Il dottor Filisetti va alla guerra.

di Lidia Mangani, Dipartimento Scuola e Università PCI

Che cosa ha spinto il dott. Marco Ugo Filisetti, direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale delle Marche, ad uscire dal letargo in cui è stato in tutti questi anni di incarico marchigiano, per rivolgere un messaggio agli studenti della regione in occasione del 4 Novembre intriso di retorica d’altri tempi e che ha suscitato il giusto sconcerto dell’opinione pubblica democratica?

Filisetti è stato infatti sempre silente nei precedenti anniversari e assente da tutte le celebrazioni e commemorazioni pubbliche: in occasione di tutti
i 25 Aprile, quando avrebbe potuto ricordare il significato e il valore della Resistenza e della lotta partigiana di cui tanti giovani studenti furono protagonisti; nei 2 Giugno, quando avrebbe potuto sottolineare l’importanza della conquista della Repubblica e della difesa e dell’attuazione della Costituzione; od anche nei 4 Novembre precedenti, occasioni per riflettere sulle cause, responsabilità e conseguenze delle guerre.
Invece, è stato sempre zitto.

Ora improvvisamente si sveglia, e si sveglia male. Sappiamo che il Filisetti venne sollevato dalla sua condizione di oscuro funzionario della provincia di Bergamo quando, con Berlusconi al governo, la ministra Maria Stella Gelmini lo chiamò al Ministero dell’istruzione con l’incarico di “Direttore Generale per la Politica Finanziaria e per il Bilancio”. Fu il braccio armato della Gelmini nel suo progetto teso a comprimere la scuola pubblica per favorire le private. Si scontano tuttora le conseguenze dei famigerati tagli di quasi 100 mila cattedre operati tra il 2008 e il 2012, con il sacrificio di decine di migliaia di docenti e non docenti in tutti gli ordini di scuole, e una riduzione del bilancio della scuola pubblica di 8,5 miliardi (10,4% del budget complessivo), più 1,3 miliardi sottratti all’università (9,2% del budget complessivo).

Forse per questi “meriti”, o per altri che non conosciamo, il Filisetti è stato mantenuto in servizio anche dai governi successivi, nominato Direttore generale prima dell’Ufficio scolastico regionale della Calabria e quindi nelle Marche. Nel suo messaggio del 4 novembre sul sito dell’USR Marche ha voluto far conoscere a tutti il suo “reverente pensiero [che] va a tutti i figli d’Italia che dettero la loro vita per la Patria, una gioventù che andò al fronte e là vi rimase. Una gioventù lontana dai prudenti, dai pavidi, coloro che
scendono in strada a cose fatte per dire: “Io c’ero”.

Al di là della segnalazione, già di per sé significativa, di Paolo Berizzi su “la Repubblica” , secondo cui l’avvio sarebbe “un copia-incolla del passaggio di un discorso di Benito Mussolini dedicato alla nascita dei Fasci italiani di combattimento”, è altresì evidente la connotazione polemica, di cui pure non è esplicitato il bersaglio. Ma sembra di capire che voglia lanciare una critica ai giovani di oggi, che manifestano per il clima o contro la guerra e per la Costituzione che la ripudia, manifestazioni che si è sempre ben guardato dall’approvare.

La volontà di contrapporre l’eroismo antico ad una supposta viltà odierna traspare anche dal prosieguo del messaggio, dove dei giovani di ieri si dice:
“che vollero essere altro, non con le declamazioni, ma con le opere, con l’esempio consapevoli che <Un uomo è vero uomo se è martire delle sue idee. Non solo le confessa e le professa, ma le attesta, le prova e le
realizza>”.

E con questa citazione dotta, anche se l’autore non è menzionato, si vuole ambiguamente suggerire che maestro adatto per i nostri tempi sarebbe il filosofo Giovanni Gentile, teorico dell’idealistico ”atto puro” e celebratore dei materiali “atti impuri” del fascismo: di cui fu ministro della pubblica istruzione imprimendo all’ordinamento scolastico una forte impronta classista; quindi influente nepotista nelle Università e sostenitore sempre del regime, e perfino del fascismo di Salò, quando fu giustiziato dai partigiani fiorentini, non solo per le idee ma per gli atti concreti di traditore della patria al servizio dello straniero.

Il Filisetti, tacendo completamente le responsabilità di chi quei giovani di ieri al fronte li spinse e non si preoccupò affatto che ci rimanessero, così conclude: “Combatterono per dare un senso alla vita, alla vita di tutti, comunque essi la pensino. Per questo quello che siamo e saremo lo dobbiamo anche a Loro e per questo ricordando i loro nomi sentiamo rispondere, come nelle trincee della Grande Guerra all’appello serale del comandante: PRESENTE!”.

E qui se si sgombera il terreno dalla retorica rimane questo “PRESENTE” gridato, in cui sta forse la chiave dell’intero messaggio. L’autore, fiutando il vento, vuole probabilmente proporsi, esibendo le sue credenziali “culturali” e di fede politica, all’attenzione degli eventuali sperati padrini di domani. Egli è qua, pronto a servirli, come ha servito la Gelmini.

PS. Raggiunto da un quotidiano locale, il Filisetti ha asserito che Gentile era un premio Nobel, dando un’altra dimostrazione del suo spessore culturale.

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