Dalla “ditta” Bersani al Partito democratico di Renzi. Un decennio di disastri!

di Nicola Paolino, PCI Salerno

Quando Bersani accettò il diktat di Giorgio Napolitano, per la costituzione del famigerato “governo tecnico” di Mario Monti, contribuì a violare platealmente il carattere parlamentare e non presidenziale della Repubblica Antifascista. Cui fece seguito il voto determinante alla controriforma strutturale delle pensioni, a firma Fornero. Nei fatti, furono proprio quelle due drammatiche scelte antidemocratiche e antipopolari che prepararono le successive tappe. La conseguenza principale che ne seguì fu la facilitazione dell’ascesa al “trono” del “curatore fallimentare” del Pd Matteo Renzi. Il Partito Democratico, ribattezzato, molto poco brillantemente, “la ditta” da Bersani, alle elezioni politiche del 2013 raccolse 8milioni e 644mila  voti, pari al 25%.  Nel 2008, il Pd con Veltroni ne aveva presi 12milioni 920mila, pari ai 33,2%. La linea politica scelta e praticata da Bersani costò la perdita di ben 4milioni e 276mila voti, pari a meno7,8%. Un vero e proprio tracollo! Altro che “elezioni né vinte né perse”! Quel clamoroso risultato fu coperto e attenuato grazie all’illegittimo premio di maggioranza contenuto nel sistema elettorale, conosciuto come “Porcellum”, poi dichiarato anticostituzionale dalla Consulta. Quel risultato fu fatto apparire addirittura come un trionfo!

Il Partito Democratico di Renzi e la sua resistibile ascesa.

Con il continuo e sistematico sostegno economico, quasi esclusivo, ad una parte delle grandi e medie imprese e alle banche il Partito democratico di Renzi ha quasi finito di sgarrupare il suo stesso partito. Come sempre i soldi erano quelli di imposte e tasse, prelevate, forzosamente, dalle pensioni, dai salari, e dai modesti redditi delle classi sociali in difficoltà e dagli italiani a “rischio di povertà”. Né Bersani né Renzi hanno osato pensare di mettere mano ai 4mila miliardi che giacciono, passivamente, nelle banche, mentre “la casa Italia sta bruciando” da troppo tempo e quasi il 24 per cento delle italiane e degli italiani si sono drammaticamente avvicinate al “rischio di povertà. Non c’è che dire! I fatti parlano da soli. Bontà loro, Bersani e Renzi hanno dimostrato di essere per nulla parsimoniosi con il popolo, mentre con i ricchi e i ricchissimi sono stati di manica larga, arrivando a chiudere anche due occhi, quando gli è apparso necessario.

In queste ultime elezioni politiche, Renzi ha portato il Pd a 6milioni e 134mila voti, che corrispondono al 18,72 per cento, rispetto al già disastroso risultato di Bersani, ha perso altri 2milioni e 187mila voti. Oramai la china è inarrestabile e non c’è più freno che tenga! Al disastro precedente se ne è aggiunto un altro più insidioso. In un decennio, con le loro scelte politiche di sinistra borghese, come i fatti hanno ampiamente dimostrato, sono riusciti a dilapidare quello che rimaneva della sinistra storica, progressista e democratica. E’ così che nella pratica si sono dimostrati ed è così che tutti siamo costretti a chiamarli. Non si tratta di una pura e semplice etichettatura. Il non farlo o semplicemente rinviarlo alle calende greche significa coprirli ed assistere passivamente a un corso politico che sta diventando non recuperabile né nell’immediato né per il medio periodo.

Insieme hanno perso la fiducia di 6milioni e 786mila di italiane ed italiani, soprattutto di pensionate e di pensionati, di salariate e di salariati, di disoccupate e disoccupati e precari, al nord e al sud dell’Italia. Ironia della sorte hanno deciso di fare i sostenuti, come se le responsabilità principali non dovessero ricadere sulle loro spalle. La scelta aventiniana di bloccarsi su una sterile opposizione di principio, tutta renziana, indica una direzione cinica e miope di un manipolo di improvvisatori conservatori autoreferenziali, incapaci di una qualsiasi autocritica. A prescindere da qualsiasi appartenenza sociale, politica ed individuale.

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