LE CARICATURE DEL PCI.

a cura di Norberto NataliDirezione Nazionale


Le caricature non sono falsità ma l’esagerazione di un singolo aspetto che tende a nascondere
la realtà della quale è espressione; il naso un po’ pronunciato di una persona, per esempio, viene
disegnato così grande da nascondere il viso che lo contiene. Così, spesso, una caricatura serve a
deformare -perfino a rovesciare- la verità meglio di una grossolana bugia.
Allo stesso modo, presentare un piatto di guanciale, ingrediente tipico del sugo all’amatriciana,
spacciandolo per una porzione della nota pastasciutta laziale, serve a far credere che essa sia
realizzabile senza bucatini, pomodoro, cipolla, ecc.
Già lo scorso mese, il nostro sito ha dimostrato come qualcosa del genere sia avvenuto nel
presentare il compagno Berlinguer come una specie di “tifoso” della NATO. Questo giochetto –
nell’incessante campagna di falsificazione della storia del PCI- non avviene solo negli interessati
ed ipocriti pseudo-tributi al compagno Enrico i quali, invece, sono per lo più un oltraggio al suo
pensiero ed alla sua opera. Lo stesso avviene, infatti, in molti altri casi che riguardano il nostro
Partito storico, come per il compagno Pietro Secchia: anche recentemente gli sono state attribuite

posizioni e perfino citazioni che sono, invece, di… Giulio Seniga, ovvero del suo nemico-
traditore.

Il trucchetto di usare Pietro Secchia per sostenere che il PCI è sempre stato un po’
socialdemocratico, che Togliatti (furbescamente) ha snaturato fin dagli anni ‘40 il Partito di
Gramsci (una volta, purtroppo, ci è cascato anche lo stimato professor Canfora) è una delle
patacche storiche più diffuse -e facilmente smentibili- in circolazione.


Le recenti elezioni amministrative confermano, in sostanza, l’allontanamento (pianificato da
molto tempo) delle grandi masse proletarie dalle vicende politiche ed elettorali, dal quale
derivano due principali conseguenze: i politicanti possono servire gli interessi dei monopoli
finanziari ed opprimere il proletariato (ed altri ceti popolari) senza dover temere troppo le
“ritorsioni” elettorali di questo ultimo e la destra storica si avvantaggia di questa situazione,
lucrando anche un po’ di voti tra settori sociali che le erano un tempo estranei ed ostili.
In questo contesto, esistono forze -alcune di esse si definiscono comuniste- nella sinistra italiana
(verso le quali nel nostro recente congresso si è ribadita una proposta unitaria per un’alternativa
all’attuale direzione politica) che continuano, in alcuni casi, a stringere accordi elettorali col PD o
a considerarli possibili. Le più astute indorano la pillola con giustificazioni di carattere “locale”.
La “caricatura” di cui vogliamo occuparci oggi è l’infantile pretesa che tali posizioni
costituiscano una sorta di “continuità”, di testimonianza di “fedeltà”, nei riguardi della storia del
PCI o delle scelte del compagno Berlinguer mentre, viceversa, chi sostiene una coerente
alternatività al PD e al sistema bipolare di falsa alternanza (come fa il nostro Partito) sarebbe una
sorta di “traditore estremista” di quella storia e di quelle scelte.
In questo caso, l’espediente della caricatura si accompagna con una sorta di furbesco “corto
circuito” logico: siccome Berlusconi, Salvini e la Meloni sono una minaccia reazionaria
indiscutibile, allora è sostanzialmente giusto “turarsi il naso” e scegliere il “meno peggio” ossia
chi si presenta (anche se ciò avviene solo in campagna elettorale) come avversario di quella
destra. Lo stesso giochetto fu fatto dai sostenitori del governo reazionario e sanguinario della
sinistra storica di fine ‘800 per la ragione che il suo capo (Crispi) ed altri suoi esponenti erano
stati in passato mazziniani e nemici dei Borboni, degli austriaci, ecc.
Qualcosa del genere, inizialmente, fu detto anche del fascismo o dei “legionari” di Fiume, i quali
si presentavano come oppositori della borghesia liberale e dell’interclassismo clericale.


Per tornare alle caricature del PCI, cominciamo a liberare il campo della verità con pochi cenni
che possono dare il senso delle deformazioni correnti.
Per esempio, il PCI ha sempre lottato contro il fascismo anche per combattere la borghesia (e
quindi con una politica di ampia e leale unità con tutte le forze borghesi antifasciste) e -al tempo
stesso- ha combattuto la borghesia anche per lottare contro il fascismo. È noto infatti che
Gramsci e Togliatti indicavano nell’assetto capitalista della società la radice più profonda dello
stesso fascismo: esso fu voluto dalla fazione più oltranzista della borghesia e -politicamente- fu
generato da liberalismo e popolarismo.
È da questi presupposti che deriva -oltre che la basilare strategia della democrazia progressiva- la
nota espressione di Togliatti per cui la democrazia (borghese) è una “banalità giuridica” se non si
dispiega il massimo di giustizia sociale coniugato con la massima estensione della libertà politica.
Con queste profonde origini storiche, noi consideriamo oggi una banalità retorica le giaculatorie
di chi pretende di sostenere certe alleanze solo perché si presentano come avversarie (meramente
elettorali) della destra storica ma sono anche un nemico per la libertà politica, ancor di più per la
giustizia sociale e -come è incontestabile soprattutto oggi- della pace.
Il nostro antifascismo non è mai stato un motivo per rinunciare alla nostra natura di classe e
rivoluzionaria: semmai ne è stato un incentivo. Non a caso, per fare una sola citazione, il
compagno Longo, nella relazione al XII Congresso del 1969, disse: “…le minacce reazionarie non
devono servire da alibi a forze di sinistra per i loro cedimenti”. Sembra quasi che pensasse a
qualche nostra conoscenza attuale!
Queste parole racchiudono un po’ l’ispirazione che il Partito ha sempre seguito pur nelle alterne e
mutevoli vicende della storia della nostra Repubblica. Qualsiasi proposta (che la si consideri
realistica o velleitaria) è stata in funzione di precisi obiettivi -espansione della democrazia e
conquiste dei lavoratori- e mai fine a se stessa, ossia ridotta a formulette politiche e manovre di
schieramento.
Tanto che, avendo come mezzo varie proposte di governo e come fine un programma di classe,
non ci siamo tirati indietro neanche nel proporre un governo senza Craxi (lo fece proprio
Berlinguer nel suo ultimo anno di vita) così come, più anticamente, abbiamo aderito al cosiddetto
“governo Milazzo” ossia una maggioranza formata nel 1958 da tutti i consiglieri regionali
siciliani esclusi quelli del MSI e i superstiti della DC. Un tentativo, difeso pubblicamente da
Togliatti, spesso dimenticato da chi vuole presentare una storia addomesticata del PCI e che -per
la stessa ragione- dimentica anche che Gramsci non esitò ad abbandonare l’Aventino quando
questo coacervo di partiti antifascisti si rivelò inconcludente.


Chi propone oggi alleanze col PD, dovrebbe spiegare come queste non siano fini a se stesse,
pure manovre di palazzo o da politicanti, e in che modo sono finalizzate alla piena applicazione
della Costituzione (ivi compreso il suo articolo 11) e alla salvaguardia degli interessi dei
lavoratori, dei disoccupati, della gioventù, delle donne, del sud ovvero all’avanzamento delle loro
condizioni e dei loro diritti nonché al risanamento della moralità pubblica e politica: ogni
“compromesso” promosso dal PCI era subordinato a finalità di questa natura ed è stato
rapidamente accantonato ogni volta che gli interlocutori dimostravano di non volere o non potere
rispettare i patti.
Vale la pena ricordare una parte del discorso con cui il compagno Berlinguer, il 26 gennaio 1979
intervenendo al vertice dei partiti di maggioranza, liquidò il governo di solidarietà nazionale (è
necessario ricordare che il PCI sostenne quel governo solo perché la fiducia fu votata il giorno del
rapimento di Aldo Moro) dopo appena dieci mesi dal suo inizio: “Dobbiamo chiederci oggi se
questo nostro senso di responsabilità voi non lo abbiate scambiato per arrendevolezza, se non
abbiate davvero creduto che noi dovessimo far parte della maggioranza per una sorta di
apprendistato o di legittimazione democratica, che fosse per noi sufficiente e soddisfacente,

comunque andassero le cose, far parte della maggioranza. Chi ha creduto così ha preso un
grosso abbaglio”.
In quella stessa occasione, egli precisò più esplicitamente che se gli altri partiti si erano illusi che
ci saremmo fatti influenzare dalle lusinghe e dagli agi che derivano dal far parte dell’area di
governo, si erano sbagliati di grosso. È questa moralità -oltre che questa coerenza politica- con
cui devono misurarsi quelli che oggi vorrebbero partecipare al mercatino elettorale per (nei casi
migliori) qualche assessorato!
Per questa priorità dei programmi (a favore della democrazia, della pace e dei lavoratori, contro lo
strapotere dei monopoli e del padronato) che la fermezza della nostra linea non è mutata quando
si è passati dall’epoca del centrismo a quella del centrosinistra, verso il quale continuò la nostra
ferma opposizione. Esso già sessant’anni fa (con più ragioni di oggi, bisogna riconoscere) veniva
presentato come una grande svolta “progressista” ma il compagno Longo (già nel 1965) ebbe a
dire che esso serviva solo a sostenere “il capitalismo meglio e più a lungo”.
Anche in quel caso (come ad incentivare un acritico sostegno alla “svolta progressista” del
centrosinistra) si udì il “tintinnar di sciabole” di minacce di golpe. Tuttavia la linea del Partito è
sempre stata -giova ripeterlo- quella di non concedere cedimenti (sul terreno delle lotte e dei
programmi) di fronte alla minaccia reazionaria la denuncia della quale, semmai, è in funzione
della mobilitazione contro di essa.
Per esempio, ancora il compagno Longo nella già citata relazione del congresso del ‘69, ribadì la
“volontà di difendere CON OGNI MEZZO la Costituzione, la democrazia, la Repubblica”. Lo
stesso concetto fu rilanciato, nel successivo congresso del 1972, dal compagno Berlinguer appena
eletto segretario generale, il quale disse nelle conclusioni: “Abbiamo parlato di complotti, di
centrali di provocazione italiane e straniere. La sfida delle forze reazionarie alla democrazia
italiana è tracotante, i pericoli gravi. Ma NOI QUESTA SFIDA LA RACCOGLIAMO. Stiano
attenti questi signori, STIA ATTENTA ANCHE LA DC A NON ROMPERSI LA TESTA. Le parole
del compagno Longo sono state molto chiare. SIAMO PRONTI A COMBATTERE SU TUTTI I
TERRENI mobilitando le immense energie democratiche di questo paese….”.
Le maiuscole sono dell’estensore, perché queste righe (come molte altre) possono costituire
un’autentica sorpresa per molti giovani che vengono plagiati -con argomenti e parole di
ultrasinistra- e convinti che la storia e la natura del PCI abbia avuto ben altra funzione e
fisionomia.
La proposta del compromesso storico è dell’anno successivo (ossia storicamente un attimo dopo)
a questo discorso di Berlinguer e considerare entrambe le posizioni, unitamente alla politica
concreta del Partito in quel periodo, significa fornire un quadro più completo ed equilibrato di
quel che ha fatto ed è stato il PCI (e anche Berlinguer) rispetto alle versioni di comodo -che
uniscono Pansa e “ultrarivoluzionari”- che vorrebbero ridurre la nostra storia solo a compromessi
con la DC, subalternità ai suoi governi e adesioni -mai esistite- alla NATO.


La verità è che la straordinaria ricchezza ed originalità del nostro storico Partito (la quale fece
parlare di “anomalia italiana” o di “fattore K”) deriva dal fatto che il PCI ha sempre condotto le
sue battaglie combinandole su due terreni: ha conteso con successo agli altri partiti democratici
(il primo luogo alla DC) il ruolo di partito antifascista più credibile e conseguente e –
contemporaneamente- ha conteso a tutte le forze (anche reazionarie e neofasciste) il ruolo di
partito più credibile e coerente come forza di opposizione e di alternativa ai democristiani. Non è
mai stato ad essi subalterno per un malinteso antifascismo né -tanto meno- è mai stato ambiguo o
ammiccante verso le forze reazionarie per equivoco spirito di opposizione (come sembrano fare
oggi certi compagni).
È proprio per questo -in poche e semplici parole- che per oltre quarant’anni (dopo la Liberazione)
abbiamo avuto un altro ben diverso “bipolarismo”: il campo delle masse lavoratrici, la cui

avanguardia era il PCI, e quello della borghesia (e di altri strati più arretrati del paese) che aveva
il suo baluardo nella DC.
Anche per questo la destra neofascista e similare non ha mai avuto -politicamente- alcuna
importanza, è sempre stata marginale, ignorata o disprezzata dalle grandi masse popolari, isolata.
Non è un caso che certe forze eredi del MSI (o la Lega e i berlusconiani o anche i 5Stelle, parte
dei quali gettano la maschera in questi giorni) hanno avuto un certo seguito (e anche un po’ di
potere) solo dopo la fine del PCI, ovvero di “quel” bipolarismo.
Altro che allearsi col PD per “battere le destre”! Queste sono forti perché la sinistra non riesce ad
essere credibilmente alternativa a questo bipolarismo (dunque anche al PD) e non perché si allea
poco col centrosinistra.
Allo stesso modo, finché è esistito il PCI storico, l’astensionismo è sempre stato molto esiguo e le
masse proletarie hanno sempre avuto un ruolo importante nella lotta politica ed anche elettorale.
Certe forze di sinistra attuali non diventeranno più forti continuando nella subalternità al PD e a
“questo” regime bipolare, perché è proprio da lì che deriva la loro debolezza, anzi il loro
isolamento dalle masse popolari. Se non sono capaci di radicarsi tra i lavoratori e la gioventù, di
crescere in forza, credibilità e seguito senza mendicare posti nel centrosinistra “per battere le
destre”, non si nascondano dietro a Berlinguer e al PCI perché sono ben altre le correnti storiche
da cui discende il loro opportunismo.

2 Comments

  1. Lorenzo Marzullo

    Commento valido con analisi storica puntuale ed ineccepibile

  2. Marco

    Tra meno di un anno ci saranno le elezioni, prima difficile visto l’attaccamento alle poltrone dei “nostri” parlamentari.
    Il P.C.I deve farsi trovare pronto, evidenziandosi proprio su quei principi che per primo Enrico Berlinguer descrisse, ovvero la questione morale e l’ingerenza politica in ogni settore dello stato e della vita degli italiani.
    Valori ignobilmente sfruttati e poi traditi da quella formazione che si definiva antipolitica e antipartitica.
    Saranno anche quelli i voti da riprendersi. E non sarà facile perchè oltretutto ci saranno altri cartelli elettorali con falce e martello atti a creare confusione….

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