Ilva: tra il detto e il non detto.

Pubblichiamo il contributo di Orazio di Mauro, comitato federale del PCI di Catania

Il tavolo fra sindacati dell’Ilva e la proprietà al Ministero dello sviluppo economico (MISE) è saltato, come confermato dal ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda. Il ministro ha dichiarato quanto segue: «Bisogna ripartire dall’accordo di luglio, dove si garantivano i livelli retributivi. Se non si riparte da quell’accordo la trattativa non va avanti. Abbiamo iniziato l’incontro con l’azienda comunicando che l’apertura del tavolo in questi termini è irricevibile, in particolare per gli impegni sugli stipendi e l’inquadramento, su cui c’era l’impegno dell’azienda. Non possiamo, come Governo, accettare alcun passo indietro su retribuzioni e scatti di anzianità acquisiti che facevano parte degli impegni». Vista così la situazione per gli operai dell’ILVA sembrerebbe confortante. Il governo è dalla parte degli operai, diranno molti lavoratori di Taranto.  Ma nel capitalismo mai il lavoratore deve avere fiducia del capitalista e del suo agente, il politico di turno.

Vediamo di chiarire la situazione e rendere chiaro ai compagni e ai lavoratori cosa è accaduto in questa storia degli acciai dell’ILVA. Partendo da un dato: la richiesta di acciai in Italia (come dal grafico che riporto sotto che fa vedere che il costo degli acciai in Italia è quasi tornato ai livelli del 2013, il punto di massima crisi di produttività prima della crisi). È chiaro che ciò avviene per la legge capitalistica della domanda e dell’offerta. La produzione di auto e mezzi pesanti sta riprendendo e quindi il prezzo degli acciai risale. Quindi la proprietà dell’ILVA, il colosso indiano Arcelor Mittal, che proprio è specializzato nella produzione e nella fornitura di acciaio per l’industria automobilistica, si mette in moto anche in Italia. Appare assodato che la necessità di produrre acciai c’è ed è importante. Ma la Arcelor Mittal è un’azienda che fa profitti e segue la legge della compressione del capitale variabile (riduzione del salario degli operai) per massimizzare i profitti. Come fare? si saranno chiesti i dirigenti dalla Arcelor Mittal. La risposta gliela avranno data i dirigenti locali italiani. Siamo in Italia, avranno detto, e il governo o di destra o di sinistra (sic!) sta sempre dalla parte del padronato. È stato un pasticcio nella migliore, o peggiore, tradizione italiana. Secondo alcune indiscrezioni giornalistiche il governo sapeva e ha sottovalutato le reazioni degli operai e la tempesta scatenata alla notizia che la proprietà aveva intenzione di tagliare 4.000 posti e riassumerli senza riconoscerne il pregresso di anzianità con il job act, tanto caro a Renzi e ai suoi corifei.

Un gesto tipico di un’azienda nei momenti di crisi di mercato che necessita di ridurre la produzione, direbbe qualcuno in malafede. Ma i dati sopra esposti dicono il contrario. Il governo e nello specifico il ministro Calenda, aveva dato via libera alla proprietà. Questa, sicura di avere le spalle coperte stava procedendo alla jobbattizzazione dei dipendenti (scusate il neologismo). Il governo non aveva tenuto in considerazione che la classe operaia, malgrado la debolezza dei sindacati di categoria, insorgesse contro questo piano che Calenda e la Arcelor Mittal avevano concordato. Poi Calenda, da politico navigato, dopo una reazione fredda davanti alla rivolta operaia, ha fatto un’inversione ad U, preoccupato del consenso perduto. Per incassare un po’ di consenso per il suo capo Renzi.

Che l’accordo tra governo e proprietà ci fosse lo si evince dal fatto che l’azienda definisce candidamente “sorprendente” la posizione assunta dal governo. Evidentemente ha scoperto che le promesse della politica nel capitalismo sono scritte sull’acqua. In conclusione tutta la nostra solidarietà agli operai dell’ILVA, ai quali raccomandiamo di respingere la solidarietà pelosa di “Quelli per Salvini”. Purtroppo gli unici presenti davanti ai cancelli della fabbrica. Sono lontani i tempi in cui il compagno Enrico Berlinguer andava davanti ai cancelli della FIAT.

 

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