Lavorare stanca, e impoverisce: i numeri vergognosi.

PCI- Dipartimento Comunicazione

Il Rapporto della Commissione del ministero del Lavoro sulla povertà lavorativa, incaricata di monitorare lo stato di salute dell’occupazione in Italia, attesta una situazione che il PCI denuncia da lungo tempo. L’Italia infatti è quel paese dove non basta lavorare per sfuggire alla povertà.

Si tratta di dati relativi al 2019, oggi, con la pandemia, possiamo star certi che siano già peggiorati.

Un quarto delle/gli occupate/i riceve infatti quella che viene definita la “retribuzione bassa”, ovvero inferiore di almeno il 60% rispetto a quella ricevuta in media a livello nazionale. Si parla di circa 12 mila euro l’anno, che considerando il recente carovita sulle materie prime, risulta uno stipendio bassissimo, che non garantisce una qualità di vita decente. Il vergognoso risultato è che l’11,8% delle lavoratrici e dei lavoratori italiani è ufficialmente al di sotto della soglia di povertà; solo Romania, Spagna e Lussemburgo in Europa riescono a fare peggio. Anche se, va notato che la media europea è del 9,8% di occupate/i in povertà, testimoniando come il problema sia continentale e strettamente correlato alle politiche dell’UE, che si conferma ancora una volta nemica e vessatrice del popolo, e molto amica dei grossi gruppi industriali e finanziari, che nel frattempo moltiplicano i profitti con tassi di crescita senza precedenti, anche e soprattutto grazie al basso costo del lavoro.

Bisogna sottolineare inoltre che il rischio di lavoro povero schizza fino a oltre la metà delle/gli occupate/i quando vengono considerati i soli contratti part-time (spesso involontario), che interessano maggiormente le donne, le più svantaggiate tra gli svantaggiati.

Insomma, un paese dove la disuguaglianza sociale ha ormai raggiunto livelli inediti, dove l’1% più ricco della popolazione possiede il 22,2% della ricchezza, e dove il lavoro, da simbolo di sicurezza e stabilità, si è ormai trasformato in nulla di diverso da un ricatto, con forme contrattuali precarie, poca sicurezza e molto sfruttamento.

Come PCI non possiamo che ribadire l’immediata necessità di ribaltare questa vergognosa situazione, proponendo politiche di risanamento occupazionale che si fondino sulla centralità delle/dei lavoratrici/ori e su contratti stabili, sicuri e con salari adeguati, reperendo le risorse da quegli immani patrimoni e profitti concentrati nelle mani dei pochissimi plutocrati contemporanei, asservendoli alle irrimandabili necessità di ristrutturazione pubblica.

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