IL RITIRO DEGLI USA DALL’ACCORDO SUL NUCLEARE E’ UN ATTO DI GUERRA

di Giorgio Raccichini, dipartimento esteri PCI, responsabile politiche internazionali PCI Marche

Il Medio Oriente è una terra difficile, attraversata da tensioni e contraddizioni che, almeno in parte, sono un prodotto del colonialismo e del neocolonialismo occidentali. Gas e petrolio, risorse che potrebbero essere sfruttate per accrescere il benessere delle popolazioni mediorientali, sono diventati motivo di scontri regionali e di interventi militari occidentali. Le questioni economiche e geo-strategiche vengono a loro volta complicate da problemi di natura culturale e religiosa, come la divisione del mondo islamico tra Sciti e Sunniti. Vi sono poi le questioni nazionali, come quella curda, e la presenza di Israele, uno Stato che conduce una politica di apartheid e di oppressione verso il popolo palestinese e rappresenta una costante minaccia per i Paesi vicini.

Il problema principale, tuttavia, consiste nel fatto che il sistema internazionale in cui viviamo è profondamente instabile, reso tale innanzitutto dai tentativi degli Stati Uniti e dell’Occidente capitalista, usciti vincitori dalla Guerra Fredda, di instaurare un controllo imperiale, arrogandosi il “diritto” di intervenire militarmente e politicamente in zone considerate di interesse economico e strategico. Come la storia dimostra, nei rapporti internazionali la “legge del più forte” si traduce immancabilmente in caos e guerra.

Esistono Paesi che, in virtù del loro legame all’Occidente capitalista, possono godere di “diritti” che vengono negati agli altri ritenuti poco affidabili dagli Stati Uniti.

Secondo quale giusto criterio uno Stato può possedere l’arma atomica e sviluppare i propri armamenti e un altro no?

Si pensi a tutta la campagna mediatica condotta nei mesi passati, prima dell’apparente distensione attuale, contro la Repubblica Popolare di Corea che, in maniera del tutto legittima, portava avanti un proprio programma militare nucleare per ragioni di deterrenza rispetto ad un possibile attacco statunitense. Tale campagna ometteva costantemente un punto essenziale: se le potenze dell’Europa e del Nord America sviluppano le proprie tecnologie militari, passandole anche ai propri alleati nel mondo, e le utilizzano concretamente in guerre finalizzate a rovesciare un determinato regime, di certo non aiutano la causa del disarmo e della pace. Altri Paesi, sentendosi minacciati, saranno spinti o anche costretti a finanziare un proprio programma militare per dotarsi di armi distruttive. Se si vorrà giungere all’eliminazione dell’arma atomica così come di tutte le “armi di distruzione di massa”, bisognerà per forza partire dalle grandi potenze sotto la supervisione di organismi internazionali.

In questi ultimi anni anche l’Iran è stato accusato di volersi dotare dell’arma atomica. Non sarò certamente io a dire se questa accusa sia fondata o meno; tuttavia mi preme mettere in evidenza come in questo caso pesi la logica del doppio standard: Israele può detenere armi nucleari e l’Iran no, sebbene Tel Aviv non brilli per rispetto dei diritti umani e per pacifismo. Il doppio standard per l’Iran funziona anche sul piano storico: la Persia dello Scià, filoamericana, aveva cominciato a sviluppare un programma nucleare ufficialmente per usi civili, senza che questo destasse particolari preoccupazioni; la stessa operazione condotta dall’Iran diventa per l’Occidente una copertura dietro la quale si nasconderebbe la volontà di realizzare ordigni atomici.

È evidente che gli Stati Uniti e i loro alleati, in primis Israele, sarebbero un po’ più titubanti nel condurre operazioni di guerra in Medio Oriente nel caso in cui effettivamente Teheran si dotasse dell’arma nucleare.

Mentre gli USA, i Paesi dell’Unione Europea e Israele possono sviluppare e utilizzare concretamente tecnologie militari sempre più distruttive, la popolazione iraniana ha dovuto subire per vari anni gli effetti nefasti di sanzioni, tra l’altro progressivamente inasprite, in base al solo sospetto che la Repubblica islamica dell’Iran cercasse di sviluppare il nucleare per scopi militari.

Successivamente, nel 2015, grazie agli sforzi di Russia e Cina, si è arrivati ad un accordo che, limitando fortemente il programma nucleare iraniano, consente il graduale ritiro delle sanzioni all’Iran. L’accordo – va sottolineato – è vantaggioso anche per un Paese come l’Italia che dall’Iran importa risorse energetiche e con il quale vi erano scambi commerciali crollati dopo l’imposizione delle sanzioni. Inoltre, non dimentichiamo che, nell’ambito del progetto cinese della “Nuova Via della Seta”, il Gruppo FS Italiane è oggi impegnato nel potenziamento della rete ferroviaria iraniana.

Il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare rientra pienamente in quella guerra che sta devastando il Medio Oriente. Mentre gli USA ed Israele hanno sostenuto i jihadisti impegnati a distruggere la Siria, Damasco è riuscita a reggere l’urto, prima ancora dell’intervento russo, grazie al sostegno di Iran e degli Hezbollah libanesi. Quando Trump accusa l’Iran di sostenere il terrorismo, afferma precisamente che questa categoria infamante è applicabile solo a coloro che si oppongono agli interessi statunitensi nel mondo. Ancora una volta ritorna la logica del doppio standard. Inoltre, l’Arabia Saudita sostenuta dagli USA combatte contro l’Iran anche nello Yemen, una zona strategica per il controllo dell’accesso al Mar Rosso che diventerà sempre più importante nei commerci internazionali. Siamo in guerra e, se gli Stati Uniti si ritirano dall’accordo sul nucleare iraniano, vuol dire che stanno utilizzando tutti i mezzi, anche quelli economici, per indebolire il nemico. Mentre sembra accettare una distensione dei rapporti con la Corea del Nord, Trump dimostra che non vuole minimamente mollare la presa sul Medio Oriente e su quegli Stati che rappresentano un freno all’esplicarsi dell’egemonia statunitense nell’area. Questa egemonia servirebbe anche bloccare alcune delle diramazioni della “Nuova Via della Seta”, l’ambizioso progetto portato avanti da Pechino per ridisegnare la globalizzazione e i rapporti internazionali e che spaventa sicuramente Washington.

In risposta a precedenti attacchi israeliani contro obiettivi iraniani in Siria e alla mossa di Trump, qualche giorno fa gli iraniani hanno lanciato dalla Siria alcuni missili contro le postazioni israeliane nel Golan. La replica israeliana non si è fatta attendere ed è stata come sempre sproporzionata, anche perché – va ricordato – Israele occupa illegittimamente da troppi decenni le alture del Golan appartenenti alla Repubblica siriana.

Secondo la ricostruzione di un attento analista delle questioni internazionali, Thierry Meyssan, vi sarebbero attualmente delle divergenze di vedute tra Damasco e Mosca da una parte e l’Iran dall’altra: i primi riconoscono lo Stato d’Israele e sarebbero contrari ad un’escalation militare contro Tel Aviv; Teheran, invece, non riconosce la legittimità dello Stato israeliano e vorrebbe alzare il livello dello scontro. Se ciò fosse vero, sarebbe un grave errore da parte dell’Iran, poiché questo atteggiamento metterebbe a rischio i successi ottenuti contro il terrorismo, Israele e l’Occidente dalla coalizione che sostiene l’indipendenza della Siria. Non bisogna tuttavia dimenticare, prima di accusare l’Iran di essere una minaccia, che Israele ha sempre concretamente minacciato, nell’arco di tutta la sua esistenza, i suoi vicini arabi e persiani.

Ritengo che non si potrà mai giungere ad una situazione stabile nell’area mediorientale se non si risolverà la questione palestinese, costringendo innanzitutto Israele a rispettare le varie risoluzioni dell’ONU, ma soprattutto abbandonando la probabilmente fallimentare via dei “due popoli due Stati”, due Stati che difficilmente potranno  avere pari dignità e pari accesso alle risorse, specialmente idriche. Si riuscirà ad affermare l’idea di uno Stato di Palestina, con capitale Gerusalemme, laico, in cui vi siano pari diritti per tutti indipendentemente dalla religione di appartenenza?

In secondo luogo, la stabilità del Medio Oriente deve passare per un diverso assetto dei rapporti internazionali in cui venga eliminato quello che prima ho definito doppio standard, in cui siano severamente vietate le ingerenze negli affari interni di qualsiasi Paese e siano bandite le alleanze militari come la NATO. Bisognerebbe guardare con attenzione alla proposta che da qualche anno viene da Oriente, dalla Cina, che con la “Nuova Via della Seta” propone un modello dei rapporti internazionali basato sulla cooperazione economica, tecnologica e culturale tra Paesi sovrani, sulla pace, il mutuo vantaggio economico e la collaborazione tra i governi nella definizione dei progetti di cooperazione.

Intanto i governanti europei sembrano contrari alla mossa di Trump. Si spera che questa posizione venga mantenuta, anche se fosse dettata solamente da mere ragioni economiche. Purtroppo il recente passato ci dimostra che i Paesi dell’Unione Europea conducono una politica estera appiattita sulle posizioni di Washington e bisogna quindi stare in allerta.

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