando che la stessa resta sempre competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi e delle singole intese tra Stato e Regioni.

La sentenza, dunque, che verrà depositata nelle prossime settimane, a nostro avviso, incide sui quesiti parziali, che potrebbero essere riformulati dalla Cassazione o essere dichiarati superati, ma non supera affatto il quesito abrogativo totale che il  PCI sostiene, e per il quale continuerà a battersi insieme alle altre forze della sinistra parlamentare e non, del Sindacato, dei Comitati, delle Associazioni e della società civile, che hanno raccolto 1.300.000 firme, per cancellare definitivamente la legge Calderoli – al di là di quanto potrà fare il Parlamento per sanare le disposizioni illegittime – e sbarrare il passo anche alle altre due deforme sul premierato e la Giustizia, a fondamento del patto scellerato tra Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega e del loro progetto eversivo!

Walter Tucci
 (Responsabile Democrazia, Costituzione e riforme)

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