Quale patria per il ribelle? Parte prima

Patriottismo, sovranità nazionale, adattamento nazionale del marxismo e alleanze

di Giambattista Cadoppi

 

Ogni contrada è patria del ribelle,

ogni donna a lui dona un sospir,

nella notte lo guidano le stelle,

forte il cuor e il braccio nel colpi

Destra e sinistra nei confronti della patria

Il 17 marzo del 2011 è stata festa nazionale, per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia. La decisione del governo di destra è stata raggiunta con voto contrario dei ministri della Lega.
La lega si è distinta dal resto del centrodestra: “Esibendo, una volta di più, la propria estraneità nei confronti dell’Italia Unita, la Lega ha brandito la bandiera del Partito del Nord. Anche se resta ben impiantata a Roma”.

La maggioranza degli italiani (secondo un sondaggio di Demos) considera questa festa giusta e opportuna. Una festa più importante di molte altre. Utile non solo a commemorare, ma a rinnovare e, in questo caso, a innovare. Solo in pochi ritengono che non ci sia nulla da festeggiare. Una persona su dieci appena. Emma Marcegaglia, allora presidente di Confindustria ha detto che non ce lo possiamo permettere. Il liberismo efficentista ottuso è spesso antinazionale e provviene da imprenditori, lavoratori autonomi, liberi professionisti. Insomma coloro che dimostrano il loro disprezzo per la nazione soprattutto con l’evasione fiscale. Il maggiore consenso proviene, invece, dagli studenti, dagli impiegati pubblici, dalle persone con titolo di studio più elevato. Come per la festa della Repubblica e della Liberazione, certi ceti ampliano la frattura politica con il popolo.

Così, il 17 marzo è ritenuto “memorabile”, una data da celebrare senza riserve, dagli elettori di Sinistra e di Centrosinistra (oltre il 60%). In misura meno ampia, anche da quelli di Centro (intorno al 55%). Mentre la maggioranza degli elettori di Destra pensa che non vi sia nulla da festeggiare. Per i leghisti è scontato ma anche gli elettori del PdL non proprio entusiasti.

Dimostreremo come il significato più autentico del patriottismo sia quello che ci ha tramandato la tradizione giacobina e rivoluzionaria, fatto proprio dai comunisti. Mentre a destra vi è chi del tricolore ha fatto un uso per lo meno improprio pulendosi la parte dove non batte il sole, nemmeno quello della Alpi[1].

Patriottismo: patrimonio genetico dei rivoluzionari

Il patriottismo è una creazione della sinistra rivoluzionaria durante la Rivoluzione Francese e appartiene al patrimonio genetico dei rivoluzionari. Lo stesso concetto di Rivoluzione è moderno, il termine era precedentemente usato per indicare le orbite celesti. Non bisogna confondere l’esistenza di un termine con il significato attuale di quel termine ovvero il suo significato semantico. Fare questo è un tipico anacronismo (che nel linguaggio storiografico significa sfasare i periodi storici). Questi concetti nel significato attuale sono nati con la Rivoluzione francese sebbene il termine fosse coniato originariamente dai rivoluzionari olandesi, e non può non essere così. Il pensiero della “tradizione” è antirivoluzionario per definizione. Solo con la fine dei poteri universalisti come l’Impero (dove non tramonta mai il sole) e la Chiesa, il Trono e l’Altare, i sudditi sono diventati citoyen, membri a pieno titolo della comunità. I giacobini condannarono l’aristocrazia come un parassita “cosmopolita” sul corpo della nazione. Con i loro vecchi legami familiari e proprietà in tutta Europa, e la loro cultura cosmopolita, non hanno alcuna dedizione alla propria terra: sfruttano e disprezzano il popolo. Lo storico del “nazionalismo romantico” Joep Leerssen sostiene che i giacobini considerano l’aristocrazia un “jetset transnazionale senza radici nazionali”. Il patriottismo invece è rivoluzionario o non è.

“Nation” è un termine francese che del XV secolo designava il villaggio natio. Poi ha cominciato a significare la regione di provenienza ad esempio nelle città portuali esisteva una “nazione” lombarda accanto a una toscana o a una ebraica. Il termine Patria è di origine latina, ma per i latini significava la città in cui si era nati, la terra degli avi, dei padri.

I giacobini sono grandi patrioti. Hobsbawm ha colto il carattere rivoluzionario del loro “patriottismo”: i patrioti sono quelli che mostravano l’amore del loro paese desiderando rinnovarlo con la riforma o la rivoluzione. E la patria alla quale devono la loro lealtà, è l’opposto di un’unità esistenziale, preesistente, ma una nazione creata dalla scelta politica dei suoi membri che, nel farlo, rompono le loro precedenti lealtà, come quella verso il sovrano.

I due termini rivoluzione e patriottismo hanno assunto il loro significato attuale solo con la Rivoluzione Francese. L’esercito degli “straccioni”, “les enfantes de la Patrie”, difese la Patria a Valmy al grido “Vive la Nation”. Il termine patriota è un neologismo per la lingua italiana dell’Ottocento. Originariamente si diceva patriotta con la doppia t. A noi sembrano concetti antichi invece sono piuttosto moderni.

I termini “nation” e “patrie” erano quasi equivalenti, ma si indicava con Nazione qualcosa che aveva a che fare con un territorio mentre il termine “patriota” ebbe subito a che vedere con un elemento soggettivo. Si poteva appartenere a una nazione e non essere patrioti. Gli aristocratici appartenevano alla nazione francese ma essendo contro-rivoluzionari erano nemici della Patria mentre lo schiavo nero James Hemings dell’ambasciatore americano Thomas Jefferson, che aveva chiesto dell’emancipazione in Francia, poteva essere patriota. Per i giacobini era patriota il rivoluzionario comunista Filippo Buonarroti (che era italiano) ma non l’aristocratico francese in esilio.

Patriottismo della costituzione e stato di cittadinanza

L’amore per la Patria comprende necessariamente l’amore dell’uguaglianza.

Robespierre, discorso alla Convenzione del 18 piovoso, anno II.

 

Una delle prime mosse che fece l’Assemblea Costituente francese fu di fare un’indagine su chi fossero i francesi e scoprì che solo il 17 per cento dei francesi parlava francese e che francesi erano anche i baschi, i provenzali, gli occitani, i bretoni, i corsi, che francesi erano pure gli ebrei e i protestanti piuttosto che i cattolici. La Rivoluzione francese trasformò i sudditi in “citoyen” e si era “citoyen” indipendentemente dal credo religioso o dalla lingua parlata, dall’etnia di appartenenza o dall’estrazione sociale. Era lo “Stato di Cittadinanza” che è l’opposto dello stato etnico nazionalista, così come l’abbiamo conosciuto sotto i fascismi con il loro suprematismo razziale, la mentalità razzista e colonialista spesso sterminazionista[2]. (Valga per tutti l’atteggiamento fascista nei confronti della minoranza slava dell’Istria, che poi relativamente all’Istria nel suo insieme, minoranza non era).

Il patriottismo, quindi, è legato allo stato di cittadinanza, perché per il giacobinismo è patriota non chi è “francese”, ma chi condivide i principi costituzionali francesi riassunti in “Liberté, Fraternité, Egalité”. Il patriottismo giacobino è un patriottismo se vogliamo “della costituzione” (Hobsbawm; Viroli)[3].

Il patriottismo giacobino è all’origine di natura prevalentemente politica piuttosto che culturale. Lo stato non è inizialmente concepito come una comunità culturale, ma come un’unità politica che si è affermata con l’atto stesso dell’istituzione dell’uguaglianza giuridica. Come ricorda Robespierre, in un famoso discorso alla Convenzione: «L’amore per la Patria comprende necessariamente quello per l’uguaglianza». L’uguaglianza legale è il punto di riferimento della nazione, e continuava a essere percepita come la sua essenza. I giacobini accettano anche con entusiasmo la conclusione di Rousseau secondo cui le nazioni moderne hanno necessariamente un’identità culturale propria. Anche quell’identità è stata creata, non trovata. La repubblica non è solo “une et indivisible” ma anche “française”. I Girondini furono accusati di dimenticare gli interessi del popolo francese in nome dell’internazionalismo astratto.

Rousseau fornisce un punto di partenza naturale per la discussione sul problema del patriottismo. Il filosofo francese è un oppositore dichiarato di quello che chiamava “cosmopolitismo”. Secondo lui, il patriottismo è una passione sana, perché stimola la virtù. L’amor proprio è un tratto negativo nell’uomo ma difficile da sopprimere. Ma l’amore per la propria patria permette a una persona di unire l’amore di sé alla dedizione a qualcosa più grande di sé. Per il filosofo francese la nazione, la vera patria, è la cittadinanza democraticamente associata. Quindi l’orgoglio della patria è, in realtà, l’orgoglio della democrazia popolare e dunque in ultima analisi della costituzione democratica. Troveremo tracce di questo anche nei teorici del marxismo.

I concetti di uguaglianza politica e identità culturale francese sono strettamente fusi, perché le classi “feudali” che incarnano tradizionalmente la disuguaglianza sono ritenute lontane dalla nazione come comunità culturale. Lo stato rivoluzionario francese accetta la dottrina di Danton secondo cui una nazione moderna e sovrana non può fare a meno delle “frontiere naturali”. In reazione al vecchio mondo dinastico, dove i principi governano territori sparsi che possono acquisire e scambiare a loro piacimento secondo i loro legami familiari, contro gli imperi dove non tramonta mai il sole, gli stati moderni hanno bisogno di una base nazionale omogenea. Gli stati hanno diritto a un’esistenza consolidata all’interno di frontiere sicure. I Giacobini, in quanto “patrioti rivoluzionari”, sperano di trasformare ulteriormente il mondo al di fuori dei confini nazionali. Lo stato francese agisce come replicatore di nazioni. Allo scopo di diffondere la “libertà” ai patrioti all’estero, si crea una rete di “repubbliche sorelle” lungo i confini francesi, analogamente all’Unione Sovietica del dopoguerra. Non c’è dubbio che i francesi si considerano la nazione d’avanguardia. Certo, come farà l’Unione Sovietica più tardi, influenzano le altre nazioni che hanno liberato. Essi tentano di sradicare la disuguaglianza “feudale” sulla scia dei loro eserciti. Sperano di creare un nuovo mondo di nazioni basate sull’uguaglianza legale. E quella causa continua a essere perseguita anche dopo che Napoleone prede il potere. Nonostante le manie imperiali, l’imperatore la diffonde in tutta Europa. Secondo Marx i giacobini “spezzarono le terre feudali, e falciarono le teste feu­dali cresciute sopra di esse”, mentre Napoleone spazza via, anche oltre i confini della Francia, le istituzioni feudali[4].

Lo stato giacobino crolla prima che molti dei suoi obiettivi possano essere raggiunti. Le forze radicali di tutta Europa si chiedono subito cosa sia andato storto. Perché il meraviglioso ideale della comunità virtuosa degli eguali è crollato? I giacobini radicali Babeuf e Buonarotti, concludono che le nazioni possano avere unità di volontà e d’interessi solo abolendo la fonte del male: la proprietà privata. Robespierre è stato incoerente. Il leader giacobino non è riuscito a creare una base economica comunista adeguata per regno della virtù. Quest’analisi fornisce il punto di partenza per la crescita del ramo comunista dall’albero giacobino (Van Ree).

Nell’Europa del diciannovesimo secolo, il patriottismo è ancora inteso come un progetto rivoluzionario. Non è strano che l’Internazionale sia cantata insieme alla Marsigliese, con i suoi “Allons enfants de la patrie”. I socialisti riconoscono la lotta per lo stato di nazione ai polacchi, tedeschi, ungheresi e italiani. Si spera che gli stati di nuova creazione diventino democrazie radicali e imbocchino la via del socialismo.

Friedrich Engels indica la mobilitazione rivoluzionaria di popolo come uno dei tratti caratteristici del «glorioso anno 1793». Engels menziona come esempio a lui contemporaneo la rivolta nazional-popolare ungherese del 1848 guidata da Lajos Kossuth, «che per la sua nazione è stato Danton e Carnot in una sola persona» (Lowy).

A Proudhon che deride e condanna le aspirazioni nazionali dei popoli oppressi come espressione di attaccamento oscurantista a pregiudizi obsoleti risponde Marx:

In Polonia, la lotta per l’indipendenza e la resurrezione nazionale vede la partecipazione anche di borghesi e persino di nobili. La cosa non stupisce, dato che a subire l’oppressione è la nazione nel suo complesso. Ma ciò è un motivo di scandalo per il populista incline a pensare che l’unica contraddizione reale sia quella tra poveri e ricchi, tra “popolo” umile e incorrotto da un lato e i grandi e i potenti (borghesi e nobiliari) dall’altro. Di qui l’atteggiamento beffardo e sarcastico che Proudhon assume nei confronti dei movimenti nazionali e, in particolare, di quello polacco. Duro è il giudizio di Marx, che parla a tale proposito di “cinismo da cretino”, per di più al servizio o alla coda dell’imperialismo zarista o, in altri casi, del bonapartismo di Napoleone III (Losurdo).

La Comune di Parigi è un bell’esempio della fusione dei vecchi ideali patriottici e democratici. Esprime il desiderio della popolazione della capitale francese di determinare il proprio destino sia come avanguardia della nazione francese contro gli invasori tedeschi sia come avanguardia delle masse nelle loro lotte sociali. La Comune di Parigi imputa alla classe dominante non solo lo sfruttamento dei lavoratori ma anche il non essere in grado di resistere all’aggressione tedesca (Losurdo). La Comune non è solo un momento epico della lotta di classe ma vi è presente un intreccio tra questione nazionale e lotta di classe.  Per Blanqui, il socialismo e il patriottismo sono ancora difficili da distinguere. La sua esortazione alla lotta nel 1870 è quella della patria in pericolo di Danton (Van Ree).

Il patriotta di cui abbiamo parlato è semplicemente colui che vuole fare in Italia ciò che i francesi hanno fatto a casa loro, come più di cento anni dopo i comunisti di tutto il mondo con la “Russia soviettista”. Il patriotta è repubblicano, spesso carbonaro, quasi sempre membro di gruppi che fanno capo alla Giunta Liberatrice di Buonarroti. Siccome il programma della Giunta Liberatrice è in definitiva il comunismo[5] (Buonarroti partecipa alla “Congiura per l’eguaglianza” di Babeuf) si può tranquillamente dire i primi patrioti italiani sono comunisti.

L’ethos politico che governa la Francia rivoluzionaria e poi l’Unione Sovietica è piuttosto simile. Il termine “unità di volontà” era già in uso con Robespierre. Babeuf e Buonarroti lo trasferiscono al comunismo delle origini. Essi si riferiscono alla stretta unità d’intenti della comunità popolare. I cittadini sono impegnati con dedizione totale alla causa pubblica (Van Ree).

Il marxismo, nonostante abbia riconosciuto nel nazionalismo un fenomeno sorto nell’età borghese, ha commesso all’inizio un errore nel sottovalutare la sua importanza e la sua capacita di sopravvivenza, errore questo causato soprattutto da una radicata antipatia nei suoi confronti in alcuni ambienti per altro minoritari. A partire da Lenin e in seguito con Stalin, i marxisti ne hanno analizzato il significato storico rivoluzionario, prendendone in considerazione la forza politica. L’elaborazione leninista del marxismo costituisce un importante progresso per la comprensione di questo problema, specie per quanto riguarda i movimenti di liberazione dei popoli coloniali e semicoloniali, nonché la lotta delle nazioni europee contro il fascismo (Hobsbawm)

In effetti, il marxismo e stato in grado di prevedere alcune questioni molto importanti, particolarmente la commistione di elementi sociali e nazionali nelle lotte di liberazione del secolo scorso e l’importanza storica di questi movimenti nei paesi extraeuropei.

Il patriottismo risorgimentale

Una per tutti i popoli
Chiamati alla riscossa
Risplendi tra i patiboli
Santa bandiera rossa.

(Bandiera Rossa: la versione originale dei repubblicani)

Patrioti sono ovviamente i mazziniani (che per altro sono i primi in Italia ad adottare la bandiera rossa). La versione originale del canto patriottico (poi socialista e comunista) Bandiera Rossa dimostra come il patriottismo sia legato all’internazionalismo (“Una per tutti i popoli”). Parliamo del Giuseppe Mazzini della Repubblica Universale, quello della Giovane Europa per la solidarietà tra tutti i popoli oppressi. Giuseppe Mazzini aderisce assieme a Garibaldi alla Prima Internazionale con Marx, Mikhail Bakunin, Lajos Kossuth e compagnia. Il Partito d’Azione mazziniano adotta, la Bandiera Rossa (simbolo del sangue versato durante i moti rivoluzionari e patriottici del 1948)[6]. Non si troverà mai un Mazzini sciovinista. Il Patriota comprende anche il patriottismo degli altri. Il nazionalista capisce solo la forza. Non a caso il fascista Mussolini aggredì il fascista Metaxas. Le lotte di liberazione nazionale, così come le immaginano Mazzini e Garibaldi, non sono certo state continuate dai fascisti oppressori di altri popoli né da qualsiasi imperialismo. Mazzini non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Il Risorgimento è anche quello dei socialisti Carlo Pisacane[7], Giuseppe Ferrari, Giuseppe Garibaldi. L’antecedente della nostra carta costituzionale sta nella Repubblica Romana di Mazzini, Saffi e Armellini del 1849.

Mazzini è un autentico rivoluzionario. Nell’Ottocento è considerato, però, un estremista, accusato addirittura di essere l’inventore del terrorismo. Gavrilo Princip[8], l’attentatore di Sarajevo, diceva di ispirarsi politicamente a Kropotkin ma nell’azione pratica, ovvero il terrorismo, a Mazzini. La protettrice del patriota italiano in Inghilterra lo chiamava confidenzialmente “l’assassino”. Alexander Herzen (apprezzato da Lenin) e i populisti russi assieme agli indiani Subhas Chandra Bose[9] e Vinayak Damodar Savarkar si rifeririscono a Mazzini. La Giovane Italia è il primo partito rivoluzionario di massa moderno con un programma politico esplicito opponendosi alle sette carbonare, strutturate sulla falsariga della massoneria, che nascondono il programma ultimo, accessibile solo per gli adepti “anziani”.

Si dovrebbe rilevare come l’icona dell’irredentismo italiano, ossia Cesare Battisti[10], sia un militante formatosi nel quadro dell’austro-marxismo. Perché l’austro-marxismo è importante? Perché è il primo a porre all’ordine del giorno la “questione nazionale” e il problema della “nazione culturale”. Stalin va a Vienna a studiare il dibattito sull’argomento apertosi nell’austromarxismo con le tesi di Karl Renner e Otto Bauer, per poi scrivere Il marxismo e la questione nazionale, testo molto elogiato da Lenin. Come scrive Hobsbawn “quando il radicalismo della Rivoluzione russa si sostituì a quello della Rivoluzione francese nel ruolo d’ideologia portante dell’emancipazione a livello mondiale, il diritto all’autodeterminazione, viene incarnato dagli scritti di Stalin, che conquistano anche chi aveva fatto parte delle schiere di Mazzini”.

Essere patrioti significa rivendicare pari dignità per tuti i membri della nazione, non certo credere ciecamente al proprio governo e nemmeno esaltare la propria nazione sopra le altre.
Si può anzi disprezzare lo stato d’inferiorità della propria nazione ed essere allo stesso tempo patrioti.

Il patriottismo russo del XIX secolo disprezza le condizioni della Russia e vuole imitare l’Europa più sviluppata. Lo stesso quello cinese del Movimento del 4 maggio 1959. Si ritene che l’arretratezza sia dovuta a certi elementi peculiari della propria storia che favoriscono l’asservimento. Anche in Gramsci agisce questa molla: «L’Italia è diventata un mercato di sfruttamento coloniale, una sfera di influenza, un dominion, una terra di capitolazioni, tutto fuorché uno stato indipendente e sovrano. […] Quanto più la classe dirigente ha precipitato in basso la nazione italiana, tanto più aspro sacrificio deve sostenere il proletariato per ricreare alla nazione una personalità storica indipendente» (A. Gramsci, L’Ordine nuovo).

L’inter-nazionalismo presuppone il nazionalismo nel senso del patriottismo, che altrimenti diventerebbe cosmopolitismo senza radici.  In un certo senso si può dire che senza “nazionalismo” non possa esistere l’inter-nazionalismo. Gramsci ritene Trotsky «un cosmopolita superficialmente nazionale e superficialmente europeo», rispetto a Lenin considerato al contrario «profondamente nazionale e profondamente europeo»[11].

In Antonio Gramsci si può trovare più di un’eredità del giacobinismo ad esempio nella concrezione del partito di avanguardia, presentato esplicitamente come erede legittimo della tradizione di Machiavelli e dei Giacobini (Lowy).

L’internazionalismo e il patriottismo non si escludono a vicenda ma anzi si integrano e si legittimano l’un l’altro.  L’erede testamentaria del patriottismo è la Sinistra che può decidere cosa gli serve di questo patrimonio storico per affrontare il XXI secolo.

Il patriottismo socialista

Al momento della stesura del Manifesto del Partito Comunista, il proletariato, privo sia della proprietà che del voto, era a tutti gli effetti pratici escluso dalla nazione. In questo senso, gli operai non hanno patria. Dopo tutto, Marx ed Engels non escludono la possibilità del rovesciamento del capitalismo in alcuni paesi prima che in altri. In una prospettiva del genere, secondo Marx ed Engels, il proletariato deve consolidare il suo potere a livello nazionale, prima di lottare nello scenario internazionale. Ma impadronendosi del potere, e quindi acquisendo la proprietà sociale e il voto, hanno conquistato una patria. Per questo motivo, il Manifesto invita il proletariato a «farsi classe dirigente nazionale», a «costituirsi come nazione», una volta sconfitte le élite nazionali. In altre parole, il Manifesto del Partito comunista contiene un messaggio di patriottismo proletario. In altre opere, del resto, Marx ed Engels riconoscono esplicitamente che la realtà dello stato-nazione non può essere ignorata: «Poiché il proletariato deve, in primo luogo, acquisire la supremazia politica, assurgere a classe dirigente della nazione, costituirsi esso stesso come nazione, e a sua volta nazionale; ma non nel significato borghese della parola». Il nazionalismo può portare alla divisione dei lavoratori ma i due pensatori riconoscono che talvolta le lotte nazionali possano svolgere una funzione progressiva. L’idea che il proletariato trionfante debba prima affermarsi come nazione non è una frase vuota. In molte occasioni. Marx ed Engels hanno discusso del proletariato industriale come di una forza patriottica nel senso originario di un protagonista della rigenerazione della patria. Nel 1848, Engels in genere lamenta che i tedeschi arretrati non si muovano al passo dei nuovi tempi. Essi hanno perso la faccia di fronte a tutte le altre nazioni, trasformandosi nello zimbello dell’Europa. Ma se la vigliacca borghesia tedesca non difende la nazione, occorre riporre la speranza sugli operai. Il proletariato dovrebbe ripristinare l’onore tedesco attraverso una rivoluzione radicale.  Allo stesso modo, Marx insiste che dopo decenni è impossibile per la Francia salvarsi dalla rovina senza una rivoluzione. La vittoria della Comune di Parigi avrebbe portato alla rinascita della Francia. In tali dichiarazioni, si può riconoscere l’origine del marxismo come uno sviluppo comunista del patriottismo giacobino. (Van Ree).

Marx simpatizza con gli sforzi dei patrioti tedeschi e ungheresi ed è favorevole alla rinascita della Polonia all’interno dei suoi vecchi confini. Benché il movimento sia dominato dagli interessi dell’aristocrazia polacca, le sue possibilità di successo contro la potenza dell’impero russo solo la partecipazione attiva dei contadini e quindi la natura democratica e rivoluzionaria della lotta lo può portare al successo. Questa osservazione di Marx è alla base del sostegno Lenin ai movimenti di liberazione nazionale. Possiamo vedere un’evoluzione del problema nello stesso che Marx che con un radicale riposizionamento appoggia il movimento feniano irlandese e inserisce, nel Programma del 1865 della Prima Internazionale, il diritto all’autodeterminazione nazionale (Hobsbawm)[12].

Si può dire addirittura, che siano sono stati, almeno inizialmente, i partiti socialisti a essere il principale veicolo dei movimenti nazionali dei loro popoli; proprio come ci furono dei partiti contadini decisamente orientati in senso sociale, per esempio in Croazia, che acquisirono naturalmente una dimensione nazionalista. James Connolly parla dell’unità di socialismo e liberazione nazionale per l’Irlanda. La combinazione di rivendicazioni sociali e nazionali in un programma sia politico sia sociale, si mostra assai più efficace nella mobilitazione per l’indipendenza, che non l’appello puramente nazionalistico, che accoglie il malcontento degli strati inferiori della classe media. L’indipendenza della Polonia, dopo un secolo e mezzo di sottomissione, si realizza sotto sotto la direzione del Partito socialista polacco, il cui leader, il maresciallo Pilsudski, diviene il «Liberatore» del proprio paese. In Finlandia, il Partito socialista è il partito nazionale dei Finlandesi, raggiungendo il 47% dei voti nelle ultime elezioni libere prima della Rivoluzione bolscevica del 1917. In Georgia, la stessa funzione è svolta da un altro partito socialista: quello dei menscevichi. In Armenia è dalla Federazione Rivoluzionaria nota come Dashnyakis, aderente all’Internazionale socialista, svolge la stessa funzione. Presso gli Ebrei dell’Europa orientale l’ideologia socialista è dominante in seno alle organizzazioni nazionali, sia quelle non sioniste (bundiste) sia quelle sioniste (Hobsbawm).

Ogni organizzazione e che mira al cambiamento deve proporsi in primo luogo come rappresentante della rivoluzione politica e sociale. I sentimenti nazionali di Gallesi e Scozzesi nel Regno Unito non trovano espressione in partiti specificamente nazionalisti, ma nei grandi partiti di opposizione a livello dell’intero paese: dapprima il liberale poi il laburista. Nei Paesi Bassi il sentimento nazionale si convoglia principalmente nel radicalismo di sinistra. Di conseguenza i Frisoni risultano sovrarappresentati nella storia della sinistra dei Paesi Bassi, analogamente a quanto lo sono Scozzesi e Gallesi in quella della sinistra britannica[13]. Il leader più eminente del primo Partito socialista olandese Pieter Jelles Troelstra (1860-1930), iniziò la sua carriera come poeta in lingua frisone e capo della Giovane Frisia, un gruppo di revival frisone” (Hobsbawm). Dopo gli anni Sessanta in Galles, Euskadi (ETA, Herri Batasuba), Fiandre, Catalogna e altrove, i movimenti nazionalisti espressione della piccola borghesia e originariamente associati con le ideologie conservatrici si sono radicalizzati in senso marxista. Il DMK, che e stato il movimento delle rivendicazioni nazionali tamil in India, nasce come partito socialista regionale a Madras, e la stessa sinistra radicale in Sri Lanka ha avuto una spiccata tendenza al patriottismo. I movimenti di massa possano esprimere simultaneamente aspirazioni che ai marxisti dottrinari e ascetici appaiono radicalmente alternative e che movimenti che si richiamavano a una forma di di rivoluzione sociale possano, in effetti, costituire la matrice di un eventuale movimento patriottico di massa.

[1] L’emblema della Lega, una sorta di svastica ( simbolo del sole), rappresenta “il sole delle Alpi”

[2] È stato obiettato che uno degli ultimi decreti di Robespierre impone il solo francese come “lingua della libertà” della Repubblica “una e indivisibile”. È vero, ma ciò viene fatto nell’ottica di combattere tutto ciò che conserva legami con il “vecchiume” reazionario che ostacola la rivoluzione. Questo non implica assolutamente che sia venuto a meno lo stato di cittadinanza che anzi viene istituito per la prima volta. Napoleone, che è corso, fa una impressionante carriera prima nell’epoca giacobina e poi in quella termidoriana. Gli ebrei sono emancipati. Certo la République è “una e indivisibile”, una scelta opposta a quella sovietica dove addirittura furono inventati alfabeti appositi per le minoranze con diritto alla secessione delle Repubbliche federate. Una scelta, quella dei repubblicani francesi, indirizzata anche a impedire tentativi di smembramento e secessione messi in atto dalla reazione o nelle insorgenze controrivoluzionarie come nel caso della Vandea. Pasquale Paoli non è certo stato discriminato una volta tornato in Francia. Aderisce originariamente al club dei giacobini presieduto da Robespierre, poi diventa tenente generale e governatore della Corsica. Paoli poi, di fatto, si mette al servizio degli inglesi e perciò è accusato di tradimento. Ma nella Francia rivoluzionaria chiunque accettava la costituzione è citoyen e non è discriminato in base all’origine etnica o religiosa. La Francia rivoluzionaria non restringe ma amplia la base democratica dello stato.

[3] Per il sociologo tedesco Jurgen Habermas, dopo Auschwitz non poteva esistere che il patriottismo della costituzione la sola via accettabile per creare una identità nazionale tedesca. Habermas afferma: «Per noi nella Repubblica Federale patriottismo costituzionale significa, tra l’altro, la fierezza di essere riusciti a trionfare in modo durevole sul fascismo per stabilire l’ordine di uno stato di diritto». Certo questo patriottismo manca del pathos di un Mazzini. Scrive Viroli «Giuseppe Mazzini che ci ha lasciato una teoria dell’amor di patria che anche i più autorevoli critici del patriottismo oggi riconoscono come una valida visione per la lotta contro le diseguaglianze sociali».

[4] Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte.

[5] “La Società dei Veri Italiani ha per oggetto l’unità, indipendenza e libertà d’Italia intendendo per libertà un governo repubblicano democratico istituito sulla sovranità del popolo e perfetta uguaglianza” (Filippo Buonarroti)

[6] La bandiera rossa venne adottata originariamente nelle lotte dei minatori gallesi. Poi durante i mlti del 1948, infine dalla Comune di Parigi del 1871. I socialisti verrano chiamati, soprattutto in Romagna, i “nuovi rossi” per distiguerli dai “vecchi rossi” repubblicani

[7] Pisacane afferma nel suo testamento: «Io credo nel socialismo. E’ l’avvenire inevitabile e prossimo dell’Italia, e forse di tutta Europa».

[8] Princip aderiva alla “Mlada Bosna” (Giovane Bosnia) formata da giovani patrioti, socialisti e anarchici.

[9] Bose è il fondatore del All India Forward Bloc, che nel proprio simbolo ha la bandiera rossa, la tigre e la falce e martello e fa parte del Fronte di Sinistra con i comunisti. Savarkar il cui idolo era il Mazzini “terrorista” sarà definito da S.A. Dange presidente del Partuito Comunista Indiano “uno dei grandi rivoluzionari antimperialisti”.

[10] Cesare Battisti è definito «socialista internazionalista eppure irredentista convinto, che proclama la necessità di questa guerra liberatrice per le nazionalità oppresse. Mazziniano e austro-marxista fuoriuscito…» (Grossi). Anche il figlio Luigi Battisti, rifiutò qualsiasi identificazioine tra il padre e il fascismo, e fu tra i fondatori del Movimento di Unità Proletaria.

[11] «Bronstein, che appare come un “occidentalista” era invece un cosmopolita, cioè superficialmente nazionale e superficialmente occidentalista o europeo. Invece Ilici era profondamente nazionale e profondamente europeo» Gramsci – Quaderni del carcere.

[12] Il difetto del marxismo dei semplificatori (in generale sessantottini) è di fermarsi alla lettura di qualche libro tipo il Manifesto di Marx o Stato e rivoluzione di Lenin non vedendo nel marxismo una teoria scientifica e dunque dinamica che si evolve, come dice Losudo, per apprendimento.

[13] Sia in Galles che in Scozia esistevano delle zone denominate «piccola Mosca».

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