Iraq, dall’invasione all’assalto all’ambasciata USA: metafora del disastro imperialista

di Francesco Valerio della Croce, Segreteria nazionale Pci e Responsabile Esteri

Le immagini dell’assalto all’ambasciata USA in Iraq ad opera del popolo iracheno, che ha costretto alla fuga il corpo diplomatico statunitense è estremamente forte. E’ certamente la metafora del declino della “missione” Usa in uno stato che si voleva smembrato e ridotto, su base etnica, a uno dei tanti cuscinetti e avamposti nello scacchiere mediorientale. Non è andata esattamente così, la reazione popolare di oggi – ultimo esempio di molte settimane di mobilitazione in corso nel Paese – che segue i bombardamenti precedenti ad opera degli USA, su ordine di Trump, su componenti resistenti nella società irachena, è la dimostrazione del fallimento della strategia USA un Iraq. Distrutto il governo di Saddam Hussein col copione, oggi collaudato, del dittatore pericoloso per la civiltà d’Occidente e col ruolo fondamentale della costruzione del nemico svolto da media (tutti abbiamo ancora nitidamente in mente l’immagine di Collin Powell all’ONU con la provetta di antrace per provare, falsamente, l’uso di armi chimiche da parte delle forze del governo iracheno), sciolto il partito Baath, e l’esercito iracheno, la pacificazione dell’area è rimasta un mero miraggio, la falsa promessa dietro cui nascondere una scia lunga di campagne imperialiste che, da quel momento, hanno insanguinato Medio Oriente e Nord Africa, ponendo inoltre le premesse per la stessa costituzione dello Stato Islamico negli anni più recenti. Indifferenti alle loro responsabilità storiche, le classi dirigenti statunitense, seguite da quelle servili europee, hanno lavorato per progressivamente smantellare i governi e sventrare gli Stati scomodi all’impero e ai suoi alleati regionali (Arabia Saudita e Israele, in primo luogo). Sono parti di questa lunga storia le guerre in Libia e in Siria.

Da quelle immagini, mai come oggi la parola d’ordine della fine dell’invasione imperiale e neocoloniale USA e Occidentale trova le sue ragioni palesi. Del resto, quanto si sta contemporaneamente preparando in Libia lascia facilmente presagire la riapertura di una nuova fase di guerra e di valorizzazione del capitale attraverso l’industria militare. Di fronte a tutto questo, incapace di trovare un posto a tavola e nella spartizione dei territori, l’Italia e l’Unione Europea guardano impotenti, ma con passiva accondiscendenza, un nuovo tornante di conflitti nel Nord Africa e nel Medio Oriente.

Oggi è quanto mai necessario, non solo denunciare le responsabilità dell’imperialismo di ieri e di oggi, ma dire chiaramente che l’Italia deve svincolarsi dal sistema di guerra NATO e da quello dell’ esercito europeo costituendo.

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