Antonio Gramsci: Esempio di Lotta e Libertà nella Storia Italiana

In ricordo del compagno Antonio Gramsci, abbiamo deciso di recuperare e condividere questo intervento risalente al febbraio 2006, pronunciato da Eugenio Magri, giovane partigiano nato nel 1928. Un testimone diretto di una stagione di lotte e speranze, Magri ci ha lasciato nel maggio 2024, ma le sue parole, la sua passione e il suo impegno restano vivi nell’eredità che ha voluto trasmetterci.

Cari compagni, care compagne
ringrazio per l’invito ricevuto e desidero esprimere la mia contentezza di essere presente in questa assemblea.

In un futuro prossimo avremo una nostra sede e questo è molto importante. Penso che sarà un punto luce per una  politica sul territorio della nostra provincia. Una politica di organizzazione del movimento nei suoi obiettivi culturali e di iniziativa per far uscire dal tepore di sudditanza a una economia basata sulla legge del massimo profitto. Pochi diritti e molti doveri per migliaia di donne, uomini, giovani. È nostro dovere, per la scelta del nostro pensiero e azione, creare lo spirito di classe, per essere cittadini nel diritto costituzionale nato dalla Resistenza antifascista. È un grande contributo che il Partito dei Comunisti Italiani può dare in difesa della democrazia e della giustizia oggi messe in pericolo da un governo e da una classe dirigente con gravi tentazioni e inclinazioni autoritarie, diciamo pure reazionarie.

Propongo di intitolale la nostra futura sede, se siete d’accordo, al compagno Antonio Gramsci.

(Partito dei Comunisti Italiani, Federazione provinciale di Vicenza “Antonio Gramsci”)

Leggendo qualcosa di Gramsci si comprende come già nella sua giovine età – e sarà l’inizio della sua formazione politica – capisce che il mondo vive nel bisogno, senza diritti e che solo con la solidarietà, la partecipazione, si può costruire uno strumento di emancipazione in una società di sfruttati.

Le sue inclinazioni sociali, la sua passione per la giustizia, il sentire dell’umanesimo socialista, non saranno secondarie nel determinare le sue scelte future e la sua carica ideale. Gramsci scrive in una sua lettera: “Il rivoluzionario nasce dal ribelle” e si domanda “che cosa mi ha salvato dal diventare completamente un cencio inamidato?”. È una domanda che contiene già la risposta e che si deve porre ognuno di noi. Perché oggi noi siamo presenti in questa assemblea? E quanti compagni possiamo ancora portare?

Nei suoi studi Gramsci è portato per le scienze esatte, ma divora romanzi, opuscoli, giornali. È  appassionato di  musica e di teatro. È probabile che la sua ribellione contro l’ingiustizia sia nata attraverso la predicazione socialista nella sua Sardegna.

La sua vita da studente è molto dura. Stenta a combinare il pranzo con la cena. Scrive: “ Per otto mesi circa mangiai così una volta al giorno e giunsi alla fine del terzo anno di liceo in condizioni di denutrizione molto gravi”.

Ma sarà il continente, il Nord, la città più industriale e operaia d’Italia, Torino, a fare del giovane studente dalle idee ribelli ciò che egli diventerà: un grande rivoluzionario e un grande intellettuale.

A Torino, quando Gramsci arriva, c’è una grande esposizione per il cinquantesimo dell’Unità d’Italia. Si danno grandi feste, ricevimenti. È il trionfo della borghesia, della sua industria che si sviluppa sulla pelle dei lavoratori.

Come un incubo Gramsci ricorda di quel giorno un episodio in particolare. Una moltitudine di operai metalmeccanici dell’auto sono in piazza per un comizio alla fine di uno sciopero di tre mesi, durissimo e sfortunato. Una classe operaia giovane lotta con tutte le sue forze per il diritto alla vita. L’impegno energico degli operai è per un salario decente, un orario di lavoro meno massacrante. I padroni si sentono più forti, le organizzazioni politiche e sindacali dei lavoratori sono deboli: è la sconfitta. È la fine storica del periodo giolittiano. Il decennale idillio tra la borghesia liberale e il socialismo riformista di Turati è sepolto. I socialisti comprendono che l’alleanza con Giolitti non ha portato vantaggi e ha fiaccato la carica ideale dei lavoratori.

La borghesia italiana intraprende la guerra di Libia nel 1911. L’aspra lotta di classe tra padroni decisi a imporre i propri interessidi sfruttamento e una classe operaia giovane, qualificata, sensibile alla predicazione socialista e sulla strada di una rapida organizzazione sindacale. Gramsci ne risente di questa nuova atmosfera. Nel 1913-14 lo sviluppo del movimento operaio torinese è impetuoso. Gramsci si orienta decisamente verso il socialismo.

Nel 1917, l’anno cruciale della prima guerra mondiale, le circostanze lo chiamano a farsi dirigente e organizzatore. Il giovane Gramsci diviene segretario della sezione socialista di Torino, dirige il “Il grido del popolo” e trasforma il modesto foglio di propaganda in un giornale di idee, di cultura, di elaborazione.

È la piena di un animo entusiasta per la scoperta di una realtà nuova. La forza proletaria,la sua spinta di emancipazione, il fervore di un apostolato socialista, un ideale maturato dalle energie di una nuova generazione.

Nel grande ideale di giustizia, Gramsci scrive: “Il proletariato non vuole predicatori di esteriorità, freddi alchimisti di parolette … vuole comprensione, intelligenza e simpatia piena di amore”.

Nel 1919 Gramsci svolge una attività instancabile. Alle grandi assemblee e ai comizi preferisce i contatti con le persone, con gli operai. Incontra chiunque voglia parlargli. Riunioni continue a tutti i livelli, costruzione di una rete di contatti e di rafforzamento del partito. Gramsci è un educatore nel territorio e nelle fabbriche per costruire una società nuova. È meticoloso, curioso di ogni particolare. Tanto fraterno e generoso quanto ironico, severo con i suoi collaboratori abituali dai quali esige sempre la massima precisione. Dalla lettura dei suoi scritti si capisce la sua battaglia contro la burocrazia, per rinnovare il movimento e le camere del lavoro, per togliere ogni connotato corporativo.

Non si possono logorare le forze del partito e quelle delle masse in frasi barricadiere senza seguito dell’azione e sprecare un patrimonio di energie nell’inerte attesa delle cose.

Nell’autunno del 1920, nella Valle Padana, la reazione agraria si sta scatenando. Ormai le squadre fasciste incendiano, uccidono, stroncano con la violenza le leghe bracciantili.

Il movimento socialista attraversa la sua crisi più grave. Il Partito Comunista, nato da poco, pur con tutto il suo settarismo e il suo estremismo (che ha origini lontane) è l’unico raggruppamento operaio che risponde alla violenza fascista. Ma questo non basta.

Nel 1924 Gramsci è eletto deputato alla camera nella circoscrizione veneta.

Nel 1924 Gramsci fonda l’Unità, prospetta alleanze tra i contadini del Sud e gli operai del Nord, conduce una politica severa contro l’estremismo infantile nel partito, progetta le linee di alleanze della classe operaia tenendo conto che, in Italia, il proletariato è una minoranza della popolazione.

Gli anni tra il 1924 e il 1926 vedranno crescere la popolarità di Gramsci tra le grandi masse. Il Partito metterà le sue radici salde in mezzo ai lavoratori. Gramsci è soggetto a un lavoro enorme come capo effettivo, uomo pubblico e insieme dirigente di Partito impegnatissimo nella lotta interna.

Gramsci è arrestato a Roma l’otto novembre del 1926. Dopo il processo, nel luglio del 1928 entra nel duro carcere di Turi (Bari) per scontare la pena a vent’anni di reclusione voluta dal tribunale speciale fascista. La sua capacità di resistenza e la sua volontà di sopravvivenza è fortissima, ma le mille piccole angherie e la durezza del regime carcerario fascista minano inesorabilmente un organismo già provato. Tra il 1931 e il 1934 si palesano lesioni tubercolari, problemi cardiaci, attacchi artritici e nefrite. Dopo 10 anni di carcere duro, Gramsci muore.

Il periodo carcerario di Gramsci è consegnato alla storia d’Italia ed è un patrimonio dei Comunisti Italiani. È un patrimonio che conosciamo attraverso quei monumenti morali e intellettuali che sono le sue opere. Nelle “Lettere dal carcere” (quasi interamente pubblicate) Gramsci scrive alla madre rivelando qualcosa di più del naturale affetto filiale. Vi è un rapporto di stima intellettuale, di fiducia morale. Le fa coraggio con serenità, come si fa con un amico. Scrive: “Ero un combattente che non ha avuto fortuna nella lotta immediata, e i combattenti non possono e non debbono essere compianti quando essi hanno lottato, non perché costretti, ma perché essi stessi lo hanno voluto consapevolmente fare”, e poi scrive ancora “Ogni nostra azione si trasmette agli altri secondo il suo valore di bene e di male. Passa di padre in figlio, da una generazione all’altra in un movimento perpetuo”.

Dunque Antonio Gramsci è il nome di un uomo di grandissimo sapere. Il nome di un uomo che, per le sue qualità, aveva aperte davanti a sé tutte le vie e che volle consacrare la sua esistenza alla causa dei contadini e degli operai, alla causa delle donne e degli uomini che vivono del proprio lavoro. Fedele a queste cause fino al sacrificio, fino alla morte.

Antonio Gramsci visse in povertà, affrontò con sereno coraggio l’odio spietato dei nemici dei lavoratori, le persecuzioni, le violenze, i lunghi ed interminabili anni di carcere ed infine la morte, in prigionia, dopo una agonia lenta e crudele.

Questo è l’uomo che ha insegnato con la parola e con l’esempio come si deve lottare per la redenzione del lavoro dalla schiavitù e dalla miseria. Questo è l’uomo che ha offerto ai lavoratori, con il suo sacrificio, la via di un avvenire migliore.

Compagni, non me ne vogliate se sono stato un po’ lungo. Ho cercato, e non so se sono riuscito, di fare una sintesi della vita di Antonio Gramsci e sull’importanza di ricordarlo.

Penso che sarebbe utile nel futuro capire meglio il grande patrimonio della nostra storia e dei Comunisti italiani.

Per quanto riguarda la nuova sede che presto andremo ad abitare, spero che essa diventi, nella nostra epoca e nell’insegnamento di Gramsci, un centro culturale e politico che risvegli dal sonno della ragione e possa contribuire a ridare ai cittadini e agli sfruttati la forza di ribellarsi contro la sudditanza di un potere pericoloso per la democrazia. Che possano, essi, diventare, con il nostro impegno, dei rivoluzionati impegnati in un mondo di giustizia e di pace.

Che il prossimo 9 aprile sia un giorno di speranza. Che l’anniversario del 25 aprile sia un grande giorno di libertà, una grande festa per il futuro.

Lottiamo per essere felici.

Grazie

Eugenio Magri

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