Addio ad Andrea Camilleri, scrittore popolare, intellettuale civile, comunista italiano

di Alex Höbel, segreteria nazionale Pci

Con Andrea Camilleri scompare uno degli ultimi scrittori autenticamente popolari, un autore che è stato al tempo stesso uno scrittore civile, un intellettuale generosamente e tenacemente impegnato nello sconfortante scenario politico dell’Italia attuale.

Camilleri è stato comunista fin da ragazzo, allorché la vicinanza istintiva alle classi subalterne, la lettura di testi come La condizione umana di André Malraux e la raggiunta consapevolezza del progetto nazifascista lo indussero a prendere le distanze dalla cultura del regime, e a passare dalla parte dei suoi antagonisti più radicali; diventò quindi un comunista italiano, il che, osservò nel 2017, “significa molte cose”[1]. Iscrittosi al partito all’indomani della liberazione della Sicilia, da allora in avanti rimase “sempre con il Pci, ora da iscritto ora da compagno di strada ora da simpatizzante”[2]. Non a caso i suoi primi racconti furono pubblicati da testate come L’Italia socialista e L’Ora di Palermo.

Diplomatosi come regista all’Accademia di arte drammatica di Roma, poeta, scrittore, dopo una prima stroncatura dovuta proprio al suo essere comunista, nel 1957 entrò in Rai, dove lavorò a lungo contribuendo alla produzione di vari sceneggiati[3] negli anni in cui la tv pubblica svolgeva un ruolo prezioso di alfabetizzazione e acculturazione di massa.

Da sempre vicino all’area ingraiana, il suo impegno politico compì un salto di qualità dinanzi al crescere del fenomeno Berlusconi, che gli parve determinare una trasformazione profonda del senso comune e della stessa antropologia del Paese. Intanto il suo successo editoriale – grazie al personaggio del commissario Montalbano, alla sapiente commistione tra lingua italiana e dialetto siciliano e al sostegno dell’editrice Elvira Sellerio – diventava enorme, il che accresceva la dimensione pubblica del suo lavoro di intellettuale.

Scrittore capace di parlare al grande pubblico con immediatezza e profondità, coi romanzi ma anche con le interviste, Camilleri non ha cessato anche negli ultimi anni di denunciare l’imbarbarimento culturale, civile e politico dell’Italia di oggi, prendendo posizione su questioni al centro del dibattito come l’immigrazione e le condizioni dei migranti, non esitando a polemizzare con Salvini e la sua strategia della paura per costruire un consenso artificiale tra le masse popolari[4]: prese di posizione coraggiose, che gli hanno attirato l’odio e gli insulti di fascisti e razzisti, intolleranti verso chiunque contesti il loro “capitano”[5].

Negli ultimi tempi Camilleri, che aveva ormai perso la vista, ha utilizzato la figura di Tiresia[6], l’indovino cieco della mitologia greca e dell’Odissea, in grado di intuire e profetizzare gli eventi: una metafora efficace per descrivere un tempo nel quale la cecità (simbolo utilizzato anche da un altro grande scrittore comunista, il portoghese José Saramago) pare essere sempre di più una “malattia sociale”, un fenomeno di massa, mentre solo pochi “non vedenti” sembrano riuscire a percepire la realtà e la gravità della situazione.

Quello di Camilleri è stato un messaggio fortemente umanistico: un richiamo energico a non smarrire la consapevolezza e il sentimento di quella comune “condizione umana” che aveva iniziato a conoscere e su cui aveva cominciato a riflettere da ragazzo. È questa forse la sua lezione più importante, assieme alla coraggiosa coerenza nel rivendicare la sua appartenenza e la sua identità comunista: “Chi non sa cambiare idea – affermava in un’intervista – è uno stupido, sento proclamare in questi nostri felici giorni: pazienza, sarò infinitamente stupido perché non riesco a cambiare idea né sulle mie convinzioni politiche né sul mio vivere privato né sulle norme della convivenza civile”[7].

Di questa capacità critica, di questo coraggio, di questa coerenza sentiremo certamente la mancanza. C’è solo da sperare che l’esempio di Andrea Camilleri possa spingere tanti altri intellettuali, magari ora giovanissimi come quando egli si iscrisse al Pci, ad affiancare al loro lavoro un impegno civile e politico che diventi parte essenziale della loro stessa vita.


[1] https://it.blastingnews.com/politica/2017/09/camilleri-da-giovane-fascista-diventai-comunista-no-a-europa-che-alza-muri-002004937.html.

[2] A. Camilleri, Perché posso dire di essere comunista, in “l’Unità”, 18 gennaio 2002.

[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Andrea_Camilleri.

[4] https://rep.repubblica.it/pwa/intervista/2018/07/07/news/camilleri_salvini_estremismo_fascismo-201166737/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P6-S1.8-T1; https://stranieriinitalia.it/attualita/attualita-sp-754/camilleri-limmigrazione-n-mutamento-cosmico/?cn-reloaded=1; http://www.ilgiornale.it/news/politica/camilleri-paragona-ai-gerarchi-fascisti-salvini-sinistri-1657384.html.

[5] https://www.ilsussidiario.net/news/andrea-camilleri-insulti-choc-dopo-malore-affoga-nel-vomito-lo-vegliano-migranti/1895447/.

[6] http://www.vigata.org/teatro/convtiresia.shtml.

[7] A. Camilleri, Perché posso dire di essere comunista, in “l’Unità”, 18 gennaio 2002.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *