IL PCI A CAGLIARI. Le relazioni del convegno: IL POLIGONO DELLA MORTE SALTO DI QUIRRA

Pubblichiamo l’intervento di MARIELLA CAO – Comitato Sardo “Gettiamo le Basi”- al convegno del PCI a Cagliari dello scorso 7 Ottobre, ‘Fuori l’Italia dalla NATO’.

Quirra, una manciata di modeste case rurali sparse in una vallata racchiusa tra un aspro altopiano di selvaggia bellezza e un’ampia spiaggia da incanto, greggi al pascolo, vigneti, orti, aranceti. Un eden sconvolto da inquietanti presenze aliene: postazioni radar occupano le cime dei rilievi, il filo spinato ferisce la spiaggia, esplosioni e rombi di missili fanno tremare la terra.

Quirra si trova lungo la strada orientale di collegamento sud/nord Sardegna nel varco lasciato aperto dal Pisq (Poligono missilistico sperimentale Interforze Salto di Quirra), “il gioiello della Corona” come amano definirlo i generali, il poligono terrestre, aereo e marittimo più grande d’Europa (kmq 130 a terra, a mare una sola delle zone sottoposte a schiavitù militare con i suoi 28.400 kmq supera la superficie dell’intera Sardegna). Si articola nel poligono a mare di Capo San Lorenzo e di Perdasdefogu sull’altopiano.

Il poligono, come indica bene il termine inglese bombing test range e lo spagnolo campo de bombardeo, è adibito a manovre di guerra life fire (a fuoco vivo, con vero munizionamento da guerra), sperimentazioni, collaudo di armamenti, esercitazioni delle truppe Nato e extra Nato. E’ a disposizione delle imprese private produttrici di sistemi d’arma al prezzo di un milione e duecentomila euro al giorno (ultimo prezzo reso noto nel 2003, però parrebbe fermo a quello richiesto negli anni ’70). Considerato che i clienti abituali (Oerlikon-Contraves, Aerospatiale, Finmeccanica, Alenia, Oto Melara, Iveco ecc.) sono in media tre per volta, il “reddito minimo garantito” sarebbe di tremilioniseicentomila euro al giorno, un fiume di denaro che non transita in Sardegna.

Nel Salto di Quirra si muore di “sindrome Golfo-Balcani”, gli animali nascono con terribili alterazioni genetiche come i bambini di Escalaplano, paese confinante con il lato ovest del Pisq.

Indagine dei veterinari. La strage interminabile – denunciata e monitorata ininterrottamente, dal 2001, dai comitati spontanei di base e dalla stampa sarda, ignorata da “quelli che contano” – diventa visibile anche fuori dall’isola nel gennaio 2011 grazie alla fuga da cassetti blindati dell’indagine anamnestica dei veterinari delle ASL e al suo approdo in internet e nei PC di alcuni giornalisti. Lo studio esamina i ventuno allevamenti stanziali di ovini, rileva “l’insorgere contemporaneo di problematiche genetiche (malformazione) negli animali e gravi malattie tumorali nelle persone che si occupano della conduzione degli allevamenti intorno alla zona perimetrale della base militare di Capo San Lorenzo nei territori di Quirra”, documenta le percentuali da campo di sterminio: ll 65% del personale, impegnato con la conduzione degli animali negli allevamenti ubicati entro il raggio di 2,7 km dalla Base militare di Capo San Lorenzo, risulta colpito da gravi patologie tumorali. Gli allevamenti interessati sono sette su un totale di dodici. Nel decennio 2000-2010, sono dieci le persone che risultano colpite da neoplasie tumorali su un totale di diciotto. Si evidenzia una tendenza all’incremento, negli ultimi due anni 2009-2010 sono quattro i nuovi casi”. Nelle nove aziende oltre i 2,7 km il tasso tocca il 30%.  

I numeri crudi con il timbro di ufficialità delle Asl squarciano il muro di silenzio, mettono a nudo il cuore del problema: la compatibilità del poligono della morte con il rispetto del bene ambiente, con il diritto della popolazione alla vita, alla salute, all’uso sostenibile delle risorse, al controllo democratico del territorio. Trova ascolto la voce dei senza voce che da anni reclama l’unica misura razionale possibile, fondata sulla prassi quotidiana e imposta dalle norme nazionali e internazionali: sospensione delle attività militari almeno per il tempo necessario per individuare gli agenti killer e provvedere alla bonifica (molto più ardua da conquistare rispetto alla chiusura tout court di un poligono, i tempi standard sono di 15/30 anni e i costi conseguenti).

Il procuratore di Lanusei, Domenico Fiordalisi, apre subito un’inchiesta per omicidio plurimo con dolo, violazioni ambientali, omissione di atti d’ufficio per mancati controlli, uso e detenzione illegale di armi da guerra. Il primo atto è senza precedenti, sequestra i carri armati bersaglio di tiri a fuoco vivo e il pezzo di poligono in cui sono situati. Il Procuratore rafforza il segnale inequivocabile di volontà di fare luce sui troppi misteri e le troppe anomalie del Pisq, si rivolge direttamente alla popolazione per acquisire informazioni e la popolazione risponde all’appello. Nell’arco di alcuni giorni la squadra della Procura individua e sequestra due discariche abusive di materiale bellico; acquisisce i dossier fotografici dei sub che documentano lo scempio del mare; guidata dai pescatori recupera un missile inesploso carico di tritolo abbandonato da anni nel fondale, per la prima volta trova ascolto e conferma la cronica e inascoltata denuncia dei pescatori di un mare discarica di guerra dove si pescano più missili che pesci; su segnalazione di due ex militari scopre nei magazzini del Pisq, prima cinque, poi dieci casse ad alta radioattività depositate in totale violazione delle norme di legge, dei regolamenti militari e delle procedure Nato, l’esame rileva uranio 238, trizio e radio 226, di gran lunga più pericoloso dell’uranio. Altro materiale radioattivo viene fuori dai depositi delle imprese private “inquiline” del poligono. Ritrovamenti e sequestri si susseguono a ritmo serrato. Il Procuratore, pezzo dopo pezzo, mette sotto sequestro il poligono pattumiera, investe le imprese dei signori delle armi, acquisisce la documentazione delle attività di forze armate e clienti del Pisq finora protetti dal doppio segreto militare e industriale.

La caduta del tabù sullo scempio ambientale e sanitario impone l’urgenza di un intervento, di una scelta chiara, aperta, pubblicamente discussa. 

Le Autorità competenti militari e civili (Stati maggiori, ministri della Difesa, sindaci, Regione, parlamentari, ministri, Asl, sindacati, grosse organizzazioni “ambientaliste” ecc.) la scelta l’hanno fatta da sempre in gran riserbo, l’hanno portata avanti con la politica delle tre scimmie del “non vedo, non sento, non parlo”. Di colpo vedono crollarsi addosso il rifugio del muro di gomma e si arrabattano per rappezzarlo, si affannano a conciliare l’inconciliabile, trovare la quadratura del cerchio, da una parte non scontentare i poteri forti intoccabili, l’apparato militare-industriale, dall’altra non alienarsi il popolo sardo che sente suoi i bambini di Escalaplano e i morti di Quirra, vive sulla sua pelle lo stupro della sua terra.

I più beceri si spendono con zelo per demolire l’indagine dei veterinari, profetizzare il buco nell’acqua della Procura, minimizzare, contrapporre il “superore interesse” economico della Sardegna di non spaventare turisti e compratori delle sue merci, difendere i “tantissimi” posti di lavoro offerti dal poligono della morte (316, rapportati al territorio occupato dal Pisq sono 2,4 occupati a kmq, considerando anche il mare asservito 1 su 90 kmq). Alcuni non trattengono la voglia di bavaglio, non risparmiano insulti e minacce agli “allarmisti” e alla stampa, intimano: “Il poligono non si tocca!”. La guerra “umanitaria e democratica” in corso di massacro della Libia offre “nuove” argomentazioni fotocopia di quelle usate per sedarci sfruttando tutte le ultime guerre (obblighi internazionali, insostituibilità delle basi militari ecc.).

I più scafati tentano di cavalcare l’onda, si ammantano di auspici di verità, affermano di condividere l’angoscia di popolo, si attivano per placare e dirottare l’indignazione montante, invitano ad aspettare i risultati definitivi del monitoraggio truffa in corso da tre anni, propongono “nuovi obiettivi” conquistati da tempo dalla lotta di popolo e “svolte radicali” che riportano indietro.                                               

Flash back

Per inquadrare l’attuale pullulare di “nuove soluzioni” gattopardesche s’impone un passo indietro.

La sindrome di Quirra. Nell’ormai lontano 2001 un medico di base e il sindaco-oncologo di Villaputzu rendono noto il cluster  agghiacciante di leucemie e linfomi nella  frazione di Quirra (ad oggi 21 persone colpite su neanche 150 abitanti*). Chiedono accertamenti, arriva solo una viscida risposta obliqua, il sindaco è condannato a otto mesi. Indagini dal basso e inchieste giornalistiche portano alla luce l’orrore degli animali deformi, documentano il dramma di Escalaplano (2.500 abitanti, 14 bambini con gravi alterazioni genetiche), dei militari (24 le vittime note), delle 23 persone legate al Pisq da un filo rosso (mogli e figli di militari, dipendenti di ditte che operano nel Pisq, agricoltori, pastori che lavorano dentro o nelle adiacenze del poligono). Nel raggio di un centinaio di chilometri non c’è ombra d’impianto industriale. La fonte patogena ha la forza dell’evidenza. Si coglie con immediatezza che la sindrome Golfo-Balcani che colpisce i militari inviati allo sbaraglio nei teatri di guerra e le patologie che flagellano non solo nell’area del Pisq ma anche i tre grandi poli militari dell’isola (Teulada, Decimomannu-Capo Frasca, La Maddalena) sono un tutt’uno, hanno la stessa causa, l’inquinamento bellico, non solo uranio ma anche sperimentazioni di sconosciute nuove armi di sterminio, radiazioni elettromagnetiche di radar, sistemi missile antimissile, giochi di guerra elettronica, sostanze nocive e tossiche rovesciate dalle “armi convenzionali, torio, amianto, fosforo bianco, tnt, piombo, arsenico, fosforo bianco ecc. ecc. L’intuizione popolare è confermata pochi anni dopo da studi scientifici “non embedded”. La ricercatrice M.Antonietta Gatti riscontra nei tessuti dei malati e degli animali deformi di Quirra le stesse nanoparticelle di metalli pesanti, inesistenti in natura, individuate nei tessuti dei militari che hanno contrato la sindrome Golfo-Balcani nei teatri di guerra.

La scienza-pretesto-narcotico. Per dieci anni le autorità “competenti”, fatte salve pochissime eccezioni, negano l’evidenza o fingono d’ignorarla. Per contenere e dirottare la pressione popolare ricorrono al vecchio ben collaudato espediente dell’indagine “scientifica” infinita mirata a NON TROVARE quello che si vuole non trovare, lasciare immutata la situazione e mano libera ai poteri forti e ai loro business di morte (si pensi alla diatriba “scientifica” tirata per mezzo secolo sull’amianto e sulla silicosi, si pensi alla questione elettromagnetismo, OGM, clima, centrali nucleari ecc). Il meccanismo è semplice, si finanziano ricerche compiacenti e si tagliano i fondi a ricerche indipendenti e scomode.

Per dieci anni la scienza embedded sforna “verità” e individua i più inverosimili fattori di rischio atti a depistare l’attenzione dal “ gioiello della Corona”, o “gallina dalle uova d’oro” se si considera il business degli affitti.

La Regione Sardegna (giunta di centrosinistra) con l’indagine epidemiologica del 2005(www.regionesardegna.it) riesce a normalizzare lo scempio sanitario spalmando i morti di Quirra su 26.131 abitanti di dieci Comuni e scova i killer  nella fantageografia e fantasociologia (urbanizzazione, benessere, miglioramenti diagnostici, tinture per capelli, miniere abbandonate ecc).

Il popolo sardo non si fa irretire e non si fa piegare da denigrazioni, campagne infamanti, minacce, denunce, processi.

Commissioni Parlamentari d’Inchiesta. L’ostinata lotta dal basso di famiglie, associazioni di militari e comitati antimilitaristi della Sardegna, sorretta solo da pochissimi parlamentari (non sardi!) strappa l’istituzione della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sull’uranio impoverito (2005), blocca i ripetuti tentativi di affossarla, estende il raggio d’azione alle popolazioni uccise da poligono. La relazione finale della seconda Commissione (2/2/2008) pone fine alla depistante diatriba sul nesso causa-effetto tra uranio/inquinamento bellico e sindrome Golfo-Balcani-Quirra, rileva l’impossibilità, sia di dimostrare, sia di escludere, il nesso causa effetto sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, afferma il nesso di probabilità e il principio di cautela, prende atto del “dato inoppugnabile” dei morti e dei malati, di conseguenza rovescia sul ministro della Difesa l’onere della prova e il dovere di risarcire le vittime. Il punto rilevante è il riconoscimento della responsabilità della Difesa .                                

“Nuove radicali soluzioni”. Il rumore delle frane nel muro di segreti, omertà, paura e rassegnazione che protegge il Pisq arriva nelle alte sfere. I furbetti in Parlamento trovano l’accordo bipartisan (23/2/2011): promettono di chiudere il Pisq “qualora risultasse un collegamento tra le attività militari e l’incidenza di tumori”, invitano a pazientare, ad attendere i risultati del monitoraggio in corso, annunciano nuove puntate della telenovela “scienza-pretesto-placebo” ormai appetibile mangiatoia di pubblico denaro. Compiaciuti sbandierano la “svolta significativa” simile a quella dell’asino alla macina, la regressione nella dimostrazione impossibile del nesso causa effetto. In sostanza si ribadisce la volontà bipartisan di persistere nell’illegalità calpestando il principio di precauzione, regole, priorità e iter imposti dalle norme. Si rinnova al Pisq la licenza di uccidere.

L’indecente dietro front del PD sulla richiesta di moratoria alle attività del poligono mette a nudo l’uso strumentale e demagogico dell’unica proposta valida seppure annacquata, limitata al tempo, ridicolmente insufficiente, di tre mesi di stop alle attività di guerra. Alcune anime misericordiose, la deputata sarda Amalia Schirru in testa, propongono la messa in sicurezza dell’area: l’espulsione immediata dei pastori. Facile prevedere che la deportazione sarà estesa ai pescatori, agli agricoltori e via allargando.

Un leader dei Verdi arriva a chiedere l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta. La terza Commissione parlamentare, purtroppo, è già al lavoro e dà chiari segni di volontà politica di assolvere Difesa, Stati Maggiori, armi di sterminio e poligoni avvalorando le teorie del consulente scientifico che ha scelto, prof. Franco Nobile, che da tempo individua cause e concause della sindrome Golfo-Balcani in vaccini e costumi patogeni dei soldati come l’uso di zampironi e insetticidi, cellulari, fumo, alcool ecc. (“Prevenzione oncologica nei reduci dei Balcani” pag. 41).

 La Regione Sardegna tace ma nell’isola è un fiorire di proposte di studi e autocandidature a guidare “task force scientifiche”. L’opzione più gettonata è l’indagine epidemiologica, sarebbe la quarta!

Legambiente indica l’obiettivo prioritario: l’onere della prova deve gravare sull’Amministrazione Difesa. Incredibilmente ignora che il “nuovo” obiettivo è già stato conseguito e i ministri della Difesa (Parisi, La Russa) sono corsi ai ripari a velocità lampo rifugiandosi con scarsa fantasia nel solito escamotage della scienza pretesto.

Il Piano di monitoraggio ambientale è la puntata N°8 dal costo di 2,5 milioni di euro dell’indagine “scientifica” infinita apparecchiata in tutta fretta da ministro della Difesa e Forze Armate appena si è avuto sentore dei risultati della seconda Commissione Parlamentare d’Inchiesta. Dal risultato degli studi, che invece vanno a rilento, dovrebbe dipendere la chiusura del Pisq, stando all’impegno del Senato.

Il Piano ministeriale-militare, propagandato come “operazione trasparenza e verità”, è un esempio da manuale di conflitto d’interessi, sperpero/dirottamento di denaro pubblico.

Forze Armate, Ministero della Difesa e Nato mantengono saldo l’inossidabile doppio ruolo di controllore e controllato, giudice e parte in causa. Con inqualificabile arroganza o ingenuo candore dichiarano l’obiettivo del Piano: “Tranquillizzare (alias sedare, narcotizzare) la popolazione locale, nonché il personale del Pisq”, “acquisire la Certificazione ambientale”, cioè dimostrare che non c’è traccia di contaminazione, quindi, eludere l’obbligo di risarcire le vittime e soprattutto le responsabilità penali. Sparisce di conseguenza l’indagine sanitaria, imposta dalla finanziaria ‘07 che ha stanziato i 2,5 milioni, ribadita nei decreti ministeriali di avvio dell’operazione. Non bisogna vedere i morti, i malati, i malformati! Sparisce il ministro dell’Ambiente codestinatario dei fondi, la Difesa arraffa tutto e la Nato gestisce.

Il cosiddetto monitoraggio è sostanzialmente un piano d’acquisto di costosi strumenti tecnologici e connessi servizi di collaudo di esame ambientale. L’appalto è gestito “in famiglia” dalla Namsa, un’agenzia Nato. La Provvidenza ha voluto che la ditta vincitrice del lotto più nevralgico sia una partecipata Fiat, inquilina fissa del Pisq per mezzo secolo, presumibile corresponsabile della contaminazione “da dimostrare”.

L’impresentabile paternità del Piano con spudorata, metodica insistenza è attribuita alle Autorità locali (grate di cotanto onore) inserite nel Comitato Territoriale d’Indirizzo Politico, CTIP, e alla Commissione Tecnica Mista di Esperti, CTME.

Il CTIP – nominato dal ministro, presieduto dai vertici militari, composto da alcuni gradi intermedi, le due Provincie, le due Asl del territorio, alcuni sindaci e persino dal comitato antimilitarista Gettiamo le Basi – è confinato alla possibilità di esprimere osservazioni sul piano preconfezionato, ovviamente di mero dettaglio e scarso ascolto. La funzione oggettiva di specchietto per allodole è lampante fin dalla seconda riunione.

La CTME – composta da quattro civili “senza oneri per la Difesa” privi dell’indispensabile strumentazione tecnica e di supporti finanziari, nominata a cose fatte, ad appalto andato in porto, senza possibilità d’intervento sostanziale su metodologie, tecniche, strumenti stabiliti dai contratti stipulati dalla Nato – dovrebbe validare forniture e servizi delle cinque ditte che si sono aggiudicate l’appalto, però, imprevedibilmente, la componente civile si scrolla il ruolo di notaio compiacente. La patata bollente è raccolta dall’ARPAS, l’agglomerato di pezzi e funzionari delle Asl responsabili di 50 anni di mancati controlli, sponsor delle più cervellotiche teorie “scientifiche” salvabasimilitari, dall’asineria dell’arsenico killer di Quirra (Asl 8) alle alghe insaziabili mangiatrici del torio radioattivo “naturale” dell’arcipelago maddalenino, base atomica Usa fino al 2008 (Asl 1).

Entrare nel merito dei contenuti, della metodologia di ricerca richiede un’esposizione lunga e complessa, però un dettaglio può dare un’idea della qualità e serietà della ricerca: nei 130 kmq del Pisq si cerca “la verità” in 5 funghi, 7 vermi, 71 licheni (evviva l’abbondanza!) “raccolti in un’area incontaminata” e portati in villeggiatura in poligono per 240 giorni; nei kmq 28.400 di mare militare si analizzano 9 cozze villeggianti, la loro vacanza è durata solo due, tre mesi.

Lo scorso primo febbraio le ditte hanno offerto un’anteprima dei risultati, “ovviamente” è stata censurata l’indagine dei veterinari inserita nel Piano da una parte della componente civile con una sorta di blitz. Come da copione si dimostra al pubblico di bocca buona che il poligono della morte è un gioiellino ecologico. La  dispendiosa sceneggiata è stata un flop.

L’aut aut. La questione Quirra, apparentemente complessa, diventa semplice e lineare se la si priva di orpelli e incrostazioni. Tempo fa, quando incominciava ad emergere la strage, un pastore ha analizzato la situazione con lucido, sconvolgente realismo: “Ho la leucemia, mi restano pochi mesi o anni di vita, l’ho accettato. Denunciare, combattere non serve. A nessuno importa di noi, siamo pochi e non contiamo nulla, loro sono potenti, qui meno siamo meglio è per loro”.

Noi ci ostiniamo a contrapporre al pessimismo della ragione l’ottimismo della volontà. Ci ostiniamo a credere che il popolo sardo saprà rompere l’atavica rassegnazione e indirizzare le sue energie per liberare la sua terra dalle basi dove si annida e si alleva il mostro guerra che ci uccide e si avventa sempre più famelico contro i popoli dell’area del petrolio. Crediamo che liberando noi stessi possiamo contribuire alla lotta dell’Umanità per spezzare gli artigli del mostro, per relegare nel museo degli orrori le barbare guerre di rapina sedicenti umanitarie e democratiche.  

 * 86 stando alle cifra  ufficiale  fornite dal Comune dopo il recente scorporo dei dati anagrafici tra residenti nel paese e residenti nelle due frazioni di Quirra e Brecca  

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