Divide et impera. Considerazioni sul regionalismo differenziato

di Gennaro Chiappinelli, Segreteria nazionale FGCI e Resp. Nazionale Dip. Giustizia e Meridione

 

Il 15 Febbraio il Governo formulerà la propria proposta relativamente alle richieste avanzate da Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia, inerenti all’attuazione di un particolare tipo di regionalismo differenziato.

La vicenda comincia un anno fa. Nel Febbraio 2018, a pochi giorni dalle elezioni, i presidenti delle tre regioni stipulano una pre-intesa, primo atto necessario nella richiesta di autonomia[1], con l’allora governo Gentiloni rappresentato dal sottosegretario Giancarlo Bressa. Gli altri tre protagonisti di questa storia sono Stefano Bonaccini (Emilia-Romagna), Roberto Maroni (Lombardia) e Luca Zaia (Veneto). Dei tre solo Maroni è stato sostituito sempre nel 2018 dal neoeletto Attilio Fontana.

Dal 4 Marzo la questione passa al Governo Conte, in particolare la materia delle autonomie regionali è affidata a Erika Stefani (Lega). È suo il progetto, derivato da queste famose pre-intese e attualmente top-secret, su cui si baserà la discussione del 15 Febbraio nel Consiglio dei Ministri.

Ma veniamo ai fatti. Le tre Regioni chiedono al Governo l’attribuzione di alcune competenze e una maggiore autonomia sulla politica fiscale. In particolare, si richiede la trattenuta nella regione di una maggiore percentuale di introiti fiscali, proprio per sostenere le spese delle nuove competenze acquisite. Veneto e Lombardia chiedono la gestione di 23 materie, l’Emilia-Romagna di 15. Si va dall’istruzione, alla sanità, alla protezione civile,alla programmazione dei flussi migratori, alla gestione dei beni culturali.

Procediamo con ordine: Le Regioni fondano la loro richiesta essenzialmente sull’art 116 della Costituzione, in particolare sul comma 3, che consente l’attribuzione di determinate materie alle Regioniche ne facciano richiesta, nell’ ottica della decentralizzazione. Si tratta di tutte le materie concorrenti e di tre materie assegnate dall’art 117 alla sola competenza Statale.

Serve una piccola digressione. L’art 116 conferisce alle Regioni la possibilità di ottenere determinate attribuzioni seguendo un processo definito dall’articolo stesso. Può essere utile ricordare che questa possibilitàè riconosciuta solo nel nuovo articolo 116, uno di quelli modificati dalla riforma del Titolo V attuata nel 2001.

Un altro elemento va segnalato: la scelta di procedere a un accordo tramite lo strumento dell’intesa consente al Governo di sottoporre al Parlamento una proposta non emendabile. Ancora una volta, il Parlamento sarà posto davanti a un mero “prendere o lasciare”. Ancora una volta, l’istituzione parlamentare viene svilita e asservita alle logiche dell’Esecutivo.
Nessuno spazio dunque per il dibattito.
Il voto richiederà una maggioranza qualificata, cioè la maggioranza assoluta ed eventualmente si svolgerà prima o a ridosso delle elezioni europee.

Questi i fatti. Il regionalismo differenziato ha cittadinanza nella nostra Costituzione, tuttavia non sono chiari i limiti e le modalità in cui esso possa essere esercitato. Una assenza normativa che rischia di essere letale per il Sud.

Su alcune materie particolarmente rilevanti, come l’istruzione e la sanità, va però tenuto presente come la loro tutela sia garantita e uniforme su tutto il territorio nazionale. Una tutela uniforme effettiva però si scontra con la differente disponibilità economica delle Regioni.

Veniamo quindi al nodo centrale: la questione tributaria. Nelle pre-intese si prevede di parametrare le risorse nazionali da trasferire alle Regioni basandosi su “fabbisogni standard” risultanti anche tenendo conto del gettito fiscale regionale. L’uso combinato in questo standard del dato sul gettito produce una rilevante conseguenza: le regioni che avranno più risorse saranno necessariamente quelle dove il gettito è più alto, e cioè quelle in cui il reddito è più alto. Affidarsi a questo standard crea una frattura insanabile tra le regioni del Nord e quelle del Sud, vessate dall’assenza di investimenti pubblici infrastrutturali e vittime di una crisi economica e sociale costante. L’uso di questo parametro taglia ancora di più fuori dai giochi le Regioni meridionali, che vedranno ridursi, in una drammatica spirale, le già esigue risorse pubbliche investite sul territorio ed i pochi servizi. Insomma, i meridionali saranno ufficializzati come “cittadini di serie B”. [2]

Torna così a manifestarsi lo scopo mai dimenticato della Lega. È nascosto, celato nel contratto di governo, ammantato con la lotta ai migrati, ma resta in fondo sempre lo stesso: garantire e cristallizzare i vantaggi delle Regioni settentrionali desertificando le regioni Meridionali. Il Movimento 5 Stelle è complice di questo tentativo, e perpetua l’ennesimo, forse il più grave, tradimento al Sud. Affidare competenze a enti più vicini ai cittadini non è di per sé un male. Sempre nella nostra Costituzione grande rilevanza è data al “principio di sussidiarietà”, che consiste proprio nell’attribuzione di maggiori competenze tanto più l’ente è vicino al cittadino. Non si può però parlare di autonomia regionale se non si tiene conto delle disparità tra le regioni italiane, se prima non si concretizza un piano per la risoluzione dell’attualissima Questione Meridionale e non si appianano le divergenze. Lo sviluppo dell’Italia dipende dallo sviluppo del Meridione, fondamentale per rinsaldare un’economia nazionale sempre più debole e che sicuramente non troverà la cura per i suoi mali in nuovi tentativi divisori. Tentativi perpetuati da chi schernisce i suoi concittadini dicendogli che “devono lavorare”, salvo correre ai ripari per garantirsi qualche voto in più. Non dimentichiamocene.


[1]Il primo Consiglio Regionale ad adottare la risoluzione per delegare il Presidente a trattare con il Governo è l’Emilia-Romagna il 3 Ottobre 2017, segue la Lombardia il 7 Novembre, e il veneto il 15 Novembre

[2]Si segnalano i numerosi studi e interventi dello SVIMEZ proprio sul tema ma anche l’analisi svolta dal Centro Studi Pio La Torre

One Comment

  1. giovanni

    giustamente voi dichiarate un divide et impera, ma in una rappresentanza comunista nel paese di più di sedici partiti comunisti, perchè il famoso detto latino non deve essere preso come segnale della condizione nel quale si trova oggi il marxismo in italia ?

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