Il 5 febbraio di ottanta anni fa veniva ucciso Walter Fillak. Una ricorrenza trascorsa nel silenzio delle istituzioni e del mondo politico, una inaccettabile “perdita di memoria storica”.
Per ricordare il ruolo determinante avuto dal Partito comunista italiano nella lotta contro il nazifascismo, inizieremo a pubblicare alcune brevi biografie di militanti comunisti che a Genova e dintorni si sono distinti per coraggio, altruismo e spirito di iniziativa.
Dedichiamo al compagno Walter Fillak il nostro primo ritratto.
«CONSAPEVOLE DI AVER FATTO IL MIO DOVERE DI ITALIANO E DI COMUNISTA»
Autunno 1943. Favale e Pian Castagna. Sono i nomi di due località, rispettivamente nell’entroterra di Chiavari e nei pressi di Sassello, nelle cui campagne si formano
le prime organizzazioni di “ribelli” in Liguria.
Mentre il nucleo di Favale è capeggiato da “Marzo” (G.B. Canepa), un reduce della guerra civile spagnola, lo sparuto gruppo di uomini radunatosi a Pian Castagna, principalmente costituito da prigionieri di guerra evasi, è organizzato da uno studente poco più che ventenne. Si chiama Walter Fillak. È stato inviato lassù dal Partito comunista genovese per le sue doti carismatiche e la sua preparazione politico-intellettuale.
Infatti, Walter Fillak giunge alla lotta di liberazione con un bagaglio di esperienze che fanno di lui uno degli elementi di riferimento del PCI. Già nel 1938, Fillak – nato nel 1920 a Torino ma traferitosi giovanissimo con la famiglia a Genova -, viene espulso dal liceo a causa delle sue posizioni politiche “non consoni allo spirito d’un giovane fascista”.
Tutt’altro che persuaso, termina gli studi liceali privatamente e nel 1940 si iscrive alla facoltà di chimica dell’Università di Genova, dove fonda una cellula comunista studentesca.
Durante questo intenso periodo di attività clandestina, Fillak conosce Giacomo Buranello, memorabile protagonista della resistenza genovese e del movimento comunista di quel periodo.
Nell’ottobre del 1942 la cattura dell’intero direttivo del PCI genovese, di cui entrambi fanno parte, estromette dalla lotta due degli elementi più attivi e capaci per quasi un anno.
Fillak viene rinchiuso dapprima a Marassi, poi trasferito nelle carceri di Apuania (oggi Massa Carrara) e infine a Regina Coeli a Roma. Quelli trascorsi nelle patrie galere sono mesi di privazioni, sporcizia, sovraffollamento. Sacrifici che non scalfiscono il suo incrollabile ottimismo e la sua fedeltà ad un “ideale chiaro e potente”.
Liberato nell’agosto del 1943, non esita un istante a riprendere la lotta. Con il nome di battaglia di “Gennaio” entra nei GAP (Gruppi di Azione Patriottica) di Genova al fianco di Buranello, e nello stesso periodo diventa commissario politico della “3° Brigata Garibaldi Liguria” organizzando – come detto – i primi nuclei di partigiani. Insieme a Buranello compie diverse azioni a Genova fino a quando, nel marzo del 1944, questi viene catturato e ucciso.
Fillak è ricercato, c’è una taglia su di lui. Torna in montagna ma poco dopo la sua brigata subisce un violento attacco dalle truppe tedesche ed è costretta a disperdersi. Fillak ripara in Svizzera, ma in estate riesce a rientrare in Italia per unirsi alle ai gruppi partigiani operativi fra il Biellese e il Canavese.
Fillak cambia il suo nome di battaglia in “Martin” e diventa comandante di brigata. Le sue capacità danno un impulso decisivo nella riorganizzazione delle formazioni partigiane piemontesi, la cui efficienza verrà dimostrata durante gli eventi dell’aprile 1945.
Tuttavia Fillak non potrà vedere conclusa vittoriosamente la sua lotta. A fine gennaio del 1945 Fillak e l’intero comando partigiano di zona cadono in mano ai nazisti a seguito di una delazione. Portato a Cuorgnè, nei pressi di Ivrea, viene condannato a morte e impiccato il 5 febbraio 1945. Spezzatosi il cappio durante l’esecuzione, l’impiccagione viene ripetuta, stavolta non più con una corda ma con del filo spinato.
Quella di Walter Fillak è stata una vita vissuta sempre contro corrente. Senza compromessi. Dalle lettere che egli scrisse ai propri cari prima di essere ucciso emerge una straordinaria umanità, un immenso coraggio, l’appassionato impegno politico di un uomo che ha sacrificato la propria vita per difendere la causa in cui credeva: quella del comunismo.
«Ho amato sopra tutto i miei ideali»: così scrisse Walter Fillak nella sua ultima lettera al padre.

