La Siria, tra realtà e prospettive.

Nella giornata di ieri, la coalizione di gruppi armati, guidata da quello jiadista sunnita Hayat Tahir al-Sham (Hts) di Ahmed al-Sharaa, nome di battaglia Abu Muhammad al Jolani, senza incontrare resistenza, è entrata nella capitale della Siria, Damasco, sancendo, dopo 24 anni, la fine del regime di Bashar al-Assad, che ha  ottenuto asilo politico da Mosca. 

Si tratta di un esito repentino, che ha colto alla sprovvista diverse cancellerie, per molti reso possibile dall’indebolimento del sostegno militare dato ad Assad dalla Russia, sempre più impegnata sul fronte ucraino, e dall’Iran, fortemente impegnato a sostegno di Hezbollah in chiave anti israeliana. 

Le manifestazioni di giubilo alle quali ad oggi si è assistito nelle strade della capitale da parte di molte delle componenti la variegata società siriana, evidenziano anche tra le ragioni di ciò il progressivo venire meno del sostegno popolare al regime di Assad,  fatto oggetto sin dal 2011 di un processo di destabilizzazione,  mascherato da “primavera araba”, sostenuto dagli USA e dai loro allleati, che, con i drammatici esiti conosciuti, ha investito anche diversi altri Paesi dell’area. 

Dopo anni di guerra civile, che ha visto le diverse fazioni anti Assad sostenute dagli “amici della Siria”, tra i quali anche il nostro Paese, soprattutto dagli USA e dalla Turchia, immani distruzioni e centinaia di migliaia di vittime, si è giunti ad un epilogo per tanta parte inaspettato. 

Ciò che è accaduto in Siria porta con sé pesanti interrogativi circa la prospettiva, non soltanto per quel  Paese, ma per l’intera area medio orientale e più in generale. Il leader di Hts, pur dichiarando di garantire una transizione pacifica del potere attraverso libere elezioni, nonché il rispetto dello status quo relativo alle basi militari russe nel Paese, ha definito ciò che è accaduto una “vittoria per la nazione islamica”, “un nuovo capitolo per la regione” rendendo possibile pensare al rilancio, in forme e modi diversi, di quel califfato che con la Siria doveva investire anche l’Iraq, di quell’ISIS che proprio in Assad e nei suoi alleati ha avuto uno dei suoi più acerrimi nemici. 

La coesistenza tra realtà etniche, religiose, politiche, etc. presente ad oggi in Siria, la laicità dello Stato, non è scontato sia possibile anche domani. Di certo ciò che è accaduto rideterminerà i rapporti di forza tra i diversi attori della regione e sullo sfondo, come sottolineato da molti osservatori politici, non è scontata la tenuta della Siria in quanto Stato nei termini conosciuti. 

Le dichiarazioni di alcuni di essi sono emblematiche: Netanyahu ha plaudito alla caduta di Assad, ma consapevole del rischio di uno stato islamico ai propri confini ha spinto il suo esercito ad avanzare ulteriormente nel Golan da tempo occupato; Erdogan, che ha giocato un ruolo decisivo nella partita, conferma l’appoggio ai miliziani sunniti che combattono contro i curdi siriani, da tempo resisi autonomi con il sostegno degli USA e che vorrebbero restare tali. 

Tra gli elementi di preoccupazione derivanti dalla situazione determinatasi vi è, soprattutto per alcuni Paesi europei, quello dei milioni di sfollati che è lecito attendersi e che premeranno soprattutto sulla rotta balcanica. La destabilizzazione  conseguente alla caduta del regime di Assad porta con se numerosi rischi, tra questi quello di uno sviluppo dello scontro militare in atto nella regione coinvolgente direttamente l’Iran, con tutto ciò che questo comporterebbe. In tal senso l’Unione Europea e l’Italia, che hanno rinunciato a svolgere un ruolo autonomo sullo scenario internazionale, guardano come tanti all’imminente presidenza Trump. 

Di certo siamo di fronte ad uno scenario tutt’altro che volto alla pace, anche per questo come PCI continuiamo nel nostro impegno per una soluzione politica ai conflitti, a partire da quello tra Russia ed Ucraina e quello tra Israele e Palestina. 

Il Partito Comunista Italiano

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