Chiamateci per nome

Contro l’antipolitica e una solidarietà senza memoria

di Patrizio Andreoli, Segreteria Nazionale e Dipartimento Politiche Organizzazione PCI

Sulla scorta di quanto accaduto lo scorso 25 maggio negli Stati Uniti (morte per mano della polizia del cittadino di colore George Perry Floyd  nella città di Minneapolis) nelle ultime settimane abbiamo assistito allo svilupparsi di manifestazioni antirazziste composite, diverse per accenti, carattere della
protesta, partecipazione. Una mobilitazione che a partire dal pronunciamento diffuso di sdegno che ha infiammato i social e i media producendo una significativa azione di denuncia civile e di pressione
democratica, in alcune città si è tradotta nella chiamata a raccolta dei cittadini.

Un coinvolgimento diretto e popolare, invocato all’insegna del “troviamoci e facciamo sentire la propria voce”, avendo spesso cura di ricordare come il tutto dovesse avvenire in assenza di bandiere e simboli di partito.

Un concessione che in nome del politically correct e di una presunta laicità e distinta autonomia della società civile (un’espressione talmente usurata ed abusata che si fa ormai fatica anche solo a citare), ha reso ancora una volta omaggio all’antipolitica e all’antipartitismo che soprattutto a sinistra da anni molto ha segnato l’indebolimento di identità, la distruzione di storie e di lotte, il venir meno di una visione e proposta alternativa all’attuale organizzazione economica sociale che esattamente produce quelle ingiustizie e diseguaglianze profonde contro cui ci si chiama.

Non ci stiamo. Il rispetto dell’identità visibile, del patrimonio di idee e del cammino di ogni soggetto è la premessa essenziale per evitare una protesta da salotto, l’innocua denuncia da parte di un movimento privo di volti e di
storie riconoscibili, veri. Perché i comunisti non dovrebbero partecipare in quanto tali? Perché non i cattolici democratici o forze di ispirazione e tradizione diversa? Noi non siamo né liberal, né progressisti (ovvero l’orizzonte generico su cui si è incagliata una sempre più sbiadita e desertificata sinistra italiana); siamo comunisti!

Capisco che questo continui a disturbare in via pungente alcuni; non solo vecchi anticomunisti ma forse e ancor più, chi quel patrimonio ha abiurato e tradito. Ma è così, se ne facciano una ragione. Il paradosso è che nel mentre ci si mobilita contro il razzismo e la discriminazione, si producono in questo modo atti non di reale unità tra diversi, come in questo caso
sarebbe stato necessario; ma nuove e moderne forme di esclusione, scelte di oggettiva ulteriore discriminazione.

Il tentativo nei nostri tempi di deprivare forze politiche e soggetti sociali del proprio nome e della propria storia, appartiene ad una pratica culturale di mutilazione violenta e di resettazione della memoria critica del tutto funzionale al pensiero unico, all’omologazione, al relativismo storico.

Noi siamo “partigiani”, stiamo da una parte della barricata, sempre: quella degli sfruttati della terra. Siamo” ideologici” (una bestemmia per le “anime belle” di una sinistra immemore), ovvero portatori di una visione e di un progetto di trasformazione del mondo. La nostra non è una mobilitazione compassionevole, ma un appello alla lotta per cambiare lo stato di cose presenti.

Floyd non era solo un cittadino americano brutalmente privato dei propri diritti, ma un uomo soffocato anche e soprattutto perché di colore, anche e soprattutto perché povero (il fratello dinanzi al Congresso degli Stati Uniti ha dichiarato: “E’ morto per soli venti dollari. E’ questo il valore di un
afroamericano?”).

La discriminazione razziale non è che una sfaccettatura della feroce e non meno odiosa emarginazione e discriminazione sociale.
Veniamo da lontano. Abbiamo saggezza ed esperienza tali da comprendere come le parole d’ordine di una mobilitazione unitaria non possano essere se non in parte le nostre. Ma là dove siamo e saremo – ne stiano pur certi tutti – ci saremo col nostro nome, con le nostre idee, con la nostra passione.

Laddove sono e saranno i comunisti, saranno le loro bandiere.

One Comment

  1. vincenzo

    Era ora che si reclamasse il rispetto per la propria identità, senza se e senza ma. I comunisti autentici non hanno nulla da nascondere, men che meno la propria storia.

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