Alcune riflessioni

di Giorgio Langella, Responsabile Dipartimento Lavoro PCI
e Dennis Vincent Klapwijk, Responsabile Dipartimento Lavoro FGCI

In tutto il dibattito sviluppato attorno alla pandemia di covid-19 in atto (che
spesso diventa un’ossessivo esercizio di stile che “si fa perché lo spettacolo
possa continuare”), nelle critiche e nei confronti ai quali assistiamo ormai da mesi, più o meno urlati, manca (o, meglio, non viene evidenziato dalla più popolare informazione) la domanda fondamentale: può il sistema capitalista, nel quale stiamo (soprav)vivendo, risolvere la crisi sanitaria e la situazione drammatica che ne deriva?

Poniamoci alcune domande: il modello di sviluppo capitalista, quello sul quale si vuole insistere e che non sembra avere alternative, è veramente quello giusto? È, forse, utile continuare ad accettare l’idea che il motore di tutto siano le imprese private e il mercato? Si possono subire acriticamente i desiderata (le imposizioni) confindustriali che vogliono a far cadere il peso
della crisi a chi vive del proprio lavoro?

Ovvero, è necessario pensare che solo il profitto di pochi e l’accumulo smisurato di ricchezza nelle loro tasche possano essere “la soluzione”? Che mai e nessuno dei “lorpadroni” possa neppure essere indicato come responsabile della situazione?
Il sistema capitalista appare come l’unico possibile, il solo che possa esistere. Il mercato è il regolatore che controlla qualciasi cosa, il “privato” è il bene assoluto in ogni campo dell’economia e della finanza così come nella sanità, nell’istruzione, nei trasporti, nell’informazione, nell’industria strategica … una specie di feticcio che adoriamo da decenni e che, ci viene ripetuto come un mantra, non solo non ha ma non può neppure avere alternative.

Ormai il concetto espresso nella frase “è più facile immaginare la fine del
mondo che la fine del capitalismo” (titolo del primo capitolo del saggio
“Realismo Capitalista” di Mark Fisher) è diventato “la verità” che, nei fatti,
non può essere messa in discussione.
Eppure l’apparizione e la diffusione di un virus che non “conosciamo” ma che era del tutto prevedibile come risultato dello sfruttamento intensivo sia degli esseri umani (pensiamo alla precarietà delle condizioni di lavoro che portano insicurezza, aumento della fatica e diminuzione di attenzione, alienazione, miseria crescente) che dell’ambiente. Sfruttamento che è la caratteristica principale del sistema che sta trionfando. Quell’ideologia capitalista che esclude la possibilità che ci possano essere alternative da se stessa. La situazione che stiamo vivendo in questi mesi è anche una conseguenza di questo stato di cose.

Anche se da mesi assistiamo a un continuo ripetere che è necessario cambiare qualcosa non si mette mai in discussione il modello di sviluppo né le responsabilità dei suoi “sacerdoti”. Così, si continua nell’inganno di pensare che il sistema sia immutabile.

Confindustria ripete con insistenza alcuni punti fondamentali (e contraddittori) della dottrina capitalista: l’impresa è il motore di tutto, si può e si deve licenziare per creare nuovi posti di lavoro, si deve privatizzare tutto compresa la sanità anche se si è dimostrato che quella privata non è adeguata a contrastare la pandemia (quella che ci ha colpito e altre che possono arrivare), non si devono né si possono aumentare le tasse e le imposte sulle grandi ricchezze e alle retribuzioni spropositate (la patrimoniale è un concetto considerato “demoniaco”), il pubblico (sempre più vituperato) deve finanziare l’impresa privata ma senza intervenire nelle scelte strategiche, nella pianificazione, nella gestione e nel controllo delle stesse. Cosa e come si produce deve rimanere compito esclusivo di una ristretta cerchia di padroni e di monopoli multinazionali. Una visione delirante della società nella quale la
ricerca, l’innovazione tecnologica e, persino, i rimedi che serviranno a
sconfiggere il virus, a ridurne la virulenza e a neutralizzarlo diventano
soprattutto strumenti di profitto.

È l’esaltazione dell’ideologia capitalista che proprio nella situazione creata
dalla pandemia di covid-19 ha dimostrato i suoi limiti e la sua oggettiva
inefficienza. In pratica si vuole perseguire la logica del profitto di impresa al posto di quella dell’utilità sociale e del benessere collettivo, esasperando tutte le ineguaglianze e le ingiustizie che il sistema nel quale stiamo vivendo ci ha costretto.

Ci troviamo di fronte a un conflitto tra capitale e vita (lavoro, salute, ambiente che non possono mai essere in contrapposizione tra loro) che non può essere risolto restando indifferenti. Si impone una scelta di campo che ognuno dovrà fare.

Noi comunisti sappiamo da che parte stare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *