I caimani nella notte della Repubblica

In merito al caso Diciotti, il Ministro dell’Interno Matteo Salvini -indagato dalla magistratura per “sequestro aggravato di persona”- si è scagliato contro i giudici aprendo in diretta facebook l’avviso di garanzia che lo riguardava al grido “io sono stato eletto dal popolo, loro no!” Dopo appena ventiquattro ore, in ossequio al crescente imbarazzo di parte significativa della sua stessa maggioranza (fibrillazioni politiche di cui oggi nega essere stato causa), si è corretto sostenendo che “non vi è nessun golpe giudiziario in corso”.

Il nuovo caimano dopo aver addentato in un sol colpo stato di diritto e leggi, sfregiando democrazia e Costituzione nel solco dei molti che -precedendolo- in questo gli sono stati maestri; ha bisbigliato quanto appena necessario con inesistente umiltà e credibilità democratica. Per converso, il “me ne frego” di fascistissima memoria con cui ha appeso al muro la comunicazione ricevuta dalla magistratura gonfiando fieramente il petto (“ecco la mia prima medaglietta…”), sta nel segno di un vergognosa teatralizzazione esercitata ad acta. Il rapporto tra il demagogo e la sua folla, tra l’uno e i molti, da tempo non ha più bisogno di balconi reali (come quello di Palazzo Venezia), ma di quelli virtuali ben più assertivi e pervasivi della televisione di Stato. Quanto accaduto racconta con tragica chiarezza la corrosione profonda delle istituzioni e della vita pubblica, l’abuso e scempio democratico a cui si è giunti, l’azione di sovversivismo in cammino -ora volgare ed esplicita, ora strisciante- di parte larga delle classi dirigenti e pezzi delle istituzioni che oggi saldano in un disegno reazionario attacco ai diritti e richieste d’ordine, le aspettative dei poteri che contano, il rancore sociale e lo smarrimento cupo di parte significativa del popolo, a partire da quella più disperata e povera, deprivata di lavoro, di futuro, di speranza.

Quello di Salvini è stato e rimane un consapevole attentato alla Repubblica e ai suoi ordinamenti, drammaticamente aggravato dalla funzione istituzionale ricoperta. Un attentato all’indipendenza della magistratura, alla Repubblica democratica e Antifascista; alle sue conquiste e regole scolpite nella storia d’Italia col dolore e il sangue, che tempo e picconate non hanno né sbiadito né corroso. Salvini reclama un’impunità sostanziale, un ruolo la cui sacralità deriva direttamente dal popolo (una categoria quest’ultima da sempre equivoca e scivolosamente reazionaria). Non un mandato democratico a fare e di cui democraticamente rispondere, ma una missione provvidenziale. Una sorta di laica unzione del signore di berlusconiana memoria capace di sottrarlo a leggi e regole, evidenziandone nella veste di moderno demiurgo la funzione fatale e necessaria.

Crescono e si moltiplicano colpi di mano esercitati sulla viva coscienza della parte più avvertita del Paese. Colpi di mano che non è detto siano sempre da operetta. Come la storia ammaestra, dalla spacconata volgare (che tale non è) all’avviarsi della tragedia ed al precipitare della vita democratica collettiva, può esservi meno margine di tenuta e distanza di quanto si creda. Tutto questo, mentre una parte vociante applaude compiaciuta, un’altra tace interessata, un’altra ancora -soprattutto a sinistra- è ripiegata e dispersa sotto il peso della rottura tra rappresentanza democratica e coscienza collettiva, tra consapevolezza del proprio ruolo sociale e prospettiva politica, tra rappresentanza degli interessi materiali (il dolore, il disagio, i drammi dei tanti) e richiesta di cambiamento. Ricostruite e tessere questo rapporto è il compito primario del Partito Comunista Italiano. Noi che pure da sempre siamo parte di una resistenza larga ed unitaria, parte attiva di una mobilitazione finalizzata alla tenuta di una diga democratica colpita via via dall’assalto dei nuovi fascisti e fascismi e dall’erosione dei tanti nuovi moderni “indifferenti”; non siamo sorti per assecondare il piagnisteo di chi si limita alla denuncia dei guasti facendo paga la propria coscienza attraverso la mera sottoscrizione di appelli. Coloro che hanno lasciato che i nodi ed il groviglio cupo del presente si accumulassero non muovono la nostra solidarietà né avranno la nostra passione.

Serve molto più. Noi siamo sorti per ricostruire la coscienza del cambiamento e della trasformazione senza cui non può esservi alcuna seria stagione di mobilitazione, né controffensiva popolare. Difesa della democrazia e difesa del pane devono risaldarsi, essere nuovamente masticate assieme. Su questo terreno che è culturale e immediatamente e per intero politico, deve spendersi la capacità di agitazione e la forza di orientamento dei comunisti. Noi dobbiamo essere quella forza che più di altre opera per la costruzione di un moto nuovo di indignazione e rivolta democratica. Quella forza che in un contesto difficile e assai critico della vita nazionale, si attiva perché si reclamino dieci minuti subito di sciopero generale a difesa della Repubblica a fianco delle ore di lotta che s’impongono a difesa del lavoro, della sicurezza sul lavoro, della dignità del lavoro. Quella forza che organizza una nuova leva antifascista militante sapendo nel contempo proporre al Paese un’altra idea di sviluppo e di società.

E’ di nuovo notte. Una notte lunga segnata da omissioni, abdicazioni ideali, barbarie civile, responsabilità politiche gravi circa il nostro critico presente. Una notte livida di paura sociale, alimentata dai molti caimani che intanto addentano e stritolano regole, spazi democratici, diritti. Costruire il Partito Comunista Italiano sia insieme progetto di salvezza e di riscatto generale.

di Patrizio AndreoliSegreteria Nazionale e Responsabile Dipartimento Politiche dell’Organizzazione PCI

 

 

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