La NATO e i neonazisti in Ucraina: la risposta dei comunisti e delle forze antifasciste

di Massimo Leoni, segreteria regionale PCI Lombardia

Il PCI della Lombardia, assieme al Dipartimento Esteri PCI, ha organizzato a Milano, per il prossimo sabato 2 dicembre, un’importante Convegno pubblico sull’Ucraina, con la presenza prestigiosa del Segretario Generale del Partito Comunista dell’Ucraina, compagno Piotr Symonenko. Nell’articolo che segue i motivi per cui il PCI ha ritenuto di dover organizzare il Convegno

Fin dal 1997 uno dei principali ideologi dell’imperialismo statunitense, Z. Brzezinski, nel suo celebre libro “La grande scacchiera”, aveva individuato chiaramente nella zona geopolitica ucraina uno dei più importanti spazi dello scacchiere euro asiatico: una tesi politica che venne ben compresa dalle successive amministrazioni di Washington.

Infatti, all’inizio del 2014 si è creata una novità esplosiva e devastante in Europa: per la prima volta dal 1945 e dalla vittoria dell’Armata Rossa, un governo al cui interno emergono forze neonaziste è arrivato al potere nel nostro continente.

Si tratta del governo ucraino di P. Poroshenko, giunto al potere poco dopo il colpo di stato del gennaio 2014 appoggiato dagli Stati Uniti, dall’Occidente e dalla NATO, e nel cui blocco di potere emerge con forza il partito neonazista Pravy Sektor.

Non si è trattato certo di un fatto politico isolato e di un fenomeno casuale.

Contrariamente alle previsioni di gran parte della sinistra antagonista occidentale, infatti, l’imperialismo statunitense ha progettato con cura, pianificato e messo in atto concretamente una strategia di allargamento ad est e di accerchiamento della Russia post-sovietica, a partire dal 1991 fino ad oggi, che avrebbe sicuramente fatto invidia a Hitler e al nazismo genocida.

A questo punto è necessario ricordare un “fatto testardo” (Lenin) e apparentemente banale ma di estrema importanza politica e geopolitica: ossia la sequenza impressionante di nazioni che hanno aderito, volenti o nolenti, alla NATO e al blocco occidentale a partire dall’ottobre 1989.

Si è partiti con la ex Repubblica Democratica Tedesca, il cui territorio è stato annesso dalla Germania occidentale facente parte della NATO.

La stessa sorte è toccata alla Polonia e all’Ungheria.

Un destino analogo hanno avuto anche le repubbliche baltiche di Lituania, Estonia e Lettonia.

Vanno ricordate in questo lungo e triste elenco anche nazioni quali la Repubblica Ceca, Georgia, Albania, Ungheria, Slovacchia, per citare solo le principali.

Vista questa strategia globale di Washington, si possono comprendere ormai con chiarezza le dinamiche politico-sociali verificatesi in Ucraina dal 2014 fino ad oggi.

Ancora nel marzo del 2014, un giornalista non comunista come Giulietto Chiesa aveva evidenziato, in un articolo intitolato “Ucraina, come si fa un golpe moderno”, che “spiccano alcuni silenzi del mainstream occidentale. La signora Victoria Nuland, assistente del Segretario di Stato Usa, per esempio, ne ha fatte e dette di cotte e di crude in questi mesi. Parlando con il suo ambasciatore a Kiev, ben prima del rovesciamento del legittimo (quanto inviso) presidente Yanukovic, la signora Nuland decideva già la composizione del nuovo governo rivoluzionario che si sarebbe insediato a Kiev, dando indicazioni su chi si sarebbe dovuto includere o escludere.

Tutti i media europei s’indignarono molto per il finale di quella conversazione, elegantemente chiusa con un “fuck EU” all’indirizzo degli alleati europei, a giudizio della Nuland non sempre completamente sdraiati a leccare i piedi di Washington. Nel grande scandalo, tuttavia, tutti dimenticarono di riferire, appunto, il resto di quella conversazione, che mostrava tutta intera la tracotanza dell’Amministrazione americana contro un paese sovrano. La Nuland già aveva venduto la pelle dell’orso: sapeva in anticipo come sarebbe finita”.[1]

Come è noto, nel 2014 la connessione tra la reazione interna ucraina e la “rivoluzione colorata” finanziata dalla CIA ha ottenuto un temporaneo successo e gli effetti sono stati catastrofici.

Il governo Poroshenko ha dato carta bianca ai partiti neonazisti di Pravy Sektor e Svoboda, che hanno cominciato a dare la caccia a russi e russofoni che in buona parte, come risposta, hanno fieramente preso le armi e tutt’oggi combattono nel Donbass i battaglioni di nazisti, spesso affiancati da foreign fighters e jihadisti.

Non bisogna dimenticare mai che il governo ucraino attuale, fiancheggiato dal neonazismo più sanguinario, ha contribuito a scrivere una delle più cupe vicende della storia recente, quale è stato l’infame rogo della Casa dei Sindacati di Odessa il 2 maggio del 2014 che ha provocato decine di morti.

Anche la situazione economico-sociale dell’Ucraina è diventata ormai catastrofica.

Nel 2016 il 58,3% della popolazione era sotto la soglia di povertà, mentre nel 2015 il dato risultava “solo” poco più del 28%.

Anche la situazione lavorativa è tragica e le privatizzazioni aumentano: solo nel biennio 2016-2017 sono 300 le aziende vendute dallo Stato[2] ai privati, di solito stranieri. Ad esempio, una delle principali compagnie energetiche ucraine, la Naftogaz, dopo gravi problemi di corruzione e debiti ancora insoluti con la Gazprom, ha concluso un accordo con la società Rothschild S.p.A per tentare di risollevarsi dal baratro.

Lo sfrenato processo di privatizzazioni in Ucraina, come da copioni precedenti, è previsto e compreso nell’accordo EFF (Extended Fund Facility) concluso dal governo ucraino con il Fondo Monetario Internazionale: quest’ultimo dovrebbe pagare all’Ucraina 17 miliardi e mezzo di dollari, ma ha imposto subito le sue solite condizioni capestro.

Una delle richieste dell’FMI era la riforma pensionistica, e il governo di Kiev, ligio ai suoi doveri, ha varato la riforma che consentirà un leggero innalzamento delle pensioni, ma che allo stesso tempo “prevede di abolire il diritto alla pensione per i dipendenti di istruzione, sanità, protezione sociale e altre categorie” per “ridurre il numero dei pensionati”.[3]

Come ha sottolineato L’Antidiplomatico, inoltre, “dal primo maggio verranno abolite le cosiddette tariffe sociali per il gas e verrà introdotta una tariffa unica di 7.200 grivne (circa 288 dollari) per ogni mille metri cubi”, con un aumento di costo del 100% rispetto al passato.

Un altro punto da evidenziare è l’aumento vertiginoso della disoccupazione in Ucraina. Persino secondo i dati forniti dal vice primo Ministro Pavlo Rozenko, “nel primo semestre 2016, 1,8 milioni di ucraini erano senza lavoro e il livello di disoccupazione giovanile toccava quota 25%”.

I tecnici dell’FMI saranno certamente soddisfatti, ma non solo loro dato che nel 2020 si prospetta l’entrata ufficiale dell’Ucraina nella NATO: una data importante nel calendario politico ucraino, che rischia di incendiare lo scenario europeo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1]. G. Chiesa, “ ucraina come si fa un golpe “www.ilfattoquotidiano.it  2014/03/10

[2]www.mfa.gov.ua, “Privatization_in_Ukraine” 2016_2017

[3] www.it.sputniknews.com, “Ucraina firma riforma pensioni”

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