La questione industriale a Brescia

Malgrado la sempre crescente richiesta di qualità urbanistica da parte della cittadinanza gli ultimi trent’anni, anni segnati dalla cosiddetta deregulation, ci hanno consegnato tessuti urbani profondamente feriti, ed in alcuni casi devastati, dalla terziarizzazione, ovvero dalla dismissione degli impianti produttivi per lasciare spazio al commercio e lasciando i lavoratori al loro destino nell’ambito del settore dei ‘servizi’. Come se l’incipiente era dei centri commerciali, ora quasi tutti in difficoltà, potesse garantire gli stessi livelli occupazionali, lo stesso benessere e soprattutto la stessa civiltà.

Non si tratta solo di interessi economici nella cessione di aree ex-industriali alla speculazione edilizia, né si tratta solo di crisi industriale. C’è stata una scelta a mente fredda di spostare impianti, di frammentare le produzioni, oltre che la miopia di non tutelare le produzioni stesse quando le difficoltà erano solo di ordine finanziario.

La sorte di Torino valga come monito per tutti: una città industriale ridotta ad un cimitero di capannoni ed una popolazione che per la sua parte maggioritaria si prepara ad entrare di fatto ed in silenzio nel sottoproletariato e nella miseria in mezzo ai quartieri dormitorio.

A Brescia sta accadendo lentamente ed irrevocabilmente la stessa cosa: gli impianti storici dismessi (ATB, Pietra, ecc.) si contano a decine e il più grande di quelli rimasti, l’Iveco, sta lentamente svuotando il proprio stabilimento, pur non obsoleto, preferendo deportare tutte le mattine centinaia di propri dipendenti verso altri impianti tra Mantova e Piacenza.

Viene da chiedersi: ma i bresciani lo sanno, e se lo sanno sono d’accordo? Tra tutte le domande rivolte a loro sotto elezioni, domande spesso espressione di insostenibile leggerezza, questa domanda cruciale mancava.

Perché questo evento è destinato a cambiare tutto in città, città a vocazione industriale forse prima tra tutte in Europa e in grado di esprimere una capacità ed una cultura produttiva senza eguali.

Non c’è in gioco solo il benessere portato dal lavoro e dalla produzione, né ci si limita al mera, anche se fondamentale, questione dei diritti dei lavoratori, c’è in gioco una visione di politica industriale nazionale ma anche un modo di vivere la democrazia e la società.

Siamo sicuri che il contributo di questa classe operaia alla crescita civile di tutti sia stato neutro e che sarà possibile privarsene senza costi sociali? Magari i manager sono molto propensi a disfarsene, ma noi, ma le amministrazioni e la città di Brescia, è proprio vero che i nostri interessi coincidono sempre con quelli dei manager?

Una città segnata dal degrado sociale del declino produttivo non sarà un buon lascito per i nostri figli, sempre che non si sia già deciso per l’espatrio.

di Lamberto Lombardi, segretario provinciale del PCI a Brescia

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