PRIMO COMPITO: RICOSTRUIRE UN’OPPOSIZIONE DI CLASSE E DI MASSA

di Fosco Giannini, segreteria nazionale PCI – responsabile dipartimento esteri

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Ogni analisi politica, ed ogni proposta di linea politica, non può che prendere corpo e svilupparsi dalla base materiale per eccellenza: il reale stato delle cose sul piano sociale generale. Da qui, dunque, dal quadro sociale, partiamo per dare un contributo alla definizione dei compiti, oggi in Italia, dei comunisti e della sinistra antiliberista e anticapitalista. I dati sociali sono in gran parte già conosciuti, ma il loro assemblaggio, la loro rievocazione nei termini di una lettura unitaria possono più facilmente mettere ordine alla riflessione politica. Cominciamo dalla questione, centrale, quella del lavoro: i disoccupati, in Italia, sono circa 3 milioni e 300 mila ( 12, 4 %); i precari 3 milioni e 400 mila, con un reddito medio di 830 euro al mese ( medio, poiché anche nell’area della precarizzazione vi sono discrepanze significative e, una per tutte, è quella rappresentata dal salario medio del lavoratore precario al nord d’Italia – che può arrivare anche attorno ai mille euro – da quello del sud, che può abbassarsi ai 400 euro); gli inoccupati, cioè coloro che sono sempre stati senza lavoro, sino ai 25 anni, sono circa 2 milioni; gli “scoraggiati” – coloro, cioè, che il lavoro hanno persino rinunciato a cercarlo – sono circa 1 milione e 500 mila; tra i giovani – peggior dato dal 1977 – i senza lavoro sono ormai quasi il 50%.

Il salario medio degli occupati non supera di molto i mille euro, e ciò a fronte di un’analisi scientifica ( portata avanti da “Il Sole 24 Ore”, il giornale della Confindustria, non l’ “organo del Partito Comunista”) che dimostra come la spesa mensile necessaria, e minima, per la sopravvivenza di una famiglia media italiana con due figli s’aggiri attorno ai 2.400 euro, 80 euro al giorno considerato, nella media, tutto: mutuo per la casa, spesa, bollette, auto, ecc… Un impiegato delle Poste di livello medio ( dopo trent’anni di lavoro) giunge più o meno ai 1.200 euro; un infermiere della Sanità Pubblica a 1.300 euro; un operaio dei Cantieri Navali a 1.200 euro; una maestra elementare a poco più di mille e cento euro. Il salario medio italiano è precipitato, sotto l’egemonia nefasta dell’Euro e nell’assenza di lotte sindacali all’altezza dell’attacco di classe contro i lavoratori, a livello di vent’anni fa. E cioè: di fronte al lievitare del caro vita indotto in buona parte dall’Euro, di fronte ad un aumento, rispetto a vent’anni fa, del 40% circa della media del costo delle merci e dei servizi essenziali, il valore del salario medio è tornato ad essere quello degli anni ’80. Il valore medio delle pensioni, nel giro di vent’anni, è sceso di circa il 30%. L’assenza del lavoro ed il progressivo prosciugamento del valore del salario e delle pensioni hanno prodotto un’immensa area di povertà, simile, per molti versi, alle aree di povertà dell’Italia delle due fasi post-belliche mondiali. Oggi, 4 milioni di persone, in Italia, conoscono la fame; circa 600 mila versano in uno stato di “bisogno estremo”; 1.500 famiglie sono nella povertà assoluta; circa 100 mila persone vivono in strada. Sotto i colpi iper liberisti dell’Unione europea e dei governi italiani ad essa succubi, lo stato sociale italiano, negli ultimi vent’anni, è crollato, per ciò che riguarda il livello generale dei servizi, di circa il 40%. 11 milioni di italiani, oggi, rinunciano alle cure sanitarie, per via dei ticket troppo alti e delle lunghissime liste d’attesa e il prodotto di questa rinuncia è che solo un milione, di questi 11 (i più ricchi), ce la fa a scegliere l’assistenza privata. Nei luoghi di lavoro, specie quelli dell’industria pesante, della siderurgia, della cantieristica navale, della produzione di automobili, si è insediato, già da un ventennio, il modello “toyotista” di produzione: ritmi scientificamente accelerati che – assieme ai nuovi mezzi di produzione – innalzano il plus valore medio estratto da un’ora di lavoro di circa il 30% rispetto a due decenni orsono, comprimendo e riportando invece, e incredibilmente, il salario, come abbiamo visto, a quello degli anni’80! L’accelerazione “toyotista” dei ritmi produttivi – assieme al ritorno ad uno sfruttamento della forza lavoro che ricorda la fase dell’accumulazione originaria del capitale: pensiamo ai lavoratori immigrati nell’edilizia e nelle campagne o ai giovani, anche italiani, in molte, “nuove” aziende – hanno innalzato del 30% gli incidenti sul lavoro e, solo sino a questo settembre 2016 , i morti, nell’ambito della produzione, sono stati 475. A fronte del processo di sottosalarizzazione di massa, della disoccupazione, del disagio e della povertà di massa, va speditamente avanti il processo di concentrazione in poche mani della ricchezza nazionale: l’1% delle famiglie italiane detiene il 15% circa dell’intera ricchezza , mentre il 40% delle famiglie più povere ne detiene solamente il 4,9%; la concentrazione capitalistica generale ( quella che si è estesa dall’industria sino alle catene di distribuzione delle merci) è salita , negli ultimi 30 anni, del 35/40%, a fronte della disgregazione, sino alla sparizione, della piccola produzione industriale e artigianale e alla sconfitta storica della piccola distribuzione di merci. Questo processo monopolistico ha gettato nella disoccupazione e nell’emarginazione sociale almeno 2 milioni e mezzo di persone. Gran parte della borghesia italiana, per molti versi ancora “gramscianamente” stracciona, ha rinunciato a priori ad avere un ruolo nella concorrenza internazionale, rinunciando conseguentemente ad investire su ricerca, tecnologia, cultura e lavoro, ritagliandosi così il ruolo di “borghesia compradora”, capace solamente di importare merci e rivenderle sul mercato interno, senza più produrle e senza più puntare alla conquista dei mercati interni e mondiali. Questo processo – su basi materiali – di una “sudamericanizzazione” dell’Italia ha contribuito pienamente ad un peggioramento, ad un’ulteriore caduta del livello etico del quadro economico-politico generale: l’evasione fiscale ha raggiunto, quest’anno, circa 250 miliardi di euro; le mafie hanno eroso allo Stato e alla potenziale spesa sociale circa il 20% della ricchezza generale; il debito pubblico è giunto ai 2.250 miliardi di euro, ed è un debito – contrariamente a ciò che i governi e le classi dominanti affermano – in gran parte dovuto alla stessa, tollerata, evasione fiscale dei potentati economici e finanziari capitalistici, alle spese militari e all’ingente e continuo spostamento di ricchezza dallo Stato ai privati. Le spese per il solo sostentamento dei circa 70 mila militari (soldati e ufficiali) USA in Italia corrisponde a 400 milioni di dollari l’anno e la spesa militare quotidiana complessiva italiana – in gran parte trainata dal riarmo continuo, dalla cogestione delle 1.300 basi NATO e USA nel territorio nazionale e dalla partecipazione alle guerre imperialiste – è di circa 80 milioni di euro al giorno!

Tutto ciò ratifica che in Italia siamo di fronte ad una gigantesca questione di classe, ad un attacco di classe contro il movimento operaio complessivo di proporzioni storiche, di fronte ad un attacco di classe contro il quale non c’è un’adeguata risposta, né una preparazione ad essa. Siamo di fronte ad una lotta di classe condotta solo dai padroni, dalla borghesia italiana e dall’Unione europea. Una lotta portata contro i lavoratori e contro gli assetti democratici ( a partire dalla svolta autoritaria contenuta nella controriforma elettorale) di così grave entità da escludere, come risposta, ogni scorciatoia e deriva politicista, tatticista e istituzionalista; da escludere ogni ambigua “politica delle alleanze” di natura codina e moderata, ma che contempli, come questione prioritaria, la centralità della lotta e del contrattacco di classe.

La risposta del movimento operaio complessivo all’attacco in atto, la risposta dei comunisti e della sinistra di classe non potrà delinearsi che attraverso la lettura sinergica tra quadro sociale e politico vigente. Abbiamo già visto – in grandissime linee – qual è il quadro sociale. In grandissime linee delineiamo ora quello politico.

Per comprendere il quadro politico non si può non partire da un dato oggettivo: la Democrazia Cristiana aveva costruito in Italia, dal dopoguerra e per oltre un quarantennio, un vero e proprio ordine: politico, economico, sociale, culturale, istituzionale. Un ordine di natura conservatrice che la grandezza del PCI e della CGIL spostavano a sinistra. Un ordine che, una volta crollato con la scomparsa stessa della DC, non è stato più sostituito da nessun altro ordine, al posto del quale vige da decenni una lunga e confusa transizione, un vuoto politico. Un vuoto mai colmato, né dalle vittorie di Berlusconi né da quelle del centro-sinistra, esperienze certo ben diverse tra loro, ma politicamente deboli e culturalmente ambigue, prive comunque di quella densità strategica capace di costruire un ordine nuovo di lunga durata.

Ma vi è un punto: l’esigenza dell’Ue di imporsi e radicarsi anche in Italia, di esportare anche nel nostro Paese la linea ultraliberista di Maastricht, non può prevedere né un vuoto politico, né una lunga e confusa transizione né – soprattutto – la mancanza di un ordine politico funzionale alla “germanizzazione” dell’Italia, al comando di Berlino e della Banca Centrale Europea su Roma.

Ed è a partire da questo assunto che va decodificata – sul piano strutturale – la svolta “renziana” imposta sul PD e sull’intera sinistra moderata italiana: l’Ue, alla lunga, non ha trovato il proprio sicuro partito di riferimento, in Italia, né in Forza Italia né nell’Ulivo, né nel “berlusconismo” né nel centro-sinistra. Lo cerca nel “PDR”, nel PD di Renzi. E’ il PD di Renzi che si candida a svolgere il ruolo di Partito dell’Ue ( e degli Usa, e della NATO) in Italia. E’ questo PD che si candida ad essere il costruttore di un nuovo, lungo, ordine, di carattere strategico e di natura liberista. E l’eventuale vittoria del “SI” al referendum di dicembre – con la conseguente strutturazione di un regime liberista, autocratico, subordinato all’Ue, agli USA e alla NATO – cementerebbe questo ruolo.

A è partire, dunque, dal quadro sociale, da quello politico e dal pericolo della consacrazione quale costruttore di un ordine nuovo e di lunga durata del “PDR” quale nuovo partito dell’Ue, degli USA e della NATO , che si delineano i compiti di fase dei comunisti e della sinistra di classe in Italia.

La questione è semplice: chi si oppone, oggi, attraverso una lotta di massa, al pericolo di un ordine nuovo, di lunga durata, segnato dal dominio dell’Ue, degli USA e della NATO e costruito sul terreno politico e istituzionale dal “PDR”? La risposta è altrettanto semplice: a livello di massa nessuno. Nessuno, perché la CGIL non è libera dall’egemonia del PD e perché in questi ultimi decenni ha visto di molto affievolirsi il suo carattere di classe. Nessuno, perché il Movimento 5 Stelle non costruisce, volutamente, per ambiguità politica e ideologica, l’opposizione attraverso una lotta di classe e di massa e non si offre, deliberatamente , come sponda alle lotte del movimento operaio complessivo, scegliendo invece “la guerriglia parlamentare” su basi politiche e culturali ancora ambigue e incerte. E non ce la fanno a costruire un’opposizione di massa nemmeno i comunisti e la sinistra di classe, e non solo per la mancanza di una massa critica sufficiente, ma anche perché – e ciò soprattutto nel campo della sinistra – le idee non sono chiare e troppi, all’interno di questa sinistra, pensano che ancora il cambiamento possa avvenire attraverso nuovi accordi con il “PDR”. Pensieri deboli, su questi eventuali accordi con Renzi, che annebbiano il quadro politico e sociale generale, consumano le stesse forze della sinistra e – soprattutto – impediscono la costruzione di ciò che oggi è prioritario: la costruzione di un’opposizione di classe e di massa quale base materiale per una nuova unità delle sinistre e per la rimessa in campo di un progetto di alternativa sociale e politica.

Certo, ciò che non è chiaro per la sinistra deve essere invece chiarissimo per i comunisti, per il nostro partito, per il PCI: l’ordine nuovo liberista e filo atlantista in costruzione – tramite il PDR – è il pericolo grave da scongiurare. Per scongiurarlo occorre mettere in campo un’opposizione di classe e di massa. Quest’ opposizione, drammaticamente, non c’è. E dobbiamo costruirla. E’ il nostro primo compito. Il PCI lo ha affermato chiaramente anche nel suo Documento Congressuale, nel capitolo 19 (Linea di massa, politica di massa e forma Partito): Siamo in una fase drammaticamente caratterizzata da un vuoto di reazione sociale e dalla mancanza di una efficace opposizione di classe. I poderosi attacchi antisociali del governo Renzi richiederebbero un’altrettanta poderosa risposta sociale e di massa. Che è invece assente e che nemmeno la CGIL sa mettere in campo. I comunisti devono proporsi come motore della ricostruzione di un’opposizione politica, tessendo pazientemente i fili che collegano le singole vertenze ad un progetto di lungo periodo, non astenendosi dal prefigurare la possibilità della transizione ad una società socialista”.

Abbiamo bisogno dunque, noi comunisti, di mettere in campo e di trasformare in prassi la linea politica già messa a fuoco al Congresso di Bologna dello scorso giugno : essere protagonisti attivi e creativi della costruzione di un’opposizione di classe e di massa. Essere noi, il nostro Partito, il PCI, i propulsori di questo, essenziale, progetto sociale e politico. Tocca a noi, ai nostri gruppi dirigenti, nazionali e territoriali, chiamare le altre forze comuniste, della sinistra di classe, dei movimenti di lotta, le avanguardie dei lavoratori, le punte più avanzate delle diverse organizzazioni sindacali, i movimenti contro la guerra, i centri sociali di sinistra e politicizzati; chiamare tutte queste forze ad un primo confronto nazionale da estendere sui tutti i territori, per passare poi all’azione, su di una piattaforma unitaria e condivisa, nell’obiettivo di rimettere in campo un’opposizione di classe e di massa come unica e imprescindibile base materiale per la costruzione di un vasto “Fronte di sinistra e di Popolo”. Cercando anche, tutti assieme, di dare un nome a questa linea politica e far diventare questo nome, questa linea di lotta, il più popolare possibile.

Oltretutto, la messa in campo di un’opposizione di classe e di massa avente al suo interno un progetto politico di vera trasformazione sociale e volta a popolarizzare proposte di cambiamento forti e innovative contro la maledizione del Jobs act, sulle questioni generali del lavoro, della riduzione dell’orario di lavoro, del salario, della ricostruzione dello stato sociale, della lotta contro la guerra e il riarmo, un’opposizione percepita come tale dai lavoratori, dai senza lavoro, dagli intellettuali, si offrirebbe come una nuova sponda sociale e politica per tutta l’ormai vasta diaspora comunista e di sinistra; si offrirebbe come nuovo punto di riferimento per quei milioni di giovani senza più speranza e riferimenti politici, per lo stesso movimento studentesco; aprirebbe contraddizioni importanti nell’area – multiforme – della sinistra, moderata o critica e comunque confusa; e altrettante contraddizioni le aprirebbe all’interno del M5 Stelle, diviso forse molto più di ciò che pensiamo tra “destra” e “sinistra” interne. Un movimento di grande consenso elettorale – quello dei “grillini”- che potrebbe però aver già imboccato la strada di una grave crisi strategica, una crisi le cui perdite, in termini di militanza e consenso politico ed elettorale, i comunisti e la sinistra, con una chiara di linea di lotta e di alternativa, potrebbero ( debbono!) raccogliere e riorganizzare.

Questa, solo questa, di un “Fronte di Sinistra e di Popolo” che si formerà nella lotta comune, è l’unità dei comunisti e della sinistra vasta. Lo diciamo perché troppi, ancora, credono che l’unità della sinistra sia quella che si forma – debole come un fantasma – attorno all’ogni volta più traballante tavolo convocato da SEL o da Sinistra Italiana al fine di preparare una coalizione, sconosciuta dalle masse e dal movimento operaio, per le prossime elezioni nazionali. Lo diciamo perché in troppi ancora credono, a sinistra, che l’importante sarà essere convocati a questo tavolo elettorale, anche se collocati in terza fila, a tirare il collo per sentire ciò che si dice al tavolo, magari in piedi su di uno strapuntino. Al tavolo ci si potrà anche andare, ma per portare tutti nelle piazze, nelle lotte.

 

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