Comunicato ILVA

Il tragico dilemma dell’ILVA, come era prevedibile non ha avuto la soluzione che il governo auspicava.

L’Arcelor Mittal ha annunciato di voler far saltare l’accordo del 2018, ritirandosi dal contratto d’acquisto in quanto, come affermato dall’AD Lucia Morselli, che lamenta di non poter gestire lo stabilimento senza le protezioni legali necessarie all’esecuzione del piano ambientale, definitivamente rimosse con la mancata conversione in legge del relativo decreto.

L’ILVA costruita nei primi anni 70 dallo Stato secondo il programma di industrializzazione del Mezzogiorno, dopo esser stata privatizzata ed aver cambiato proprietà, sconta una crisi, che sembra irreversibile e che grava tutta sui lavoratori.

Una crisi che è principalmente produttiva ed ambientale, perché coinvolge l’attività lavorativa, la salvaguardia ambientale e la salute di lavoratori e cittadini.

La questione ILVA impone di conciliare la produzione con la salute, di operai e cittadini, e con l’ambiente. La produzione dell’acciaio è, infatti, fonte di inquinamento che comportano le proteste della popolazione residente, comportando l’interazione di tre materie prime: il ferro, il carbone e il calcare, e che provoca, nelle varie fasi di lavorazione, un inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo che per Taranto è insostenibile.

Negli anni si sono succedute diverse proposte per la soluzione del problema: bonificare e rendere ambientalmente sostenibile la fabbrica attuale, coprendo i parchi minerali e carbone; cambiare il ciclo produttivo usando metano al posto del carbone; usare come materia prima rottami da rifondere in forni elettrici, come avviene in molte altre acciaierie italiane; chiudere tutto e trasformare l’Ilva in un grande parco una volta bonificati i suoli.

L’Ilva produce circa 10 milioni di tonnellate di acciaio all’anno, quindi una parte rilevante dei 25 milioni di tonnellate all’anno della produzione italiana.

L’acciaio è produzione strategica per il paese, perché necessario per molteplici attività, l’Ilva assicura un lavoro e un salario a migliaia di lavoratori della fabbrica e delle attività portuali, la salute delle persone e dell’ambiente è un bene primario non negoziabile.

Questi i cardini della questione.

Arcelor Mittal chiede che sia garantita l’immunità penale, il progetto di riconversione non ha prodotto alcun beneficio ambientale e non garantisce tutti i posti di lavoro.

Il PCI ritiene imprescindibile conservare la tradizione industriale ed operaria, chiede che siano garantite l’occupazione, la tutela ambientale e la salute dei lavoratori e dei cittadini, perciò la soluzione al problema ILVA è una sola, come i Compagni delle federazioni di Taranto e della Puglia chiedono da tempo, è ora che intervenga lo Stato.

La rinuncia di Arcelor Mittal offre l’occasione allo Stato di riprendere in mano il settore siderurgico, producendo con metodi e procedimenti meno inquinanti del carbone, con una soluzione che garantisca produttività, occupazione, salute e salvaguardia ambientale: la nazionalizzazione dell’ILVA.

Solo un’azienda pubblica potrà conciliare lavoro, ambiente e salute e questo chiede il PCI per i lavoratori in AS, per tutti i lavoratori dell’ILVA, per i cittadini di Taranto e per il paese che rientri in possesso di un settore strategico, che non può essere lasciato in balìa dell’interesse del privato, che ha dimostrato negli anni di non offrire garanzie da nessun punto di vista, provocando un disastro ambientale, che ha provocato malattia e morte, facendo più volte sparire i profitti, senza fare investimenti necessari e facendo pagare le crisi, provocate da pessima gestione, ai tanti lavoratori dell’ILVA e dell’indotto, ai quali, ancora una volta va tutta la nostra solidarietà e il nostro appoggio.

One Comment

  1. gian

    Il problema è che nessuno vuole la nazionalizzazione dell’ILVA, ne quelli che stanno al governo e tanto meno quelli che stanno all’opposizione (mi riferisco alle forze politiche con più rappresentanza, non quelle dello 0,1 % o poco più) tutta l’establishment governativa nostrana ha sposato i dettati di Bruxelles e non intendono opporsi alle direttive dell’U.E, che sono dichiaratamente contrarie alle nazionalizzazioni, altrimenti non sarebbe stato permesso loro di andare al potere. A questi non interessa salvare l’ILVA e i 20.000 operai che saranno da qui a poco tempo “disoccupati”, perchè se volevano veramente salvare l’azienda l’avrebbero già fatto, la vicenda ILVA si trascina da anni ormai, anzi con gli ultimi accordi hanno fatto una porcata in più, hanno garantito all’acquirente (capitalista) straniero uno scudo penale, insomma se per varie ragioni questo rinuncia all’acquisto dell’ILVA noi dovremmo pagargli una penale. Inverosimile. C’è da augurarsi solamente che qualche maestranza che si troverà disoccupata da qui a qualche mese, incazzata, prenda qualche sedia e cominci a spaccarla in testa a quelli che hanno fatto simili accordi.

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