Se non si fa niente, si continuerà a morire sul lavoro

Ancora una volta ci vediamo costretti ad alzare un grido di rabbia e di dolore contro l’indifferenza ostentata da chi governa e da chi occupa le poltrone istituzionali per la strage che avviene nei luoghi di lavoro.

Come informa l’Osservatorio Nazionale morti sul lavoro curato da Carlo Soricelli, dall’inizio dell’anno a fine novembre i morti per infortunio nei luoghi di lavoro sono 966 (diventano 1379 considerando i decessi in itinere). Nello stesso periodo del 2023 erano 919 nel 2022 sono stati 717. Un aumento esponenziale. Anzi, una vera e propria strage che cresce di anno in anno e smentisce nei fatti dichiarazioni pronunciate da esponenti della maggioranza di governo che sostengono ci sia un calo rispetto agli anni precedenti. A tali personaggi bisognerebbe ricordare che non esistono lavoratrici e lavoratori di serie A (che vengono conteggiati) e altri di serie minori che possono essere dimenticati. Tutti, anche i precari, i somministrati, i dipendenti, le partite IVA (vere o “false”), gli artigiani, i lavoratori in nero o in subappalto, i trasportatori, gli agricoltori, i braccianti, gli immigrati “clandestini”, quelli che non sono riconosciuti da INAIL e non rientrano nelle statistiche ufficiali devono avere parità di riconoscimento e di dignità. Tutti, senza distinzione di età, sesso, etnia, convinzioni religiose o politiche, hanno il diritto di lavorare in sicurezza e non morire di lavoro.

Sulla mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro bisogna agire con la formazione, con l’aumento dei controlli, con leggi più severe e giuste che impediscano lo sfruttamento, con investimenti adeguati necessari per garantire l’aumento delle retribuzioni e la diminuzione del tempo di lavoro. Continuano a ripeterci che non ci sono soldi e ne addossano le responsabilità ai governi precedenti ma i miliardi per le spese militari o per opere inutili e dannose – come il ponte sullo stretto o la TAV – li trovano eccome. È anche nel trasferimento delle risorse collettive dalle questioni prioritarie (e il lavoro, la pace, la salute sono tra queste) a settori produttivi nei quali i già ricchi si arricchiscono ulteriormente (e i costruttori e i mercanti di armi sono tra questi) che si esprime la sostanziale indifferenza di chi governa e legifera.

Oggi è difficile lottare per far valere i propri diritti e scardinare l’idea che il sistema capitalista sia l’unico possibile, ma dobbiamo farlo con tenace ostinazione, tentando di unire ciò che oggi è diviso: le organizzazioni sindacali (quelle che sono, nei fatti e non solo a parole, realmente dalla parte dei lavoratori) e quelle politiche che propongono un nuovo modello di sviluppo che cambi radicalmente il sistema nel quale siamo costretti a sopravvivere.

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