REFERENDUM E POPULISMO: per attuare la Costituzione ci vogliono i comunisti

di Giorgio Raccichini, PCI Fermo

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Non è certamente una novità il fatto che centri di potere internazionali sono interessati alle vicende politiche italiane. Non vi è pertanto nulla di scandaloso nelle recenti affermazioni del Commissario europeo agli affari economici, Moscovici, a sostegno della campagna per il “Sì” alle riforme costituzionali promosse dal Governo italiano. Queste dichiarazioni di rappresentanti di organismi internazionali provano casomai in maniera inequivocabile quanto noi comunisti abbiamo spesso detto sugli scopi delle riforme costituzionali/elettorali renziane: l’esclusione dal Parlamento di ogni forza politica che porta avanti una prospettiva di radicale cambiamento degli assetti sociali ed economici del Paese, l’indebolimento del potere parlamentare e il rafforzamento del Governo che deve essere l’esecutore di decisioni prese dalla grande borghesia italiana e da organismi internazionali come la Commissione europea (e le lobby economiche che sono in stretto rapporto con questa) e la NATO.

Non è un caso che Moscovici, Commissario europeo, si sia unito all’apprezzamento per le riforme costituzionali all’ambasciatore americano in Italia, rappresentante degli Stati Uniti che guidano l’organizzazione militare della NATO, e alla Confindustria.

La riforma della seconda parte della Costituzione rappresenta solo il primo passo dello stravolgimento della Costituzione. Il secondo step sarà la modifica di alcuni articoli della prima parte della stessa che, sebbene siano poco rispettati e attuati, rappresentano un valido sostegno politico per chi lotta contro la guerra e a favore dei diritti dei lavoratori. Si pensi a tutte le politiche sul lavoro dell’era berlusconiana e al Jobs Act di Renzi: tali interventi demolitori dei diritti dei lavoratori sono stati presentati come moderni e assolutamente necessari per “svecchiare” il Paese, ma rappresentano notevoli arretramenti rispetto alle conquiste costituzionali sul tema del lavoro, solo in parte attuate grazie alla dura lotta delle classi lavoratrici e dei comunisti. La finalità di questi interventi anticostituzionali sul lavoro era ed è quella di consentire non solo alle imprese italiane ma anche ai grandi gruppi economici internazionali di accentuare lo sfruttamento capitalistico dei lavoratori italiani.

Moscovici non è altro che il portavoce di questi gruppi internazionali che vedono nelle riforme costituzionali l’opportunità di approfondire e dare una legittimità costituzionale a misure come il Jobs Act e quindi allo spogliamento dei diritti dei lavoratori e all’ipersfruttamento delle classi lavoratrici italiane.

La Boschi ripete che il voto per il “Sì” è un voto per modernizzare il Paese. Ma si tratta di una ben strana modernizzazione che guarda al passato, che cancella decenni di lotte della classe operaia e dei lavoratori italiani, che cancella l’apporto dato dalle forze politiche progressiste, tra cui i comunisti, alla Costituente. Il nuovo è insomma tornare non al Fascismo, per carità, ma all’epoca della Destra e della Sinistra storiche.

La posizione assunta da Moscovici fa il paio con quella dell’ambasciatore statunitense in Italia. È evidente che gli Stati Uniti hanno bisogno di un organo subalterno, il Governo italiano, pronto a mettere in atto celermente gli ordini militari della NATO, perché l’Italia ha la rilevante funzione strategica di vera e propria rampa di lancio verso l’Africa.

Interessante infine è il fatto che, nel supportare le ragioni del “Sì”, Moscovici avanzi lo spettro del “populismo”. Che il “populismo”, inteso come un insieme di semplicistiche e sostanzialmente inconcludenti, se non fuorvianti, risposte ai complessi problemi del mondo d’oggi sia non una soluzione, ma un effetto dei problemi stessi è un fatto certo, anche se tra le classi dominanti vi è la tendenza ad etichettare ogni forma di opposizione come “populista”. Tuttavia sembra di ripiombare nell’epoca in cui, con la giustificazione di arrestare l’avanzata del pericolo comunista, si facevano passare le peggiori misure contro le classi lavoratrici europee. Bisognerebbe comunque chiedere a Moscovici come si possa associare il “No” al referendum al rischio populismo quando la riforma costituzionale renziana e la campagna elettorale del Governo sono cariche di populismo. Moscovici non gira forse per le strade italiane e non rischia di fermarsi dietro autobus in cui compaiono messaggi che invitano a votare “Sì” per ridurre i politici e i costi della politica. Moscovici non si troverà di fronte ad un quesito che chiede agli elettori se vogliono ridurre il numero dei politici. A casa mia tutto questo si chiama semplicismo, populismo e qualunquismo, indissolubilmente legati ai difensori delle riforme renziane.

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