Maria Carla Baroni: “canti scelti”

Poesia e lotta politica: l’itinerario di una comunista, di una femminista

di Fosco Giannini

Nella penultima Direzione Nazionale del PCI, alcune settimane fa, a Roma, la compagna Maria Carla Baroni mi mette in mano una busta, un plico e rapidamente se  ne va. E prima poche parole: “Dagli un’occhiata…”. Un’occhiata la do subito: sono sue poesie, “Canti Scelti” il titolo generale della raccolta. La riunione di Direzione sta per iniziare, il Segretario del Partito, il compagno Mauro Alboresi, è già in piedi dietro il tavolo della Presidenza, in mano gli appunti. Mi è impossibile, ora, leggere, ma la curiosità è forte e alcune pagine della raccolta riesco a sfogliarle, un paio di versi riesco a carpirli. E rimango subito preso, colpito. Leggo pochissimo, naturalmente, ma sento che nelle mie mani, in quei versi già ordinati, stampati, rilegati ma che ancora non sono un libro ( spero lo diventi presto, per Maria Carla e soprattutto per chi potrà leggerlo) brulica, ancora silenziosa, molta bellezza.

Il libro lo leggerò tutto, avidamente, in treno, al ritorno a casa dalla Direzione. E’ una scoperta, un inaspettato regalo. Le poesie di Maria Carla hanno la densità della poesia alta, di valore nazionale; il suo linguaggio è nitido, scarno e ancor più che moderno, contemporaneo;  nessuna concessione è fatta alla retorica, alla frase fatta, “al verso fatto”. Il pericolo più grande della poesia ( la messa in campo di parole “poetiche di per sé”, che in  un  riutilizzo sciagurato si trasformano in poveri suoni consunti ) è bellamente evitato, da Maria Carla, attraverso un’azione letteraria potente, che porta le sue parole ad essere legna tagliata con l’accetta. Nei suoi versi  non c’è nulla in più oltre ciò che deve esserci, nessun orpello, nessun ghirigoro ad appesantire la forma, cosicché la sostanza stessa si fa forma: è la negazione della poesia “baritonale”, dell’aulico gratuito ed è con questo linguaggio come un rasoio di Occam che Maria Carla può meglio evocare, rappresentare, il presente reale, scavarci dentro, tirando fuori i suoi rumori profondi, la realtà misconosciuta delle cose.

Daria Menicanti? Alda Merini? Sì, loro ci sono nei versi della Baroni, ma anche Bertolt Brecht e la sua “semplicità che è difficile a farsi”, poiché questa, in sintesi estrema, è la poesia della Baroni: una “sottrazione” continua che porta i versi ad essere pietra squadrata, priva di fronzoli inopportuni, un ciottolo bianco perfetto, d’una levigatura che pare essere semplice, in apparenza, ma proviene chiaramente da tanto lavoro letterario, linguistico, poetico. E tanto studio, tanta lettura: si capisce.

Ma se questo è il linguaggio poetico della Baroni, quali sono i “temi” che con questo linguaggio la Baroni affronta? Posta in questi termini secchi, la questione rischia fortemente la deriva “concettualista”, che tanto male potrebbe fare alla poesia. Ma non alla poesia di Maria Carla, i cui temi sono sì netti, realistici, materiali, “persino” politici e sociali ( però, questo, mai dirlo ai cultori della “poesia per la poesia”, quelli che affermano che la vera poesia è trascendenza, lontananza anche dalla realtà “volgare” delle cose, figuriamoci dalla società e dalla politica!), ma mai “sociologici”, affettati, rimanendo invece, in virtù del linguaggio tagliato come legna, poesia.

La lotta, la lotta di classe, l’amore per la libertà, per la Terra ( quella di tutte e tutti) per l’eguaglianza, l’amore per la terra propria (Milano), il comunismo, l’amore per l’amore: sono questi i temi della poesia della Baroni. E un altro, che diremo alla fine.

Ma che la poesia di Maria Carla parli da sola. E Milano, dunque, e alcune righe di una poesia meravigliosa, “ Vivere a Milano”: “Corsa verso un lavoro/che per molti è solo/ necessità e malattia/ e per altri/ scalare la piramide/dell’organizzazione del lavoro… Vivo in questa mia città/punteggiata/ di fiaccole di cambiamento/lottando per la speranza collettiva/che libererà il lavoro/che dissiperà forse/ questa estraneità/immensa”.

E “ Il fiume Po”, altra Terra e Acqua, elementi concreti, del sentimento profondo, della consapevolezza politica da raccontare: “ Un tempo/in su le rive del lento fiume/ombre d’argento scuro/i pioppeti d’inverno/tra nebbie di un altro argento/Scendevano opulente le acque/nell’antica pianura/figlia del fiume/ Ora il clima è mutato per l’umana follia del profitto/Sono svanite le nebbie/D’estate/quasi svanisce anche il fiume”. C’è Cesare Pavese nelle ultime righe e, in tutte, la consapevolezza che il profitto erode la vita ( e attenzione: nelle righe dove si cita il profitto la forza poetica allontana il pericolo della deriva “saggistica”…).

 Una strofa di “Terra e Sole”:Operare al sindacato/è dissodare/una terra ingrata/compenetrata/con la mia vita/Continuo lanciare semi/senza sapere/se germoglieranno e quando/le messi d’oro del cambiamento”. Non è forse questa la realtà della nostra militanza? Non continuiamo tutte e tutti noi a lanciare semi senza sapere se germoglieranno? Non vedete come le parole messe in fila dalla Baroni estraggono realtà dal buio?

C’è poi l’amore: può forse essere assente in una comunista, in una rivoluzionaria? “ Amo te”: “Amo il profumo/dolcemente aspro/dei tuoi genitali/amo il tuo corpo/ora statuario/ora arrotondato/dalla vita sedentaria/amo il tuo viso/segnato dagli anni/e da un’amara filosofia/ e i tuoi lunghi capelli d’argento/Amo te”. La libertà di usare la parola “genitali” e il coraggio di tentare di rendere poetica l’immagine dell’uomo “arrotondato dalla vita sedentaria”: questa è la poesia.

E l’amore, il grande amore perduto, in alcune righe della poesia “Ad Alessandro Mussi, post mortem” : “Tu/ nei tuoi quadri/nei tuoi libri/nella mia mente/angoscia ricorrente/Accetto la morte: la mia/ quando verrà/Non posso accettare/la tua”.

E come Maria Carla, con poche parole, esatte, ci dice della solitudine di tanti ma, soprattutto, della lontananza algida dei più da tutti gli altri, dal tutto; “ Suicidio nel condominio”: “Sguardo gentile/mesto sorriso/sul balcone a fianco/Ti sei buttato/nudo/dal quinto piano/sei caduto sul cofano di un’auto/poi rimbalzato sul cortile/Poco sangue/non hai sporcato/Ti hanno portato via/La vita ha continuato/nel condominio/come tu non fossi mai stato”.

E un’altra ancora (sono troppe, queste poesie citate? Lo sappiamo: per i canoni soliti  forse stiamo esagerando, ma la bellezza è tanta..). “Fare politica”: Ricompongo/frammenti di vita randagia/tra obiettivi sconfitte piccoli passi/lungo la via della speranza/Sono un punto/di una lunga linea rossa/che si fonde nel sole/della società futura/se mai esisterà”. Attenzione a questo “se mai esisterà”: tutto è profondamente incerto, c’è persino il pericolo che la militanza, la lotta, non portino a nulla. Ma si combatte lo stesso, è un imperativo morale, non solo politico.

E c’è l’antimperialismo consapevole, “rarissima avis”, ormai di questi tempi: “La Guerra del Golfo”: “ Per liberare il petrolio degli emiri/le armate Usa hanno lasciato/una terra di pozzi brucianti/l’aria annerita di fiumi/un grande fiume inquinato e morente/e trecentomila morti”. “I trecentomila morti”, col loro apparire improvviso nel verso, sono la sorpresa sanguinosa della realtà, spaventosa come la morte imperialista.

Ma avevamo detto sopra che c’è “un altro tema”, il tema principe di Maria Carla Baroni, che segna la sua lotta e la sua stessa vita, politica, intellettuale e artistica: la lotta delle donne, la lotta per la liberazione delle donne.

“Prendiamoci cura” : Dal nascere del tempo umano/noi donne/abbiamo cura dei nostri ripari/dalle grotte alle palafitte/alle villette a schiera/ alle case urbane in lunghe file/Ora è tempo/di aprire lo sguardo e la visione/di mente desiderio amore/e politico agire/Prendiamoci cura della città/da trasmutare/in grande casa comune/da aggregato di spazi/a rete di luoghi di vita/Prendiamoci cura del bel pianeta/sfregiato e morente/casa di tutte le specie viventi”. Trovo questi versi d’una toccante bellezza: le donne che hanno accudito gli uomini e i figli sono ora chiamate, dalla loro stessa liberazione, ad accudire il mondo, perché esso non muoia e perché gli uomini non sanno farlo.

La lettura delle poesie della Baroni emoziona e induce a riflettere. Una riflessione su tutte (a partire dall’impegno strenuo di Maria Carla volto a far si che anche tra noi, anche tra i comunisti, si imponga la “questione femminile”)  è quella della condizione reale delle donne nella realtà sociale e della condizione delle compagne all’interno delle organizzazioni di sinistra e comuniste,  una questione, dobbiamo dircelo con chiarezza, ancora troppo sottovalutata, non sentita dalla stragrande maggioranza di dirigenti e militanti maschili, anche del PCI. Una questione negletta. Troppo spesso ho visto Maria Carla intervenire, nei gruppi dirigenti, in Comitato Centrale, ponendo ostinatamente tale questione. Spesso nella disattenzione, a volte persino nel fastidio malcelato di alcuni.

Eppure, è del tutto evidente che se le questioni “dell’altra metà del cielo”, dell’altra metà dell’umanità, dell’altra metà del movimento operaio complessivo non prenderanno corpo tra noi comunisti per quanto esse sono  oggettivamente corpose, tutti noi, la sinistra, i comunisti, il PCI, saremo molto più poveri, culturalmente, politicamente, strategicamente.

La riflessione delle donne sulle donne e sull’intero mondo è stata, nelle ultime fasi storiche, filosoficamente e politicamente ricchissima, ma a questa ricchezza hanno potuto accedere solo alcune avanguardie, femminili e maschili, mentre la gran parte del movimento operaio, organizzato o meno, non ne ha potuto godere, non ha potuto crescere con essa.

Parliamo della spinta culturale e liberatrice di stampo liberal-democratico, quella che si avvia con la Rivoluzione francese, prende corpo con la rivoluzione industriale inglese ed è possibile rappresentare, ad esempio, con l’opera al femminile di Virginia Wolf ( quanti compagni hanno letto, e ancor più assunto,  “Una stanza tutta per sé”, o “ Le tre ghinee”, della Wolfe?). Questa spinta persegue la conquista, da parte delle donne,  dei diritti, politici e civili, che gli uomini hanno già, ma inizia a porre anche la questione femminile nella sua specificità. Ebbene, questa spinta culturale liberal-democratica non trova certo grande attenzione da parte del movimento operaio complessivo e delle sue stesse organizzazioni politiche.

Vi è poi la grande spinta socialista, per ciò che riguarda, “la questione femminile”, che parte da Saint-Simon, Fourier e trova i suoi punti alti in Engels, Lenin, in Clara Zetkin, nell’Aleksandra Kollontaj. E’, questa, una spinta di ben più alta densità rivoluzionaria di quella liberal-democratica; questa spinta marxista-engelsiana, questa spinta delle donne, delle intellettuali comuniste, non punta solo alla rivendicazione dei diritti civili liberal-borghesi, ma colloca la questione femminile nella materialità dello scontro di classe. Eppure anche questo tipo di spinta non penetra a fondo nel movimento operaio, nelle sue organizzazioni e nei partiti comunisti stessi, coevi e successivi alla Rivoluzione d’Ottobre.

Più vicini ai nostri giorni, prendono corpo le spinte femministe trainate dall’esistenzialismo ( la Beauvoir de “ Il secondo sesso”,del 1949); quelle di orientamento psicanalitico ( Mitchell, Millet, Daly, Friedan, la Luce Irigaray di “Speculum. L’altra donna”). Soprattutto la Irigaray porrà la questione della “differenza”, affermando che da Platone a Freud il pensiero è stato tutto al maschile e in questo pensiero alla donna è stata negata ogni autonomia: filosofica, politica, sociale, sessuale. Forse ultima in ordine di tempo la questione femminile dal punto di vista del sistema linguistico ( Irigaray, Cixous, Kristeva): questa spinta, culturale e politica, pone un problema: tutto il sistema linguistico, l’intero apparato semantico generale ( dal discorso quotidiano al discorso politico, dal discorso scientifico a quello artistico-letterario) è al maschile e le donne sono private dei mezzi per esprimersi, sia sul piano personale che nella lotta generale, su più vasta scala.

Nulla, di tutto ciò, è penetrato, si è sedimentato davvero nella cultura, nel senso comune del movimento operaio complessivo, nelle sue organizzazioni, nel suo dibattito generale ( se non per sprazzi e in aree numericamente non rilevanti). Non tanto perché questi pensieri (esistenzialisti, psicanalisti, linguistici) dovessero segnare totalmente di sé la cultura proletaria, ma perché essa ne fosse attraversata e dunque arricchita.

La non felice condizione, l’inclinazione fortemente al maschile, della cultura proletaria e delle sue attuali organizzazioni politiche, anche quelle più avanzate, proviene, dunque, da antichi problemi. La questione femminile, oggi più che mai, non caratterizza, come sarebbe necessario, nemmeno il Partito Comunista Italiano, il nostro Partito. Tale questione l’assumiamo nei documenti ma non ne siamo segnati nel pensare e nell’agire.

Possiamo spiegarci, da ciò, la disattenzione e persino l’insofferenza di alcuni (o di più?)  uomini del  Comitato Centrale e della Direzione Nazionale quando interviene la compagna Maria Carla Baroni.

Vorremmo che questa sua meravigliosa raccolta di poesie servisse, almeno un poco, a far si che l’attenzione nei confronti della questione – centrale- della liberazione femminile e del ruolo delle compagne nel Partito si elevasse.

D’accordo con Maria Carla Baroni vi lasciamo il suo indirizzo di posta elettronica, cosicché, se qualcuna/o volesse leggere i suoi “ Canti Scelti” potrà riceverli per mail: mariacarla.baroni@tiscalinet.it

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