Il socialismo di mercato: il sistema socialista che vanta il maggior numero di imitazioni (parte prima)

di Giambattista Cadoppi

 

“L’investimento nel potere d’acquisto della popolazione e nelle prospettive di occupazione attraverso il miglioramento delle infrastrutture del paese, fornendo agevolazioni fiscali e sovvenzioni, pagherà molto più che gettare denaro in istituzioni finanziarie. I cinesi conoscevano già questo. Il poliziotto del mondo può essere occidentale, ma il maestro del mondo, come è stato per millenni, risiede ancora in Oriente.” Andrew Hughes, 2008.

David Schweickart rileva il grande successo economico della Cina nel quadro di un sistema controllato da imprese di proprietà dello stato: «Questa economia socialista di mercato “incoerente” è sorprendentemente riuscita, con un altrettanto sorprendente dieci per cento di tasso di crescita medio annuo nel corso degli ultimi quindici anni», ma continua Schweickart: «La Cina non è oggi fonte di ispirazione nella maniera in cui lo fu la Russia all’indomani della rivoluzione bolscevica, o come la Cina lo è stata per molti nella sinistra negli anni Sessanta o come lo sono stati il Vietnam o il Nicaragua e Cuba» (in Ollman, 1998: 8). Questo è senza dubbio vero per la sinistra occidentale che, a differenza dei cinesi, non è certo famosa nel mondo per le proprie performance. Ma qualcosa è cambiato in questi ultimi venti anni.

Sebbene i cinesi siano spesso accusati di copiare, in realtà spesso vengono imitati dal punto di vista economico-sociale.  La Cina non ambisce a essere un “modello” per tutti, ma, di fatto, lo è. Almeno per alcuni paesi in asiatici, ma non solo.

Scrive un osservatore americano: «Le sfide sulla crescita per i paesi in via di sviluppo sono diverse. Basandosi su 5.300 dollari pro capite, il modello di crescita della Cina è più vicino alla loro realtà di prima industrializzazione e urbanizzazione […]. Nell’era post-guerra fredda, il modello cinese può avere un ruolo importante nella diffusione della crescita in paesi emergenti dell’Asia e oltre» (Steinbock, 2008).

Il Vietnam è stato il primo paese ad avvicinarsi al modello cinese del socialismo di mercato. Il paese asiatico non era riuscito a raggiungere gli obiettivi del piano quinquennale negli anni Ottanta, mostrando gli stessi problemi affiorati nell’URSS e negli altri paesi dell’Europa Orientale. Un importante studioso vietnamita ha dichiarato che gli venne richiesto di studiare, già dal 1986, ogni passo della riforma cinese e di riportare i risultati al Comitato Centrale del Partito per stabilire la linea guida per le decisioni. I vietnamiti hanno applicato il sistema di responsabilità familiare nelle campagne. Il concetto di apertura e di rinnovamento (Doi moi: Cambiamento per il nuovo) è diventato operativo dal Sesto Congresso del Partito Comunista del Vietnam nel 1986.

Già nel 1924 Ho Chi Minh espresse l’idea che il marxismo essendo un’espressione culturale dell’Europa dovesse essere adattato alle caratteristiche dei paesi asiatici. A partire daln1945, analogamente a quanto fatto dai cinesi, alla Cina, invece di imporre la dittatura del proletariato, egli tentò la formazione di una coalizione molto ampia assieme all’Imperatore Bao Dai, altolocati mandarini, nazionalisti, intellettuali (Le Dang, 2004).  Nel settore agricolo, il governo ha formato cooperative in tre fasi; gruppi di solidarietà produttiva, cooperative di livello inferiore in cui sono stati condivisi terreni e attrezzature e cooperative di livello superiore. La riforma agraria è stata comunque affrettata e l’altrettanto frettolosa espropriazione degli imprenditori hanno portato non pochi problemi e il declino della produzione industriale.

Gli abitanti dei villaggi hanno i loro campi privati ​​da coltivare al di fuori delle terre collettive. I contadini però lavorano gran parte del tempo su queste terre mentre trascurano i terreni collettivi. La commissione governativa per l’agricoltura riferisce nel 1974 che a causa delle preoccupazioni concernenti la produzione di cibo per le loro famiglie, i leader delle cooperative erano in grado di dispiegare solo il 30-40 per cento della forza lavoro necessaria per il lavoro collettivo. Di conseguenza, la quota di reddito medio da lavoro collettivo per gli agricoltori è scesa al 30 per cento nel 1971 dal 38 per cento nei primi anni Sessanta, mentre lo stato prevedeva che aumentasse del 60 per cento alla fine degli anni Sessanta.

Prima dell’adozione del Doi Moi, il Vietnam deve affrontare seri problemi economici: l’inflazione sale a oltre il 700 per cento, la crescita economica rallenta e le esportazioni non coprono il valore totale delle importazioni. Inoltre, gli aiuti sovietici diminuiscono, aumentando l’isolamento internazionale del Vietnam. Ciò provoca un intenso dibattito sui difetti del sistema di pianificazione e la necessità di introdurre importanti cambiamenti. C’è stato un periodo di transizione dall’inizio degli anni Ottanta, le imprese statali hanno fatto profitti investendoli sul libero mercato, poiché le risorse sono state condivise tra vari gruppi tra cui lavoratori, manager e livelli superiori. Questa partecipazione agli utili, frutto di una prima riforma, ha creato una base all’interno del Partito favorevole a una riforma indirizzata verso un’economia di mercato.

Inoltre le amministrazioni locali spingono per avere maggiori introiti e la possibilità di importare ed esportare. Le cooperative già dal 1978 autorizzano i loro soci a sfruttare il terreno individualmente nel periodo invernale. Una parte del terreno, inoltre, è concessa a uso individuale per cinque anni.

Nel plenum del VI plenum del Partito, del 1979, è iniziato il dibattito sul decentramento di alcuni processi decisionali e sui maggiori incentivi per l’espansione della produzione. Nel 1980, i governi provinciali sono autorizzati a fondare società commerciali. È la fine del monopolio del commercio estero da parte dello stato.

Nel 1981 sono emanate le direttive sui contratti nel settore agricolo. I terreni agricoli sono distribuiti ai singoli membri in età lavorativa di cui diventavano responsabili nei confronti della cooperativa. Il risultato è l’eliminazione del razionamento per molti prodotti, aumentando gli scambi a prezzi di mercato.

Il settore informale non è stato generato dalla riforma Doi Moi del 1986, ma preesisteva. L’economia sommersa esistente ha contribuito a preparare il terreno per le riforme economiche sostenendo l’agricoltura, promuovendo l’accumulazione e gli investimenti produttivi del capitale locale, creando beni e servizi urbani, mantenendo uno spirito imprenditoriale e dimostrando al governo che un percorso alternativo per lo sviluppo era possibile.

La commissione per l’agricoltura del Partito Comunista ha preso atto della stagnazione della produzione agricola e zootecnica esprimendosi favorevolmente agli incentivi materiali e maggiori opportunità per l’agricoltura familiare. L’abbandono dell’agricoltura collettiva ormai incapace di rispettare gli obiettivi assegnati avviene nel 1987 -1988.

Dal dicembre 1986 con il Sesto congresso del Partito si va verso un’economia trainata dal mercato con la libera competizione delle imprese private incoraggiate nella produzione di merci nei settori economici non strategici.

Questo congresso ha dato cinque direttive: 1) riorganizzare il sistema di direzione dell’economia dando priorità ai programmi alimentari, la produzione di beni di consumo e d’esportazione; 2) rafforzamento dei rapporti di produzione socialista e parallelamente stimolare il settore privato; 3) rinnovamento del meccanismo economico con l’eliminazione della gestione centralizzata, burocratica e sussidiaria verso la formazione di un’economia di mercato regolata dallo stato; 4) promozione dello sviluppo della scienza e della tecnologia per realizzare le direttive precedenti; e 5) espansione delle relazioni con il mondo esterno. Le riforme sono state approvate nel corso delle conferenze VII e VIII del 1991 e il 1997 e sono la versione in salsa vietnamita delle quattro modernizzazioni cinesi.

Nel 1987 sono ridotti i dazi interni. Crescono rapidamente i mercati dei prodotti agricoli privati.

Nel 1987 si sostituiscono gli obiettivi di produzione centrali con obiettivi basati sul profitto per la maggior parte delle imprese, fornendo maggiore autonomia ai manager delle aziende statali riguardo alla produzione, alle risorse umane e al processo decisionale finanziario, riducendo l’imposizione di budget e input dello stato alle imprese.  Le restrizioni alla vendita sul mercato libero sono eliminate, fornendo sussidi solo sotto forma di prestiti da parte di banche commerciali di proprietà statale consentendo di mantenere le spese di ammortamento separate dai grandi progetti pubblici.

Nel 1990 si crea una base legale per le aziende private; nascono anche società per azioni e a responsabilità limitata. La costituzione del 1992 riconosce ufficialmente il ruolo del settore privato. La legge fondiaria è del 1988, riconosce i diritti di utilizzo del suolo dello stato. Gli agricoltori possono utilizzare la terra a lungo termine, vendere i loro prodotti sul libero mercato senza essere obbligati a entrare nelle cooperative.

Il Doi Moi porta all’istituzione di un’economia socialista orientata al mercato in cui lo stato svolge un ruolo decisivo per l’economia, ma le imprese private e le cooperative svolgono un ruolo significativo nella produzione di merci. Il Partito Comunista del Vietnam riafferma il suo impegno per l’orientamento economico socialista perché il rinnovamento dell’economia Doi Moi mira a rafforzare il socialismo.

Il Vietnam ha deciso di dare la priorità allo sviluppo dell’agricoltura, in particolare alla produzione alimentare; in secondo luogo, l’industria dovrebbe servire e aiutare l’agricoltura; in terzo luogo, la produzione di petrolio stimola lo sviluppo dell’industria chimica e di altri settori produttivi; in quarto luogo, si devono creare le condizioni favorevoli per gli investimenti esteri diretti.

La liberalizzazione economica trasforma una stagnante economia contadina in un sistema vivace, guidato dal mercato. L’aumento dei piccoli imprenditori produce un boom dei mercati locali e l’emergere della piccola imprenditoria nelle aree urbane.

Prima del 1988, non esistevano imprese private a se non quelle familiari che però non impiegavano manodopera salariata. Con il diritto societario emanato nel 1990, il numero di imprese private è aumentato con la formazione di società per azioni e a responsabilità limitata. I settori privati svolgono un ruolo importante nel settore dei servizi nelle attività nel commercio al dettaglio. Nel 2004, il numero totale di imprese registrate, raggiunge le 100 mila unità. Le imprese statali sono state trasformate progressivamente in società per azioni.

Due terzi degli investimenti sono andati alla città di Ho Chi Minh e alle province limitrofe, che hanno avuto la stessa funzione delle città litoranee in Cina. Va da sé che questo ha aumentato le differenze economiche tra le province, ma il tutto si è verificato al rialzo e ognuno ne ha tratto vantaggio.

Il Vietnam è il secondo esportatore di caffè dopo il Brasile. Per raggiungere l’obiettivo, numerosi imprenditori vietnamiti hanno stabilito piantagioni private di caffè, negli anni Novanta. La superficie coltivata a caffè è aumentata rapidamente di oltre dieci volte in dieci anni, da soli 44.700 ettari nel 1985 a 516.700 nel 2000. Le esportazioni di caffè sono aumentate in linea con l’espansione delle coltivazioni; c’è stato un aumento significativo da 12.300 tonnellate nel 1985 a 910.000 tonnellate nel 2001 fino a 1,26 milioni di tonnellate nel 2011.

L’esperienza storica dimostra che volere saltare le tappe dello sviluppo storico comporta l’istituzione di regimi d’emergenza con molta coercizione e poca democrazia:

«In prospettiva, il socialismo in stile sovietico era un nobile sogno sulla carta ma non convincente nella realtà. Gli sforzi di Ho Chi Minh di seguire un diverso approccio erano inizialmente promettenti, ma non lo furono alla fine. La situazione storica e le condizioni concrete non hanno permesso che avesse un lieto fine ma la validità del suo concetto rimane. Democrazia, libertà, unità nazionale, persuasione invece della repressione e della liquidazione fisica erano i principali elementi della sua concezione strategica. Il prematuro tentativo di puntare sulla proprietà collettiva, dimenticando gli incentivi economici e ignorando il ruolo del management, la sovra-enfatizzazione della violenza, repressione, a volte liquidazione fisica di una parte del genere umano a favore della salute e della felicità degli altri, trascurando i valori intellettuali, la capacità professionale, le tradizioni culturali non hanno funzionato bene. L’applicazione di una copia di modello teorico, radicato in Europa, per la società vietnamita era costosa e diseducativa per l’intera società. Come uno storico turning point, il processo di Doi Moi ha iniziato un nuovo viaggio di esplorazione, ricerca e sperimentazione di una diversa via al socialismo in Vietnam basata sull’economia di mercato, sull’integrazione economica, sulla civilizzazione e la moderna scienza e tecnologia» (Le Dang, 2004).

Pertanto, il rinnovamento si è prefissato di abbandonare la sottovalutazione del ruolo delle relazioni monetarie e superare il soggettivismo nella conduzione dell’economia e della politica e l’elevato centralismo burocratico dei meccanismi di pianificazione e regolazione economica. Come in Cina il settore socialista dell’economia è basato su imprese statali e cooperative mentre il settore privato si basa su imprese nazionali e straniere. Tutte le aziende private e pubbliche sono in concorrenza le une con le altre. Mentre l’agricoltura si basa sul sistema di diritti delle famiglie all’uso della terra (Le Dang, 2004). Con il Doi Moi si dà priorità all’agricoltura, all’industria leggera e allo sviluppo dei mercati di esportazione. Dopo i primi trenta anni di Doi Moi, dal 1986 a ora, la transizione a “un’economia di mercato a orientamento socialista”, definizione che si può leggere nella Costituzione Vietnamita e nei documenti ufficiali del Partito Comunista del Vietnam, è in costante aggiornamento. Il Programma del Partito Comunista nel 1990 tuttavia insiste che il settore statale e cooperativo diventi gradualmente il fondamento dell’economia nazionale.

Il Vietnam ha avuto una crescita economica e rilevanti progressi nella lotta alla povertà e nella democratizzazione. L’integrazione economica internazionale ha aiutato il Vietnam a riformare e liberalizzare il suo sistema economico, la sua cultura e il sistema educativo (Le Dang, 2004).

L’apertura esterna del Vietnam si è basata sull’unità le forze della nazione, per lo sviluppo delle forze produttive, che è la condizione della partecipazione del paese alla globalizzazione, cercando di adeguare la propria situazione economica e tecnico-scientifica al resto del mondo. In questa direzione si sono stabiliti rapporti con le istituzioni internazionali e le multinazionali. Il paese ha aderito al WTO inoltre è entrato nell’ASEAN, che da alleanza anticomunista è diventata area di libero scambio che consente di esportare prodotti in tutti i paesi membri: Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malesia, Birmania, Tailandia e Singapore. Il Vietnam è membro dell’Associazione dei Paesi dell’Asia e del Pacifico (APEC) che comprende Giappone, Cina e USA, e ha lo scopo di liberalizzare progressivamente il commercio dell’area (Trump permettendo). Per il Vietnam vale lo stesso discorso della Cina: il paese non è diventato subalterno alle regole dettate dalle istituzioni internazionali come il FMI e la BM, ma vi è entrato per contare dall’interno.

Crescita economica, riduzione della povertà e stabilità politica sono un mix raro in un Paese in via di sviluppo. Nonostante i consigli di direzione opposta della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale e dei sostenitori del laissez-faire, in Vietnam questo obiettivo è stato raggiunto attraverso il costante intervento dello stato nell’economia e un controllo del sistema economico da parte del governo, che possiede o controlla le principali attività economiche.

Comunque se si pensa al Vietnam sottoposto a embargo degli anni Settanta-Ottanta, si può dire che è uscito alla grande dall’isolamento internazionale. La rete di relazioni economiche è in sintonia con l’obiettivo del governo di trasformare il Vietnam in una nazione industrializzata entro il 2020.

I risultati raggiunti sono notevoli, anche se non mancano i problemi legati al rapido sviluppo in un’economia mista. Il suo PIL pro capite a parità di capacità d’acquisto è più che quadruplicato rispetto al 1990. Il Vietnam è divenuto progressivamente una delle economie in maggiore crescita al mondo con una crescita media annua dell’8 per cento tra il 1990 e il 1997, del 6.5 per cento tra 1998 al 2001, del 7,7 per cento tra 2002 e 2006 e del 6 per cento tra 2007 e 2009 e continua a crescere ad un tasso di poco inferiore al 7 per cento.  Il controllo sui punti strategici dell’economia fa sì che il Vietnam sia uscito molto bene dalla crisi asiatica del 1997 e relativamente indenne da quella del 2008. La produzione agricola ormai è più che triplicata, trasformando il Paese da importatore netto di prodotti agricoli a maggiore esportatore mondiale di pepe e secondo esportatore di riso (dopo la Tailandia), il secondo di caffè e poi cocco, gomma e prodotti ittici. I progressi ottenuti dal Vietnam con l’economia di mercato sono rimarchevoli e hanno fatto sì che potesse destinare maggiori risorse per i problemi più urgenti ossia la fame e la povertà. Il tenore di vita naturalmente è cresciuto in maniera visibile:

«C’è stato addirittura un periodo, tra il ‘91 e il ‘96, che alcuni osservatori stranieri hanno definito, con ottimismo eccessivo, l’età dell’oro. In dieci anni il PIL è raddoppiato e i progressi, (al diavolo le statistiche!) sono visibili a occhio nudo. Chi si ricorda la straziante povertà di 20 anni fa rimane stupefatto dai cambiamenti: i mercati e i negozi che traboccano di merci e di gente che compra, che la sera affolla i bar, le gelaterie e i ristoranti. La povertà, beninteso, non è scomparsa ma non è lontanamente comparabile con la massa di disperati, con il “popolo dell’abisso” che ti sommerge giorno e notte nelle strade di Bombay, di Calcutta e nelle sterminate periferie di Lagos» (Ricaldone, 2004).

Oggi, dopo anni di sforzi titanici per alleviare la povertà generalizzata, questo Paese asiatico ha raggiunto l’obiettivo di uscire dalla lista mondiale dei “paesi poveri”, costituita da tutte quelle nazioni che non raggiungono i mille dollari di PIL pro capite annuo.

Usando criteri internazionali per la definizione di povertà che coprono il cibo e altri bisogni di base, le Nazioni Unite stimavano che il 70 per cento della popolazione nel 1990 vivesse in povertà, di questi il 90 per cento nelle aree rurali. Nell’anno 2000, il numero di persone sotto la linea generale della povertà era stato ridotto al 32 per cento e continua a scendere vertiginosamente. La percentuale dei vietnamiti che avevano a disposizione calorie giornaliere sotto la linea di povertà (2010 calorie per adulto), che risultavano malnutriti con conseguente scarsa salute e crescita era il 25 per cento nel 1993; nel 1999, la percentuale della popolazione che vive sotto la linea di povertà del cibo si era ridotta al 15 per cento, ridotta ulteriormente al 4 per cento nel 2010. Il tasso alfabetizzazione del paese è ora tra i più alti tra i paesi a basso reddito, sopra il 98 per cento tra gli 1-35 anni, 94 per cento sull’intera popolazione; più alto della maggior parte dei paesi in via di sviluppo. L’educazione primaria è gratuita e obbligatoria. Oggi viene fornita a tutti un’educazione secondaria. L’aspettativa di vita è arrivata a 73,4 anni, tra le più alte del Sud-Est asiatico. Oggi il Vietnam, con i suoi eccezionali ritmi di crescita e con i suoi sorprendenti risultati nella lotta contro la povertà, si colloca tra i paesi con il maggiore dinamismo economico di tutta l’Asia, al secondo posto dopo la Cina.

E stata introdotta, caso unico nel sud est asiatico, la settimana di 40 ore come anche il diritto di sciopero, misura indispensabile dato lo sviluppo del settore privato. Il Vietnam è un’altra storia di successo di un paese che basandosi sul socialismo di mercato e inserendosi nella globalizzazione, ha avuto parecchi successi economico-sociali e nell’alleviamento della povertà e della fame, diminuzione dell’inflazione e aumento dei livelli produttivi. Questi progressi hanno fatto sì che il modello abbia consenso politico e sostegno popolare. Questo è dimostrato dalla partecipazione del 90 per cento di elettori alle elezioni parlamentari e ai consigli popolari (Gonzalez, 2005).

Il Sud, maggiormente abituato all’economia di mercato è più dinamico e industrializzato del Nord, tradizionalmente più arretrato. In questa prima fase com’è logico, la ricchezza è maggiormente concentrata nelle città, soprattutto a Città Ho Chi Minh, la vecchia Saigon, capitale economica e città più ricca del Paese. Qui il salario medio è pari a due volte la media nazionale e dalle quattro alle dieci volte quello delle aree rurali. Saigon, che rivaleggia oramai con le più rinomate metropoli cinesi, conta il 7,5 per cento della popolazione vietnamita, ma crea il 28 per cento del prodotto industriale nazionale e il 20 per cento del PIL, attrae il 35 per cento degli investimenti diretti esteri, produce il 37 per cento delle esportazioni e assorbe il 35 per cento delle merci importate. Le zone rurali però, come abbiamo detto, hanno dimezzato il tasso di povertà nel decennio 1993-2002 (dal 66 per cento al 36 per cento).

Nel complesso, il 70 per cento della popolazione vive ancora nelle aree rurali e più del 50 per cento degli occupati lavora nell’agricoltura, anche se l’urbanizzazione sta crescendo velocemente.

I vietnamiti come i comunisti cinesi «[…] mantengono del tutto integro il lungo filo conduttore che li lega al loro patrimonio storico e a quello del movimento comunista del Novecento di cui si sentono eredi e continuatori» (Ricaldone, 2004).

Nel 2008 durante un seminario sulla riforma cinese a Hanoi i vietnamiti ammettono non solo di avere imparato dai cinesi la politica di riforma e di apertura ma guardano al vicino anche per la politica di costruzione del Partito e alla pratica di lotta alla corruzione. Dao Duy Quat, direttore dell’edizione online del giornale del PCV, ha concluso che l’esperienza cinese trova un ambiente favorevole nelle condizioni specifiche del Vietnam, in particolare per il ruolo dirigente del Partito e l’unità di tutti i gruppi etnici (Model, 2009).

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Questo saggio è ricavato dal libro uscito questo mese: CRISI, CROLLO E RINASCITA DEL SOCIALISMO IL SOCIALISMO DALLA “PRIMAVERA DI PRAGA” ALLA CADUTA NELL’EUROPA ORIENTALE, ALLA RINASCITA IN ASIA di Giambattista Cadoppi

IN APPENDICE ALLO STESSO VOLUME: GLI AVVENIMENTI IN CECOSLOVACCHIA Fatti, documenti, testimonianze, A 50 anni dalla “Primavera di Praga”

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