Vicenza, PCI e FGCI aprono il “cantiere dei diritti”

Riprendiamoci i diritti e gli strumenti del lavoro è il titolo dell’iniziativa che ricorda, volutamente, quello di un’assemblea dell’allora PdCI tenuta a Vicenza l’11 marzo del 2005 “Riprendiamoci gli strumenti del lavoro: le proposte dei Comunisti Italiani per un futuro migliore”. Vent’anni fa era in corso la lotta dei lavoratori del cantiere del nuovo teatro comunale di Vicenza che impegnò tutta la città per mesi e che iniziò in un gelido gennaio.

Una “piccola cosa” che sarebbe passata sotto silenzio se non ci fosse stata la testardaggine di 9 lavoratori immigrati dai paesi dell’Est Europa (ai quali successivamente si unirono una decina di lavoratori magrebini), della Fillea-CGIL condotta  da Toni Toniolo (che vogliamo ricordare in maniera particolare e che ci ha lasciato qualche settimana fa) e dei Comunisti Italiani che decisero di andare avanti comunque, nonostante tutte le difficoltà e le perplessità e le timidezze anche interne al sindacato e alle forze politiche progressiste, per il fatto che era la cosa giusta da fare. Ebbene, furono settimane intense di una lotta che vide centinaia di cittadini stringersi a fianco di quella ventina di lavoratori immigrati che erano stati licenziati perché reclamavano il diritto ad essere retribuiti. Una vertenza che riuscì a spezzare il silenzio e l’indifferenza abituali e fece emergere storie di ingiustizie, disonestà, connivenze, menefreghismo istituzionale, appalti e subappalti che negavano le normali regole e garanzie per i lavoratori. Ma soprattutto quella mancanza di rispetto per chi lavora indegna di una paese civile. Cosa possiamo dire vent’anni dopo se non che le cose sono, se possibile, peggiorate ed è cresciuto a dismisura il cancro della precarietà, dello sfruttamento, della rassegnazione. Un dissolvimento politico e morale che ha portato al tradimento, nei fatti, della nostra Costituzione nata dalla Resistenza e, aggiungerei, negli scioperi operai del 1943 e del 1944.

Avrete visto che questa iniziativa è dedicata a tre compagni che non ci sono più, Quirino Traforti, Eugenio Magri, Giovanni Caneva. Tre comunisti, tre veri combattenti per l’affermazione dei principi e i valori che sono quelli della Resistenza e del riscatto di chi vive del proprio lavoro.

Tre maestri che avevano ben chiaro l’obiettivo che dovremmo raggiungere a prescindere e nonostante i rallentamenti e le sconfitte. La strada che ci hanno indicato con le loro vite, con il loro esempio è difficile, faticosa, a volte esasperante ma è l’unica possibile se non vogliano diventare uguali a chi (avendo assunto come valori di riferimento il profitto, lo sfruttamento, la prevaricazione, la ricchezza personale) è passato dall’altra parte della barricata, indistinguibile dalla corte dei vassalli dei padroni.

Stiamo assistendo a un degrado democratico al quale noi non possiamo né vogliamo adeguarci. Ed è anche per questo, che abbiamo voluto parlare di storie di lotta e di resistenza. Lo facciamo perché siamo convinti che senza il conflitto, senza la lotta, senza la coscienza di classe e la solidarietà che ne consegue, noi saremmo un pulviscolo di individui e nulla più.

Noi comunisti abbiamo una priorità che è quella di costruire un progetto che, partendo dalla realtà e dalle lotte, con il contributo di chi vive i conflitti e dalle loro aspirazioni, si possa realizzare in qualcosa, certamente difficile e impervio, che è l’abbattimento del sistema capitalista e la trasformazione dell’odierna società che si fonda su profitto e sfruttamento in una società di liberi e uguali dove sia bandito lo sfruttamento.

Per questo proponiamo la costituzione di un cantiere dei diritti, aperto dove si possa elaborare il progetto e promuovere le lotte.

Un cantiere nel quale si coniughino le lotte e la cultura (le arti, letteratura, cinema, musica con la politica e la scienza) e nel quale si riesca ad elaborare (e dare gambe a) concetti, idee, prospettive che ci permettano anche di contrastare il pensiero unico e far vedere che esistono progetti e possibilità di crescita al di fuori di quella che Marc Fischer definiva “realismo capitalista”.

Uno dei nostri obiettivi deve essere quello di promuovere il pensiero critico e quella fantasia che, come diceva Enrico Berlinguer, non è propria solo dei bambini ma anche dei rivoluzionari perché senza essa è impossibile anche solo pensare a un mondo diverso.

Abbiamo una grande sfida che è quella di progettare un nuovo modello di sviluppo che necessario lanciare a tutti i livelli anche (e soprattutto) nel campo della tecnologia e dell’intelligenza artificiale.

Non possiamo né dobbiamo contrastare la ricerca e lo sviluppo tecnologico ma dobbiamo intervenire e pesantemente nella definizione del suo uso.

A chi sono riservati i benefici prodotti?

Quello che dobbiamo affermare con nettezza è che non possono andare nelle tasche e nei profitti di privati che comandano il mondo in maniera tirannica. Una nuova aristocrazia formata da possessori di corporazioni che si costruiscono e si impossessano della tecnologia, delle informazioni, degli algoritmi. Dobbiamo considerare che questi sono strumenti di lavoro che devono essere governati e utilizzati per la collettività. La nostra visione di utilizzo sociale degli stessi impone un ruolo del pubblico che può essere riassunto in “più stato e meno mercato”. In parole povere dobbiamo dare gambe e concretezza al “lavorare meglio, meno, in sicurezza e giustamente retribuiti”.

In questo non dobbiamo chiuderci in una setta che declama slogan propagandistici che lasciano il tempo che trovano. Guardate, non siamo soli. La dichiarazione dei BRICS (allargati) sulla IA non sarà perfetta e, forse, ha contraddizioni che derivano da quelle dei paesi che ne fanno parte. Ma è un messaggio potente in direzione di un mondo multipolare nel quale esiste una parte importante e crescente che chiede regole che si discostano e si contrappongono alla succube accettazione che il nuovo potere globale (dato dal monopolio di tecnologia, proprietà e gestione delle informazioni, IA, finanza) sia di una ristretta minoranza di individui talmente ricchi da diventare proprietari di miliardi di persone.

Il compito che i comunisti si devono assumere, l’impegno che ci deve vedere protagonisti del cambiamento, è sempre lo stesso: siano i lavoratori e le lavoratrici il motore della trasformazione radicale del sistema in senso socialista. E lo siano in maniera unitaria. La concertazione è stata un fallimento ma solo per chi lavora, è stata, invece, il trionfo del padrone nella sua forma più brutale. Si torni alla costruzione della coscienza di classe, al conflitto, alla lotta.

Queste, in effetti, non possono essere considerate “le conclusioni” perché è nella nostra intenzione che da adesso si apre la fase di inizio della costruzione del cantiere dei diritti. Quindi non “la chiusura” ma l’inizio.

Lascio la parola a Pierpaolo Capovilla che leggerà le parole di Quirino Traforti che spiegavano alla sua maniera, in dialetto veneto, quale dovesse essere la vera Questione Morale per i Comunisti.   È giusto che questa sia la vera conclusione dell’iniziativa di oggi.

“Seto, quando Berlinguer tirò fora la questione morale la zè stà come 'na bocata de aria fresca. Zè stà importante. Ghemo rabaltà la discussion. La contraposision co Craxi la zè vegnù fora con tuta la so forsa. Ma no solo 'sta roba. Se ghemo distinto da tuti. Questa, me pare, zè stà la cosa più importante de Berlinguer. Che qualcoseta el gà sbaglià anca lu. Ma la questione morale, no. Quea la gera 'na roba giusta. E, dopo, se la ghemo desmentegà. No digo noialtri che semo restà comunisti, ma staltri i gà sconminsià a confondarse. I se gà conformà al “pensiero unico”. I ghe gà “guadagnà”, co' la politica. Personalmente.

E qua te vojo dire 'na roba che, penso, no tuti i pol savere. La questione morale par i comunisti cossa la pol essare? Te credi che la sia solamente el “non rubare” o el “essere onesti”? Serto queste la zè e la deve restare una nostra carateristica. Ma no zè questa la vera questione morale par noialtri.

Credito 'lora che sia quela roba che i partiti no i deve ocupare le istitussioni? Serto la zè 'na roba importante, fondamentale … ma par noialtri comunisti la questione morale la vol dire che no podemo e no dovemo tradire le nostre idee. Che no podemo e no dovemo tradire quei che son el nostro riferimento, i lavoratori.

Eco, vedito, quando un comunista se fa da parte o pensa de trovarse un postesin sicuro e no 'l va più en piassa e no el lota più … En poche parole, se el se ritira, se el se adegua, se accetta de no far gnente per la so zente … Eco, quando che 'l fa queo che i fa tuti staltri … questa la zè la “questione morale” par i comunisti.

E no la zè “una sconfitta” ma “la sconfitta”.

Noialtri no podemo tradire. Pena no essar più comunisti. Essar come staltri. Questa la zè stà la “lezione di Berlinguer”.

Eco parché la questione morale la zè importante par noialtri che semo restà co le nostre idee.

I schei ghe li lasemo ai paroni.

Ansi, no, ghe li dovemo tirar via e dargheli a chi che lavora.”
Sai, quando Berlinguer tirò fuori la questione morale, fu una boccata di aria fresca. È stato importante. Abbiamo rovesciato il dibattito. La contrapposizione con Craxi è venuta fuori con tutta la sua forza. Ma non solo questo. Ci siamo distinti da tutti gli altri. Questa, a mio avviso, è stata la cosa più importante di Berlinguer. Che qualcosina la ha sbagliata anche lui. Ma la questione morale no. Quella era una cosa giusta. Dopo, però, ce la siamo dimenticata. Non dico noi che siamo rimasti comunisti, ma gli altri hanno iniziato a confondersi. Si sono adeguati al “pensiero unico”. Hanno guadagnato con la politica. Personalmente.

E qua ti voglio dire una cosa che, penso, non tutti possono sapere. La questione morale per i comunisti cosa può essere? Credi che sia solamente il “non rubare” o “l'essere onesti”? Certo queste sono e devono restare nostre caratteristiche. Ma, per noi (comunisti) non è questa la vera questione morale.

Credi, allora, che sia quella cosa secondo la quale i partiti non devono occupare le istituzioni? Certamente, questa è una cosa importante, fondamentale … ma per noi comunisti la questione morale significa che non possiamo e non dobbiamo tradire le nostre idee. Che non possiamo e non dobbiamo tradire quelli che sono il nostro riferimento, i lavoratori.

Ecco, vedi, quando un comunista si fa da parte o pensa di trovarsi un posticino sicuro e non va più in piazza e non lotta più … In poche parole, se si ritira, se si adegua, se accetta di non far niente per la sua gente … Ecco, quando fa quello che fanno tutti gli altri … questa è la “questione morale” per i comunisti.

E non è “una sconfitta” ma “la sconfitta”.

Noi non possiamo tradire. Pena non essere più comunisti. Essere come gli altri. Questa è stata la “lezione di Berlinguer”.

Ecco perché la questione morale è importante per noi che siamo rimasti con le nostre idee.

I soldi glieli lasciamo ai padroni.

Anzi, no, glieli dobbiamo “portare via” e consegnarli a chi lavora.”)

Dipartimento Lavoro PCI Vicenza

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