Fabriano. “Dai Trattati dell’Unione Europea alla crisi dei distretti industriali umbro-marchigiani: un percorso antisociale”. Relazione.

di Giorgio Raccichini, Comitato Regionale PCI Marche

 

Venerdì 24 febbraio, presso la Sala Ubaldi di Fabriano, si è tenuta l’iniziativa “Dai Trattati dell’Unione Europea alla crisi dei distretti industriali umbro-marchigiani: un percorso antisociale”. L’evento è stato organizzato dal Comitato regionale delle Marche e dal Comitato politico provinciale di Perugia del Partito Comunista Italiano.

In apertura Mariella Baldoni, del Comitato Centrale del PCI, che ha presieduto e coordinato la serata, ha illustrato il senso dell’iniziativa, evidenziandone il carattere aperto: nella crisi economica e industriale che investe il fabrianese e, in generale, i distretti umbro-marchigiani, il Partito Comunista Italiano si è voluto aprire alle associazioni sociali ed economiche del territorio per raccogliere spunti di riflessione e per approfondire la propria conoscenza sulla realtà sociale ed economica di Fabriano.

Nell’intervento introduttivo Giorgio Raccichini, membro della Segreteria regionale delle Marche del PCI, ha definito l’Unione Europea come una fase particolare di un processo più ampio, quello dell’integrazione europea, finalizzato alla costruzione di uno Stato sovranazionale europeo dai caratteri imperialisti, espansionista all’esterno e, all’interno dei confini comunitari, teso a comprimere i diritti dei lavoratori. Questo processo si è rivelato rispondente agli interessi dei soggetti del grande capitale industriale e finanziario, come dimostra l’assenza di politiche comuni in materia di lavoro e fiscalità: un’assenza, questa, che favorisce le delocalizzazioni e innesca una competizione tra gli Stati nazionali per ridurre le tasse alle imprese (e far arretrare lo stato sociale che si finanzia con la fiscalità generale) e diminuire i diritti di chi lavora (come testimonia la riforma del lavoro chiamata “Jobs Act”). Le politiche economiche liberiste e di austerità messe in atto dall’Unione Europea – ha proseguito Raccichini – hanno avuto un peso determinante sulla crisi sociale ed economica che ha colpito con particolare gravità l’Italia e le Marche. Urgono, pertanto, la costruzione di un’alternativa credibile all’Unione Europea e alle sue politiche, un approfondimento dei rapporti di cooperazione con i BRICS e l’introduzione di riforme interne all’Italia che vadano nella direzione di rafforzare lo stato sociale, di ricostruire un’impresa statale nei settori strategici, di creare un polo creditizio pubblico per orientare lo sviluppo economico e produttivo, di avviare uno sforzo pubblico in ricerca, formazione e internazionalizzazione dei prodotti che aiuti le piccole e medie imprese.

Fabio Sebastiani, Segretario della Federazione provinciale di Perugia del PCI, ha subito chiarito che non si esce dalla crisi con il solito metodo di fare regali a pioggia agli industriali che si sono rivelati inefficaci e hanno prodotto solo dilapidazione di risorse pubbliche. Non può essere più neanche d’aiuto il fare affidamento alle banche legate ai territori umbro-marchigiani, che si sono avviate al declino ancor prima delle imprese. Se le forze politiche  di maggioranza o d’opposizione italiane non sembrano in grado di fare proposte concrete per affrontare la crisi, il Partito Comunista Italiano propone – ha detto Sebastiani – “rivoluzioni di buon senso”. Per chiarire questo concetto, ha analizzato il mercato degli elettrodomestici, nel quale la città di Fabriano è stata un polo di riferimento fin dagli anni ’60. Le regole introdotte nel settore dall’Unione Europea non hanno avuto la capacità di contrastare i fattori strutturali del calo della domanda, legati alle difficoltà reddituali delle persone e alla paralisi demografica ed edilizia. Le sanzioni alla Russia hanno poi contribuito a deprimere ulteriormente il settore degli elettrodomestici. Occorre allora rilanciare gli investimenti pubblici, tesi anche alla ricostituzione di una efficiente industria a partecipazione statale capace di incrementare l’occupazione e di guidare lo sviluppo economico e produttivo del Paese. “La produzione – ha concluso Sebastiani – riprenderà grazie agli operai che lo Stato pagherà per lavorare” e non per farli stare in cassa integrazione. I prodotti così realizzati potranno con ogni diritto recare il marchio della bandiera italiana, segnalante non solo la qualità del prodotto, ma anche e soprattutto “il percorso sociale che sta dietro alla produzione del bene”. Sarebbe un’operazione di marketing tesa a facilitare la commercializzazione dei prodotti e a produrre profitti importanti per lo Stato da reinvestire in nuove nazionalizzazioni. Aumentando l’occupazione, aumenterà la fiducia nel sistema e “più persone potranno pensare di comprare casa e di acquistare elettrodomestici”.

Alessandro Belardinelli, operaio e RSU Fiom alla Whirlpool di Melano, si è maggiormente concentrato sulla realtà della ex Indesit. Il modello industriale fabrianese, caratterizzato dalla dipendenza dalla famiglia Merloni, ha sì “garantito il benessere economico e sociale della zona”, ma è entrato in crisi anche per questa sua caratterizzazione familiare. Inoltre, “la miopia della classe politica locale” ha fatto sì “che nessuna diversificazione produttiva venisse avviata a Fabriano”. Il risultato è stato disastroso e i Merloni, dopo aver delocalizzato parte della produzione in Polonia e Turchia, hanno poi venduto l’azienda alla multinazionale Whirlpool incassando più di 750 milioni di euro. I Merloni – ha affermato Belardinelli – dovrebbero avere l’obbligo etico di “reinvestire nel fabrianese una parte delle plusvalenze creando nuova occupazione”. Nello stabilimento di Melano sono stati avviati investimenti di oltre trenta milioni di euro per rilanciare la produzione di piani di cottura. Il piano industriale è conseguente ad un accordo tra i sindacati e l’azienda firmato dopo sei mesi di scioperi e manifestazioni degli operai e degli impiegati.  Nonostante si siano evitati i licenziamenti di massa attraverso vari strumenti, Belardinelli non nasconde le preoccupazioni dei lavoratori dello stabilimento di Melano: “Siamo ancora 800 operai e 600 impiegati, il cui futuro occupazionale dipende tutto dal mercato e dalla ripresa che è ancora inesistente; la crisi ci ha poi consegnato un inasprimento dei ritmi e dei carichi di lavoro che erano già peggiorati con la precedente gestione”. Gli operai di Melano si sentono tutti un po’ precari tra la domanda che stenta a crescere, un contratto che scade nel dicembre del 2018 e nella consapevolezza che il quartier generale della Whirlpool è a Varese. La situazione della ex Indesit ha delle ripercussioni anche su altre aziende del territorio marchigiano: “La scomparsa  da Fabriano di intere famiglie di elettrodomestici sta indebolendo anche le fabbriche del distretto del mobile marchigiano con economie di scala peggiorate per Lube, Scavolini, Berloni, ecc.”. Se si vuole rilanciare la zona di Fabriano assorbendo la disoccupazione ed evitando lo spopolamento, non si può fare affidamento solo sul turismo e i servizi, ma occorre puntare anche sul settore manifatturiero. Ci vogliono, pertanto, investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo, poiché bisogna puntare su elettrodomestici innovativi (a risparmio energetico e con applicazioni smart) e occorre scoraggiare le delocalizzazioni produttive (come avviene anche in Inghilterra e Francia). Vanno istituite le “Zone franche, corredate da clausole che leghino l’impresa al suo territorio, obbligandola ad avere fornitori in un raggio di pochi chilometri. Anche le multinazionali devono essere obbligate a creare joint-venture con imprese locali”.

Nell’intervento conclusivo, dopo il dibattito che ha visto intervenire protagonisti della politica e dell’economia locali, Fabio Pasquinelli, Segretario regionale delle Marche del PCI, ha innanzitutto chiarito il perché un’iniziativa trattante la crisi economica e produttiva dei distretti umbro-marchigiani è stata voluta innanzitutto dal Dipartimento Esteri del PCI. Il problema a monte delle difficoltà economiche dell’Umbria e delle Marche è costituito dalla globalizzazione “che ha effetti sui contesti territoriali locali, producendo effetti benefici e, nella maggior parte, deleteri”.  Il nostro territorio, in particolare, ha esportato capitali, cioè attività produttive, e importato manodopera attraverso flussi incontrollati di immigrazione che hanno determinato la costituzione di un imponente esercito industriale di riserva. Non esistono scorciatoie per invertire la tendenza: anche una tassa patrimoniale per ricavare risorse da utilizzare in parte per il rilancio dell’economia, di cui si parla tanto a sinistra, può avere un pericoloso effetto boomerang, accentuando la tendenza alla fuga dei capitali. C’è invece bisogno di un cambio del paradigma economico che investa innanzitutto l’Europa. Noi comunisti non siamo contro il mercato comune e la cittadinanza europea: chiusure nazionalistiche e protezionistiche non rappresentano la soluzione alla crisi e avrebbero ricadute negative sui lavoratori. Bisogna invece rilanciare il mercato interno. Per far questo non si può prescindere dall’impegno dello Stato che deve recuperare la sua sovranità economica e monetaria.  Se si vuole una politica economica interventiva da parte dello Stato, occorrono le risorse e, in particolare, la creazione di un debito pubblico tale da smuovere l’economia e favorire lo sviluppo delle attività economiche e l’incremento dell’occupazione, generando nuove risorse con cui rifinanziare il debito pubblico stesso. L’austerità ha finito per aggravare la situazione sociale ed economica dell’Italia e non ha di certo risolto il problema dell’alto debito pubblico; pertanto non rappresenta la via da seguire. Chi deve promuovere il cambio di paradigma? Innanzitutto la nuova “classe operaia”, costituita da tutti quei lavoratori dipendenti, commercianti, liberi professionisti che vivono non di rendita, ma attraverso il loro lavoro, tramite il loro “operare” nella società. È questa composita classe sociale, la quale rappresenta il punto di riferimento del Partito Comunista Italiano, ad avere tutto l’interesse a rompere con questa Unione Europea e con le sue politiche liberiste e di austerità.

Servizio del TG regionale delle Marche della Rai, mandato in onda alle ore 14.00 del 27-02-2017, più o meno dal minuto 11 e 10 secondi. Link

One Comment

  1. Red News | Protestation

    […] Fabriano. “Dai Trattati dell’Unione Europea alla crisi dei distretti industriali umbro-marchigia… […]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *