Lavoratori frontalieri e coronavirus

di PCI Varese

Nonostante le pressioni che gravano sulla popolazione, al monito di “Restate a casa”, sembra che noi lavoratori viviamo in un mondo a parte, regolato da una produzione che non intende fermarsi per tutelarci.

Tra datori di lavoro che propinano sterili norme igieniche nelle loro fabbriche per far vedere il loro scarso impegno e preoccupazione per la salute degli operai, ad altri che offrono “contromisure” per tenere i propri operatori lontani da casa, ma pronti al lavoro, garantendo fino a due mesi in alberghi o hotel, lontani da famiglia e figli, pena, la perdita del posto, emerge sempre di più una situazione di disumanizzazione del lavoratore o della lavoratrice che non vengono in alcun modo tutelati in una maniera consona e coerente rispetto alla grave situazione di crisi che stiamo vivendo attualmente.

La nostra rivendicazione è forte e chiara, il governo ha l’obbligo di fermare la produzione ed imporre un fermo a tutte quelle attività, non socialmente indispensabili, che mettono a rischio la salute di tutti, agevolare le misure salariali ed il lavoro ridotto, permettendo a tutti di tutelarci e vivere più serenamente, per quanto possibile, l’emergenza in atto.

Nonostante la scarsa tutela nelle fabbriche ed il divario tra chi è svizzero e chi no, nell’ambiente sanitario si vive un’atmosfera quasi surreale, dove vengono garantite delle norme ferree, le distanze di sicurezza (anche e soprattutto durante l’ora dei pasti e l’eliminazione delle visite anche ai parenti più stretti a chi è ricoverato) ed è l’ospedale stesso a fornire mascherine e disinfettanti ai propri operatori sanitari che si ritrovano a gestire questa situazione di panico generale, con possibilità di trasferimento a carico della struttura per oltre un mese senza però la possibilità, per chi è frontaliere, di tornare in Italia, durante il soggiorno.

Fa riflettere la situazione che si è creata, se prima medici, infermieri e operatori, si trovavano in difficoltà con il discorso del posteggio auto (sempre strettamente a pagamento) e ristorazione, ora come ora lo Stato fornisce un supporto gratuito proprio a causa delle dinamiche in corso, ma non dovrebbe essere una garanzia per tutti? Al di là dell’emergenza e della crisi che stiamo affrontando?
Non possiamo continuare a sostenere il modello economico capitalistico che punta alla nostra stessa strumentalizzazione come forza-lavoro e non come semplici operai, costretti ad assumere e correre il rischio del contagio lavorando senza alcun tipo di garanzia salariale e sanitaria sul piano industriale e soprattutto non accettiamo questa disparità fra noi frontalieri e chi non è costretto a varcare il confine ogni giorno.

In conseguenza di tutto ciò chiediamo alle forze politiche e sindacali di intervenire in modo organico sulla problematica dei lavoratori frontalieri, per affrontare una criticità che viene ulteriormente accentuata da questa emergenza sanitaria data dal Coronavirus.

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