ATTENZIONE ALLA DERIVA NICHILISTA

Dopo l’attacco fascista alla sede nazionale della CGIL, un contributo alla discussione sulla fase, il ruolo e i compiti dei comunisti

Patrizio Andreoli

Segreteria Nazionale Pci

Cresce la tensione nel Paese. Quella sociale e quella politica. L’aggressione fascista alla sede nazionale della Cgil, ha segnato uno strappo sostanziale e simbolico del tessuto democratico dal forte valore generale. Ciò deve essere chiaro ad una forza come il Pci che si è chiamata, sin dalla sua nascita, a svolgere una funzione generale e nazionale. Una ferita che esige oggi una sicura mobilitazione unitaria a cui i comunisti devono contribuire risultando in prima fila nella costruzione di un’adeguata risposta popolare. Lo strappo sostanziale, infatti, attiene in sé alla tenuta della diga democratica. Questo, al netto del severo giudizio che i comunisti al presente esprimono, circa una strategia sindacale concertativa (d’impronta confederale) che in questi mesi ha fiaccato e spesso disarmato il conflitto, la resistenza dei lavoratori e delle lavoratrici.

Quando esattamente cento anni fa i fascisti iniziarono a colpire e a bruciare le Camere del Lavoro quasi tutte -nel contesto dato- a guida socialista e riformista, i comunisti (e persino gli anarchici) non si sottrassero alla difesa delle stesse. Quando l’onda nera montò e dopo l’uccisione di Giacomo Matteotti maturò l’opposizione aventiniana, fu Antonio Gramsci che comprendendo i limiti della sola opposizione parlamentare, pose la necessità politica di andare oltre attendismi e rinvii, indicando la via dell’unità e dello sciopero generale quale unica arma di massa e di classe in grado di tener testa ad un’azione eversiva che dilagava con il complice appoggio del padronato industriale ed agrario e della monarchia.

Ma la ferita oggi portata, è enorme anche sul piano simbolico. Mai – salvo per l’appunto la fase del fascismo ormai vittorioso- era stata assalita non questa o quella sede tra le altre, ma la sede nazionale della Confederazione Generale Italiana del Lavoro. Cgil o non Cgil, è chiaro lo scarto e scatto eversivo in avanti che si è voluto produrre e con esso, l’attacco fascista portato al mondo del lavoro. Se puoi sfregiare e portare un attacco al cuore della Cgil che vanta migliaia di sedi territoriali e tuttora milioni di iscritti, il segnale che passa e si vuole passi, è che ne Paese non c’è più baluardo democratico di massa che tenga! Anche per questo, bene ha fatto il Partito Comunista Italiano ad aderire alla manifestazione nazionale promossa in risposta a quanto accaduto. Non possiamo, infatti, fraintendere il livello dell’attacco ai capisaldi della democrazia, col mantenimento da parte nostra di un giudizio critico, e al bisogno anche fortemente critico, sul terreno del merito, con parte delle attuali scelte del gruppo dirigente nazionale della Cgil. Questo è il doppio ruolo che ci spetta. Difendere la democrazia mentre si invoca la mobilitazione dei lavoratori e si nutre un punto di vista di classe sulla crisi. I no vax, sotto questo profilo, sono solo un aspetto della crisi ideale e sociale. Un movimento, che si fa oggettivamente leva e strumento del revanscismo della destra. Ho abbastanza anni per ricordare nel 1970-71 il movimento fascista “boia chi molla”, le manifestazioni di Piazza a Catanzaro e i moti di Reggio Calabria, il fascismo sociale che si pretendeva portatore di un’azione di rinnovamento antisistema. Quello che oggi va compreso e bene, è che ad aggredire la Cgil non vi erano le avanguardie rivoluzionare che intendevano andare oltre un riformismo debole piegato alle politiche del Governo e a quelle del generale processo di riorganizzazione del lavoro. Ad attaccare la Cgil, vi erano manipoli fascisti organizzati sospinti dalla crisi sociale e sostenuti da un disorientamento politico e culturale profondi, presenti nella testa di molti e molti nel Paese. Questo è il ruolo a cui dobbiamo chiamarci, mantenendo sempre, da comunisti, un’osservazione critica, dialettica e aperta dei fatti reali. Ritengo, per esempio, che avrebbe avuto un significato straordinariamente più denso ed utile al bisogno di dare corpo ad una risposta di resistenza democratica, la convocazione immediata di uno sciopero generale in difesa della democrazia e dei lavoratori (anche solo di un’ora!, e se non ora quando?), a cui far seguire la manifestazione nazionale di Roma. Il momento è grave e come Pci, non possiamo e non dobbiamo sbagliare la lettura dello scontro in atto, e la valutazione circa il “che fare”.

Lo dico, anche alla luce delle preoccupazioni espresse da parte di un’area di compagni a noi vicina che dinanzi alla stretta sociale e politica del Paese (tragedia sanitaria, a cui è seguito un pesante massacro sociale che peraltro i comunisti avevano denunciato ed annunciato), segnalano il rischio di farsi oggettivamente parte di una più generale strategia antipopolare tesa a fiaccare in via strutturale la risposta dei lavoratori e a sopire

il conflitto (stretta Draghi-Landini); ed insieme, di alimentare un’aggiornata strategia della tensione che nel mentre invoca la tenuta e la difesa degli assetti democratici e costituzionali, di fatto tende a facilitare un ingabbiamento del movimento di protesta col fine (e rischio) ultimo di procedere alla promulgazione di una legislazione speciale e liberticida tale da colpire non tanto il sovversivismo fascista (funzionale al mantenimento dello stato di cose presenti), ma in primo luogo i comunisti e tutti i soggetti altri, non in linea con la lettura liberista della fase; in una parola, non in linea con le politiche e richieste dei gruppi al comando in Italia ed in Europa. Rischi di ulteriori torsioni moderate e dell’accentuazione di politiche apertamente antidemocratiche vi sono. Esse si sono già manifestate nel corso dell’esperienza repubblicana segnando fasi assai critiche della vita nazionale (gli anni dello scelbismo, il Governo Tambroni, lo stragismo e la stagione terroristica, l’azione e il peso dei servizi deviati e di apparati e parti dello Stato asserviti al sistema politico- mafioso etc.), quale espressione endemica della crisi stessa, che come altre volte è accaduto nella storia del Paese, possono prefigurare un’uscita populista e a destra, piuttosto che un rafforzamento dei diritti e degli spazi di libertà.

Si tratta di una battaglia aperta. Una battaglia in cui il Partito Comunista Italiano deve, proprio per questo, rafforzare la propria funzione di soggetto in grado di dare risposta politica al conflitto e spessore al dibattito culturale e ideale. Proprio a partire dalla coerente funzione di mobilitazione a cui ci accingiamo (attacchi portati alla Cgil), guai se non ci chiamassimo a svolgere un ruolo di punta nella battaglia per la difesa dei diritti, e tra questi prima di tutto quello a manifestare un dissenso serio con molta parte delle scelte presenti chiamando alla mobilitazione di piazza e di massa lavoratori, studenti, cittadini. Guai, se individuando il consolidarsi di rischi per noi esiziali, sino a considerare possibile un pronunciamento politico contro l’agibilità politica e ideale dei comunisti nel nostro Paese (frutto di uno smantellamento delle coscienze e di attacchi culturali che vengono da lontano); noi ripiegassimo in una sorta di riserva testimoniale, dando seguito ad un atteggiamento di resa e di anticipata elaborazione della sconfitta. Guai se soggiacessimo ad una deriva nichilista che dà per perduto l’orizzonte della tenuta democratica e del cambiamento! Ne va della nostra stessa funzione generale. Al contrario, la consapevolezza del passaggio stretto (passaggio non effimero ma di fase), deve spronarci a rafforzare la riflessione su noi stessi e il nostro ruolo, la tessitura di un più sicuro progetto di ricostruzione del Partito Comunista Italiano, il rilancio di ragioni di fondo che attengono all’alternativa e prospettiva del socialismo. Noi, al presente, non ci possiamo permettere contaminazioni o debolezze culturali tipiche del complottismo, pose attendiste o rinunciatarie, pose democraticistiche (sui vaccini), adesioni a visioni relativiste del conflitto che è segnato -come d’altronde sempre- da corpose ragioni materiali e di potere a cui anche la polemica sui green pass rinvia, cedimenti circa letture sociali dello scontro e della funzione dei movimenti. Altri, anche a sinistra, hanno teorizzato e praticano la visione e prospettiva del “Partito sociale”; non noi comunisti.

Non difesa, ma attacco deve essere la parola delle masse”, scriveva nel 1925 Vladimir Majakovskij nel poema “Lenin”. E’ la stessa voce, che -d’altronde- ammoniva lucidamente come “l’avvenire non viene da solo!”. E’ talmente vero, che il nostro futuro bisogna conquistarcelo andando oltre fragilità organizzative, timidezze culturali, titubanze e difficoltà di ogni tipo rafforzando il radicamento e la presenza del Partito Comunista Italiano, senza cui non potrà esservi oggi resistenza sufficiente, e domani controffensiva popolare. (13 ottobre 2021)

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